La cosa peggiore del mal di mare è sapere che non morirai. Ma non fate questa battuta a quelli che ne soffrono. Non rideranno. Io lo sto imparando a bordo di una nave per l’osservazione delle balene nell’Eyjafjörður, uno dei fiordi più lunghi d’Islanda, a una sessantina di chilometri dal circolo polare artico. Sul volantino dell’agenzia che presentava quest’escursione c’erano foto di passeggeri allegri, a bocca aperta per lo stupore mentre guardavano una balena sollevare la coda sulla calma superficie dell’oceano.
Questa escursione è diversa. Vedo solo onde e nebbia, e una buona metà dei passeggeri rimpiange di essere qui in nove lingue diverse ma con una stessa reazione: vomita.
Una volta tornati a terra, il capitano Aðalgeir Bjarnason si affretta a pulire le fiancate e il ponte della nave prima dell’arrivo del prossimo carico di passeggeri. Spazza via con una pompa le pozzanghere di vomito, concentrate soprattutto nella parte centrale della nave e a poppa, che esibiscono gli ingredienti della zuppa del giorno offerta da un ristorante lì vicino. “Mais”, mormora nel tentativo di catturare quei chicchi gialli attaccati alla nave come balani. “Sembra che la gente non lo digerisca bene”.
È tutto quello che ha da dire sul mal di mare: un problema che rende così infelici da far passare la voglia di vivere a chi ne soffre, perfino su una nave che affonda, e scoraggia molte persone dal viaggiare per mare. Nel corso dei secoli marinai disperati hanno provato le anfetamine, l’agopressione, lo zenzero, le mele verdi e altri sistemi, che possono sconfiggere la nausea, ma non bastano a riportare l’organismo alla normalità.
Come per la digestione del mais, sembra che l’evoluzione umana semplicemente non sia riuscita a farci adattare al mal di mare.
L’unico modo per evitarlo è non viaggiare in nave, il che è relativamente facile. Ma le nuove tecnologie possono rendere più difficile sfuggire ad altre forme di cinetosi o nausea da movimento. Viaggiare in un’auto senza conducente, per esempio, fa aumentare i casi di cinetosi, soprattutto se il passeggero fa varie cose contemporaneamente. I grandi grattacieli hanno dato origine a un fenomeno chiamato nausea da altezza. Mentre la realtà virtuale provoca la cosiddetta cibernausea. Questi nuovi problemi stanno facendo tornare d’attualità un vecchio campo di ricerca con un’ondata di nuovi finanziamenti.
Akureyri, la cittadina che si trova alla fine dell’Eyjafjörður, è il più grande insediamento dell’Islanda settentrionale e un centro turistico dove l’osservazione delle balene è una delle principali attività. È anche il luogo dove ottanta ricercatori da quindici paesi si sono ritrovati per il primo congresso internazionale sulla cinetosi. Vogliono risolvere un problema che tormenta gli esseri umani da quando hanno cominciato a viaggiare in mare (mal di mare), sui carri (mal di carro), in lettiga (mal di lettiga) e sui cammelli (mal di cammello).
Davanti al centro congressi affacciato sul porto passano le navi per l’osservazione delle balene, dove i passeggeri stanno probabilmente sperimentando l’ostinato problema che è oggetto di discussione all’interno della struttura.
Conflitto sensoriale
Gli esseri umani attraversano i mari da almeno 65mila anni, quindi sembra opportuno che gli esperti di tutto il mondo si riuniscano per trovare una possibile soluzione a quello che finora è stato un disturbo inguaribile. Nonostante migliaia di anni di progressi nel risolvere i problemi dei viaggi per mare – la scoperta della cura per lo scorbuto, per esempio – la comprensione di questo tipo di nausea non è aumentata granché.
Probabilmente sono stati antichi marinai accidentali alla deriva sulle loro zattere a scoprire la dura verità: alcune persone ne soffrono moltissimo, altre meno. Ma tutti possono soffrire il mal di mare, e le soluzioni sono difficili da trovare.
