Fateci caso, è un sorrisetto che interviene sempre e solo quando l’ospite dei talk show è un esterno: un romanziere, uno scienziato, un artista, un filosofo, uno insomma che la gente con i piedi per terra sente pregiudizialmente con la testa per aria. Il tema del dibattito, che so, è Giorgia Meloni, il suo fido atlantismo, la sua crescente statura di statista pragmatica. La chiacchiera, mettiamo, si svolge tra esperti di buona fama, politici di lungo e medio corso, giornalisti e affini che sul piccolo schermo sono in pianta stabile. L’Ucraina c’entra di sguincio, è ormai televisivamente usurata, suscita al massimo scara mucce cortesi tra chi è per la guerra ma anche per la pace e chi è per la pace ma anche per la guerra. L’estraneo, però, che ha un po’ di fama extratelevisiva, solo di Ucraina vuole parlare e senza i sentimenti giusti. Perciò non risponde a tono alle domande, butta paciosamente fango sugli onnipresenti liberator statunitensi, dice che non ci può essere pace se si vuole vincere e caso mai stravincere, foss’anche avviando una terza guerra mondiale. Il discorso dell’ospite è senza sperimentata furbizia politica, senza le briglie del linguaggio adeguato, quindi confuso e, come si dice, fuori luogo. Forse perciò genera a sorpresa una tensione che fa sbandare gli scafati e li induce non a dibattere ma a sorridere di sufficienza e di scherno. Il sorriso è insopportabile.

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Questo articolo è uscito sul numero 1510 di Internazionale, a pagina 14. Compra questo numero | Abbonati