Come molti quartieri di New York, Chinatown ha una storia che si può leggere a strati. A Lower Manhattan le bandiere della Repubblica di Cina (1912-1949) sventolano ancora sopra gli uffici di associazioni fondate prima della rivoluzione comunista. Le bacheche per gli annunci di lavoro, tappezzate di bigliettini, si rivolgono agli immigrati più recenti. Le pasticcerie perfette per Instagram servono turisti e clienti del posto. I cartelli “Affittasi / 出租” che spuntano dovunque ricordano che il numero di aziende e abitanti cinesi sta calando.

E diminuiscono anche i segnali stradali con i nomi delle strade scritti sia in inglese sia in cinese. Queste targhe bilingui fecero la loro comparsa sulle vie animate della più antica Chinatown di New York più di cinquant’anni fa. Erano il risultato di un programma lanciato negli anni sessanta per aiutare i newyorkesi di origine cinese che avevano difficoltà con l’inglese scritto, ed erano un riconoscimento della sempre maggiore influenza di un quartiere che per più di un secolo era stato trascurato dalle istituzioni. Ma negli ultimi vent’anni la Chinatown di Manhattan ha smesso di essere l’unico centro culturale cinese della città, così quella infrastruttura eccezionale ha lentamente cominciato a scomparire.

L’inaugurazione delle prime targhe stradali scritte sia in inglese sia in cinese, Chinatown, New York, 17 gennaio 1969 (Carl T. Gossett, The New York Times/Contrasto)

Molti documenti del piano degli anni sessanta sono andati distrutti a causa l’allagamento di un ufficio del dipartimento dei trasporti, sono stati smarriti nel trasloco successivo o addirittura, come suggeriscono alcuni funzionari intervistati per questo articolo, non erano mai stati catalogati. Abbiamo deciso d’indagare su quello che resta per ricostruire la storia di quel programma.

I servizi bilingui sono una necessità in una metropoli dove più di tre milioni di abitanti, provenienti da duecento paesi, parlano almeno settecento lingue e dialetti diversi. Il comune di New York fornisce assistenza linguistica in determinate situazioni, per esempio durante le elezioni, nella metropolitana e nei procedimenti giudiziari. Qualche segnale stradale in lingue diverse dall’inglese è stato affisso in alcune zone abitate da minoranze, come la West 32nd street a Koreatown, detta anche Korea way, e una parte di Avenue C, chiamata Loisada (Lower east side) in omaggio alla comunità portoricana.

Ma i segnali che indicano le strade di Chinatown sono diversi. Sono un imponente esercizio di traduzione – grande quanto un quartiere – svolto insieme all’amministrazione cittadina: una rete stradale completamente bilingue. La storia di queste targhe racconta la crescita, il declino e l’evoluzione di una delle maggiori comunità di immigrati a New York.

Nel 1883 Wong Chin Foo – uno dei primi scrittori e attivisti sino-americani – arrivò a Manhattan e fondò il Chinese American, il primo giornale di New York scritto in cinese. Per la redazione scelse un ufficio a Chatham street (oggi Park row), qualche isolato a sud di quella che si stava preparando a diventare la prima Chinatown della città.

Wong scrisse che il suo obiettivo era “fare un giornale in grado di soddisfare un’esigenza profondamente sentita dai nostri connazionali, di cui neppure uno su mille sa leggere una parola di inglese”.

Migrazione di massa

I primi abitanti cinesi avevano cominciato a stabilirsi nella zona intorno a Mott e Pell street qualche decennio prima, più o meno quando Wong era arrivato negli Stati Uniti per frequentare l’università. Mentre lui studiava, l’immigrazione cinese stava aumentando, perché migliaia di asiatici venivano reclutati per lavorare alla costruzione della ferrovia transcontinentale, che doveva collegare la regione orientale a quella occidentale.

Gli immigrati cinesi spesso erano trattati in modo spaventoso, erano discriminati dalla legge e lavoravano in condizioni ingiuste. Wong denunciava questa situazione nei suoi scritti e nelle sue conferenze in tutto il paese.

Nel 1869, quando fu inchiodata l’ultima traversina della ferrovia transcontinentale, gli operai cinesi negli stati occidentali si ritrovarono senza un lavoro sicuro e vittime di un razzismo sempre più diffuso. Molti cominciarono a trasferirsi nelle città della costa est. Quando Wong arrivò a New York, nel 1883, la Chinatown di Manhattan era già diventata una meta degli immigrati ci­nesi.

Nello stesso periodo comparvero, sulle vetrine dei negozi e sulle buste delle lettere, i nomi delle strade scritti in cinese.

