Scrivo questo articolo il giorno in cui dal Cile è arrivata la bella notizia dell’elezione a presidente di Gabriel Boric, 35 anni. Entrerà in carica a marzo. Boric, di origini per metà catalane e per metà croate, si è fatto conoscere durante le proteste che hanno riempito le piazze cilene negli ultimi due anni. È di sinistra e aderisce all’Internazionale progressista. Ha sconfitto José Antonio Kast, il candidato di destra che ha pubblicamente ammesso di essere un ammiratore di Pinochet e Hitler. Fino agli ultimi giorni i sondaggi li davano in parità, ma alla fine Boric ha vinto la corsa nonostante tutti gli ostacoli che anche noi turchi conosciamo bene. Per esempio, il giorno del voto gli autobus hanno smesso di funzionare. In ogni caso l’ostinazione dei cileni ha avuto la meglio e l’ordine senza giustizia istituito nel 1973 da Pinochet, e integrato nella costituzione nel 1980 con un referendum fasullo, è finito.

Nel 1980, per costringere la Turchia ad abbracciare il libero mercato, fu organizzato un colpo di stato con il sostegno del governo statunitense. Lo stesso anno nel Regno Unito Margaret Thatcher inaugurava il giro di vite contro la sinistra britannica, cominciando dai lavoratori delle miniere. Insieme al presidente statunitense Ronald Regan, ripeteva: “Non c’è alternativa”. La strada era tracciata: le economie nazionali dovevano aprire alla libera circolazione dei grandi capitali; le proprietà pubbliche dovevano essere vendute; le pianificazioni economiche basate su metodi democratici dovevano essere abbandonate.

Il compito della politica oggi non è solo quello di dare voce alla rabbia, ma di trovare quel qualcosa in cui credere e renderlo popolare, perché le parole da sole non bastano

Così il mondo ha accolto il capitalismo sfrenato. Per far succedere tutto questo, in Turchia molti giovani sono stati impiccati, decine di migliaia di persone sono finite in prigione, centinaia di migliaia hanno subìto torture. Lo dico per i giovani che credono che il generale ed ex presidente Kenan Evren fosse un simpatico nonno che dipingeva brutti quadri. I settantenni che hanno ancora le cicatrici delle torture si ricordano cos’è successo. Anche Pinochet aveva le mani insanguinate, almeno quanto quelle di Kenan Evren. Ma ormai è stato dichiarato politicamente morto. Com’è potuto succedere?

Boric non ha mai abbandonato i movimenti di protesta nati in Cile nell’ottobre 2019. Ma, cosa ancora più importante, si è presentato alle elezioni insieme a una coalizione che fosse la più ampia possibile. Con le donne e la comunità lgbt+ a fare da bandiera. Non si deve prescindere da questo. Vi ricordate la coreografia Un violador en tu camino (Uno stupratore sulla tua strada) realizzata dalle donne cilene, che si è diffusa in tutto il mondo? La prima volta in cui è stata fatta era durante le manifestazioni contro le disuguaglianze, nell’ottobre del 2019. Boric e la sua coalizione hanno marciato con le donne. Chi cammina con le donne non resta mai a metà strada, in politica come nella vita.

Ora veniamo alla questione più importante. Boric ha vinto le elezioni dicendo che avrebbe messo fine alle disuguaglianze, alla situazione disumana del sistema sanitario e al saccheggio delle miniere. Se qualcuno tra i lettori pensa che tutto questo sia un sogno, ho qualcosa da aggiungere: il capitalismo non è la situazione naturale dell’umanità, non lo è mai stato. Ce l’hanno imposto con la forza. L’essere umano è intrinsecamente solidale, non è portato a competere fino a uccidere. E il mondo non è più quello di una volta. Dopo la crisi del 2008 le nuove generazioni ormai non credono più a promesse tipo “se lavori, guadagnerai”. Inoltre vedono che questo sistema vile e disuguale ha distrutto il pianeta. Nel giro di tre anni mi aspetto un’onda progressista in America Latina e delle proteste epocali dei giovani in Europa.

C’è una crepa nella storia mondiale e la Turchia non fa eccezione, al contrario di quello che vogliono farci credere. Ma in quale direzione si allargherà la crepa? Dipende da quello che faranno i partiti politici, i sindacati, la società civile e gli intellettuali. Se fosse vero quello che diceva Karl Marx, le persone a questo punto sovvertirebbero l’ordine costituito. Purtroppo l’essere umano è più complicato di così. Ma ha comunque bisogno di credere in qualcosa. Quando trova qualcosa in cui credere può fare tutto. Il compito della politica oggi non è solo quello di dare voce alla rabbia, ma di trovare quel qualcosa.

I regimi autoritari riescono a farlo: a noi può sembrare stupido, ma parlano alla gente di una causa, di una fede. Dal Regno Unito all’Ungheria, dagli Stati Uniti alla Turchia si applica sempre la stessa formula. A cosa crediamo? Per cambiare veramente le cose serve che quel qualcosa in cui credere diventi molto popolare, le parole da sole non possono cambiare il mondo.

Ora c’è una crepa. L’ordine costituito sta cambiando, cambierà. Non perché noi lo vogliamo, ma perché lo richiede la natura della politica e della storia. Altrimenti il mondo non potrà andare avanti. ◆ ga

Ece Temelkuran
è una giornalista turca che vive in Croazia. In Italia ha pubblicato Come sfasciare un paese in sette mosse (Bollati Boringhieri 2019). Ha scritto questa column per Internazionale e per la versione inglese del quotidiano online turco Duvar.

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Questo articolo è uscito sul numero 1442 di Internazionale, a pagina 38. Compra questo numero | Abbonati