I ricercatori stanno studiando l’orecchio interno delle balene per capire come i mammiferi marini si siano adattati al loro mondo fluido movimenti circostantio
Con un movimento abbastanza intenso, quasi chiunque può arrivare a provare l’insieme di sintomi noto come mal di mare: aumento della salivazione, nausea (il _feedback _gastrico che dice al cervello che sta succedendo qualcosa di strano), vomito, sudori freddi, eruttazione, ancora vomito, sbadigli, maggiore sensibilità agli odori e altri ancora. Quello che succede – soprattutto quando il mare è mosso e il tempo orribile – è generalmente interpretato dalla scienza come la reazione del cervello a un conflitto sensoriale. Prima che il mal di mare fosse collegato al cervello, si supponeva che il corpo umano fosse stato confezionato con l’istruzione “non agitare”. Perciò, intorno al 400 aC il medico greco Ippocrate scriveva che “navigare dimostra che il movimento disturba il corpo”. Circa 23 secoli dopo gli scienziati hanno individuato come responsabile delle sensazioni di equilibrio e movimento il sistema vestibolare situato nell’orecchio interno.
Il nostro corpo ha tre strumenti che cooperano per farci percepire la nostra posizione: la vista, il feedback propriocettivo (di muscoli, pelle e articolazioni) e il sistema vestibolare dell’orecchio interno. Occhi e muscoli rispondono all’ambiente circostante. Intanto, muscoli, pelle e articolazioni registrano quello che proviamo mentre ci muoviamo. I due orecchi interni rilevano il movimento circolare e lineare ed effettuano un controllo incrociato tra loro per dirci dove sono l’alto e il basso, e in più stabilizzano la visione.
Ma il movimento su e giù di una nave modifica questi segnali. L’orecchio interno si muove in su e in giù e da un lato all’altro con le onde. Ma gli occhi e i muscoli reagiscono alla cabina, che percepiscono stabile. Le onde vengono registrate dal cervello come una serie di segnali incomprensibili. Secondo un vecchio detto, ci sono tre tipi di persone: i vivi, i morti e quelli che soffrono il mal di mare.
Un grande malinteso
Il primo giorno della conferenza di Akureyri, mi appare subito chiaro che il trascurato campo di ricerca della cinetosi è dominato da due tipi di scienziati: i vecchi e i giovani. I vecchi, che di solito hanno una formazione medica, hanno cominciato la loro carriera studiando le reazioni dei piloti militari e degli astronauti quando i governi cercavano in ogni modo di far viaggiare gli esseri umani in aerei da combattimento superveloci e veicoli spaziali. I giovani – esperti di tecnologia, con presentazioni PowerPoint decisamente più belle – hanno pubblicato i primi risultati delle ricerche sulla cibernausea, le auto senza conducente, i grattacieli e gli sport estremi.
La cinetosi, come molti sottolineano, per definizione non è una malattia né un disturbo. Dal punto di vista clinico è “una risposta naturale a condizioni innaturali”. Ma a un certo punto non è più “naturale” e diventa un vero e proprio disturbo: se non riesci ad adattarti, anche dopo molte esposizioni, e continui a star male a lungo dopo che il movimento è cessato, diventa un problema e una malattia. Tuttavia, a differenza delle vertigini e forse anche del singhiozzo, la reazione di cinetosi non ha alcuno scopo pratico. A quanto pare è solo un grande malinteso.
“La spiegazione migliore è che la cinetosi è un po’ come gli altri tipi di nausea: serve a eliminare il veleno”, afferma John Golding, professore di psicologia applicata all’università di Westminster, a Londra, offrendo la spiegazione più comune del mal di mare nel suo discorso di apertura della conferenza. Secondo questa teoria, le vertigini e il vomito sono sistemi di riserva per individuare i veleni, nel caso in cui le papille gustative e il sistema chemiosensoriale gastrointestinale non riescano a riconoscere un pasto tossico, per esempio un fungo sbagliato o troppo alcool. In un ambiente mobile, la parte del cervello che elabora il movimento lo interpreta come capogiro e, attraverso i percorsi neurali, avvisa il “centro del vomito” situato nel bulbo o midollo allungato, la parte del cervello sopra il midollo spinale. E con un po’ di fortuna, ci sono alcuni secondi prima dell’arrivo del segnale che permettono di valutare la direzione del vento.
Se l’arca di Noè è esistita davvero, probabilmente la sua stiva era piena di scimmie, leoni ed elefanti con la nausea. La maggior parte degli animali ha questo rilevatore di veleno ausiliario: vomitano quando sono sbilanciati e soffrono gravemente di cinetosi. Secondo il mio gatto il mal d’auto è il motivo principale del fatto che è disoccupato e scarsamente motivato. In effetti, l’influenza dell’orecchio interno sulla cinetosi è stata confermata per la prima volta quando i ricercatori hanno rimosso chirurgicamente i sistemi vestibolari di scimmie e cani. Senza un orecchio interno funzionante, gli animali non risentivano del movimento.