Chinatown, New York, 16 gennaio 2022 (An Rong Xu, The New York Times/Contrasto)

L’11 giugno del 1966 gli agenti di polizia Joseph LaVeglia e Chris Columbo, entrambi con capelli a spazzola e camicia a quadretti, arrivarono a Chatham square. Erano stati mandati dal comune per installare delle nuove scritte sulle cabine di polizia (postazioni telefoniche che permettevano di chiamare rapidamente la stazione di polizia locale). Le scritte spiegavano, in cinese, a cosa servivano le cabine e come usarle.

Queste istruzioni erano un primo tentativo della città di venire incontro al numero crescente di persone che non parlavano inglese correntemente. Uno sforzo motivato dall’immigrazione di massa da tutta la Cina e dalla diaspora generata dall’approvazione dell’Immigration act del 1965, che trasformò completamente l’immigrazione cinese negli Stati Uniti. Negli stessi anni stava nascendo un’altra iniziativa per aiutare i nuovi arrivati ad orientarsi nel quartiere. La camera di commercio cinese – una delle poche organizzazioni locali che facevano da collegamento tra Chinatown e la burocrazia cittadina – aveva chiesto al commissario per il traffico d’installare nella zona segnali con i nomi delle strade bilingui “per semplificare la vita alle migliaia di nuovi immigrati cinesi”, scriveva il New York Times nel 1969, “che arrivano con scarse conoscenze della lingua inglese e dell’alfabeto latino”. Ma l’idea d’introdurre segnali stradali cinesi “ufficiali” aprì una nuova questione: quali nomi usare? I dialetti cinesi hanno la stessa lingua scritta (in forme semplificate o tradizionali), ma la pronuncia di ciascun carattere può variare molto da un dialetto all’altro.

Alla fine degli anni sessanta la maggioranza degli immigrati di Chinatown veniva dalle città meridionali di Taishan e Canton (oggi Guangzhou). Anche se alla fine i nomi sarebbero stati scelti in base alle proposte della comunità e in modo che fossero foneticamente comprensibili a immigrati che parlavano altri dialetti, nei segnali si riconoscono soprattutto taishanese e cantonese.

Tuttavia, tra la fine degli anni sessanta e l’inizio dei settanta Chinatown si stava diversificando. Con persone provenienti da altre regioni, nel quartiere si diffusero rapidamente anche mandarino e fujianese. I segnali ormai non rispecchiavano la varietà dei dialetti, ma il fatto che ci fossero mostrava come stesse crescendo l’influenza di Chinatown, una comunità che era prosperata fino a diventare un centro commerciale per i cinesi di tutta New York.

Gesto di cortesia

Cent’anni dopo la fondazione del primo giornale cinese a Chatham street, il giovane urbanista Jerry S.Y. Cheng era in fondo alla strada e cercava di capire come orientarsi nel traffico caotico intorno a Chatham square. Dall’arrivo di Wong a Chinatown all’approvazione dell’Immigration act del 1965, la popolazione del quartiere era cresciuta regolarmente fino a raggiungere i 15mila abitanti. Quando Cheng si era trasferito negli Stati Uniti da Taiwan, nel 1969, il numero dei residenti aveva già cominciato a crescere rapidamente e nel 1985 raggiungeva la quota di settantamila. L’economia della zona, alimentata dai settori della ristorazione e dell’abbigliamento, era in pieno boom. C’erano più aziende, più negozi, più persone e più traffico.

Cheng riceveva molte richieste. “Venivano da me con i loro problemi perché sono cinese”, spiega. “Conoscevo le persone che contano, potevo tradurre: diventai una specie di ponte”. Fu in questo contesto che Cheng conobbe Li Libo, il presidente dell’Associazione benevola cinese consolidata, un’istituzione amministrativa informale (e spesso controversa) di Chinatown che sovrintende a una sessantina di organizzazioni.

Nel 1984 Li Libo convocò Cheng per parlare dei segnali delle vie. L’estensione di Chinatown ormai era cresciuta – secondo alcune stime addirittura raddoppiata – e aveva cominciato ad abbracciare zone che precedentemente erano considerate parte di Little Italy, Bowery e Lower east side. Dopo la famosa visita del presidente Richard Nixon in Cina, nel 1972, e il disgelo dei rapporti tra Cina e Stati Uniti, ogni anno arrivavano più immigrati che parlavano mandarino e fujianese. Con l’aiuto di Cheng, l’Associazione benevola chiese al dipartimento dei trasporti di espandere il programma dei nomi stradali bilingui per rispecchiare l’ampliamento della zona.

“Il dipartimento non fece molta resistenza”, dice David Gurin, che all’epoca era vicecommissario. “Era la comunità a chiedere le targhe anche in cinese, quindi in un certo senso si trattava di un gesto di cortesia”. L’unica disputa riguardò i confini di quei segnali (cioè i confini di Chinatown). Sembra che il dipartimento dei trasporti avesse commissionato uno studio di due mesi sull’estensione di Chinatown, ma i risultati di questo studio con ogni probabilità sono andati perduti. Quando ho chiesto a Cheng quali documenti secondo lui potevano essere stati conservati è scoppiato a ridere. “No, no. Non ci sperare”, ha detto. “Non penso che troverai granché. Quasi tutte le persone che parteciparono al progetto sono morte”.

Quello che sappiamo è che, una volta deciso a quali strade cambiare nome, l’ostacolo successivo ancora una volta fu scegliere i nomi cinesi. Questa volta a prendere le decisioni fu un comitato dell’Associazione benevola, che riuniva proprietari di aziende o di immobili e residenti di vecchia data che parlavano per lo più taishanese e cantonese. Il comitato doveva individuare i nomi per una Chinatown molto diversa, eppure alla fine le soluzioni scelte rappresentarono questi due dialetti, ignorando ampi segmenti dell’immigrazione più recente. Ignorarono anche i nomi colloquiali che erano diffusi in alcune zone del quartiere. Diverse ondate d’immigrati avevano chiamato le vie in modi che riflettevano la cultura di strada più che il nome inglese. Per esempio, a Chinatown in tanti conoscevano Mulberry street come Corpse street, via del cadavere, perché è piena di agenzie di pompe funebri, fiorai e negozi di statuette. Molti di questi nomi sono usati ancora oggi.

Eredità persa

Chinatown resta un vivace centro culturale per cinesi e sino-americani, e un primo approdo per i nuovi immigrati, ma si sta rimpicciolendo. Secondo il censimento del 2020, a New York gli asiatici sono la popolazione che cresce più rapidamente, ma tra tutti i quartieri Chinatown sta vivendo il più ampio esodo di residenti asiatici, che spesso preferiscono stabilirsi a Brooklyn e Queens.

Questi cambiamenti si spiegano con un intreccio di problemi che risale almeno all’11 settembre 2001. Il periodo successivo all’attacco alle torri gemelle diede un colpo durissimo all’economia cinese, soprattutto alla ristorazione e al settore dell’abbigliamento. Nel frattempo, la speculazione immobiliare e gli investimenti stranieri facevano aumentare il prezzo degli affitti.

Di recente, durante la pandemia di covid-19 sono aumentati gli attacchi razzisti e la violenza contro gli asiatici, e gli affari dei negozi della zona si sono ridotti. Negli ultimi anni le iniziative locali sono state indirizzate soprattutto all’organizzazione della vita comunitaria e delle manifestazioni, come quelle contro la chiusura di Jing Fong (lo storico ristorante di dim sum e l’ultimo ristorante sindacalizzato di Chinatown), la costruzione di una nuova prigione nel cuore del quartiere, gli ultimi provvedimenti della città per cambiare le destinazioni d’uso di alcuni spazi, la gentrificazione e l’allontanamento dei residenti. Le proteste per le violenze subite dagli asiatici hanno riempito piazze e parchi pubblici. Rispetto a lotte così importanti, questioni come i segnali stradali bilingui non suscitano particolare attenzione.

Per questo forse molte persone non si sono nemmeno accorte della scomparsa dei cartelli. A Chinatown oggi ne rimangono solo 101. Nel pieno del programma, ne erano stati ordinati almeno 155 da stampare. Delle quaranta strade per cui fu richiesto a un certo signor Tan di scrivere cartelli in caratteri cinesi, quasi la metà non ha più un solo segnale bilingue.

Secondo Alana Morales, ex viceaddetta stampa del dipartimento dei trasporti, “i segnali bilingui cinesi non figurano nel manuale per i dispositivi per il controllo uniforme del traffico su strade e autostrade del dipartimento dei trasporti degli Stati Uniti”. Questo significa, in sostanza, che se vengono abbattuti o danneggiati “sono sostituiti con segnali in inglese”.

Molte delle persone che parteciparono all’iniziativa degli anni ottanta sono morte e non ci sono forti pressioni per portare avanti il programma. I segnali sono considerati un programma straordinario destinato a morire lentamente, non una parte permanente dell’infrastruttura cittadina.

Nella Chinatown di oggi le organizzazioni come la camera di commercio cinese e l’Associazione benevola sono ancora influenti, tanto che i politici in cerca di sostegno nella zona frequentano i loro uffici. Ma mentre il quartiere continua a diversificarsi, il loro ruolo di collegamento tra la città e il quartiere è svanito.

Nel frattempo sono nate molte organizzazioni di attivisti che hanno nuove priorità e si rivolgono ad altri segmenti della popolazione cinese: questioni come alloggi a prezzi abbordabili, l’allontanamento degli abitanti tradizionali, i servizi comunitari e gli aiuti per il covid. Nessuno dei residenti locali, degli organizzatori di comunità, degli imprenditori e degli studiosi intervistati per questo articolo si era accorto che i segnali stavano scomparendo. ◆ gc

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Questo articolo è uscito sul numero 1481 di Internazionale, a pagina 54. Compra questo numero | Abbonati