Attualmente, i ricercatori dell’ospedale universitario di Reykjavík stanno studiando l’orecchio interno delle balene per capire come i mammiferi marini si siano adattati al loro mondo fluido. I loro sistemi vestibolari sono relativamente piccoli e sottosviluppati rispetto a quelli dei mammiferi terrestri, quindi causano una minore sensibilità ai movimenti circostanti. Probabilmente le balene non soffrono il mal di mare. Secondo uno studio del 2009, invece, durante un volo aereo a gravità zero i pesci hanno sofferto di cinetosi: hanno cominciato a girare in tondo, a fare capriole e in generale a comportarsi in modo confuso. Quando volano nello spazio, le rane si comportano allo stesso modo.
Durante il periodo di adattamento all’assenza di gravità, la cinetosi è una minaccia costante per gli astronauti e può avere conseguenze letali se vomitano all’interno della tuta spaziale. Nel 1970 la Nasa ha promosso due rane toro – selezionate perché la struttura del loro orecchio interno è simile a quella degli umani – al ruolo di anfibi spaziali. Dalla base Nasa di Wallops, in Virginia, la navicella Orbiting Frog Otolith, un’unità a forma di cono alta un metro con all’interno una vaschetta d’acqua per le rane, è stata lanciata in un’orbita terrestre bassa. La missione è durata cinque giorni – durante i quali le reazioni delle rane sono state seguite attraverso microelettrodi impiantati chirurgicamente nell’orecchio interno – e ha permesso di capire quale tipo di movimento provoca la cinetosi in una rana. Terminato l’esperimento, i due animali sono morti nello spazio (com’era previsto).
La frequenza del cammello
La cinetosi è legata a movimenti stranamente specifici. Possiamo provarla sciando ma non andando in bicicletta, cavalcando un cammello ma non un cavallo. La differenza sta nella frequenza del movimento. I cavalli e le biciclette oscillano a frequenze troppo rapide per confondere l’orecchio interno. Esiste una frequenza di movimento precisa – non troppo alta né troppo bassa – che fa scattare la sconnessione percettiva. Sui grandi aerei commerciali meno dello 0,5 per cento dei passeggeri soffre di cinetosi, mentre sugli aerei più piccoli e più lenti usati per i voli a corto raggio ne soffre il 25 per cento.
Uno studio condotto nel 1982 su un gruppo di militari britannici ha dimostrato che, se il mare non era troppo mosso, circa il 25 per cento soffriva di cinetosi, mentre il dato arrivava al 70 per cento se era agitato e con onde più alte. E quando i marinai si riprendono dalla nausea – anche quelli che non soffrono di cinetosi – in realtà hanno ancora il mal di mare senza accorgersene.
Nel caso di incidenti, per esempio, il mal di mare viene raramente considerato una causa, a meno che la persona coinvolta stesse vomitando proprio in quel momento. Secondo gli esperti è un errore. Molto tempo dopo aver superato la nausea, un pescatore con il mal di mare continua a sentirsi affaticato, ha la pressione sanguigna alterata e una percezione distorta dello spazio. “Potrebbe sentirsi abbastanza bene per lavorare”, afferma il medico islandese Hannes Petersen, “ma il cervello si comporta come se stesse per addormentarsi”.
Petersen studia i rischi nascosti del mal di mare da più di vent’anni. Quando studiava medicina in Svezia ha dedicato la sua tesi di dottorato al ruolo dell’orecchio interno nel controllo posturale degli esseri umani. Dopo gli studi è stato assunto come medico part-time sugli elicotteri di soccorso, un incarico che inizialmente non sembrava collegato alle sue ricerche. Il lavoro lo ha portato sul luogo di incidenti automobilistici e valanghe, nei disabitati altipiani islandesi e in qualsiasi luogo remoto dove fosse necessario aiuto urgente. Ma soprattutto lo ha portato in mare aperto. I pescatori erano i pazienti più comuni, e rispetto alle persone che svolgevano professioni simili a terra, come i muratori, erano molto più a rischio di subire traumi cranici, perdere un arto o cadere dall’alto. Oggi Petersen pensa che la cinetosi sia probabilmente la causa di molti degli incidenti in cui sono coinvolti i marinai, sia in mare sia quando tornano a terra.
Non esiste nessun modo di prepararsi alla cinetosi: le uniche soluzioni che funzionano a lungo termine sono sopportarla o evitarla
Nei primi tre o quattro giorni di navigazione, il cervello si adatta al nuovo ambiente modificando i sensori di equilibrio, imparando a respingere la reazione dell’orecchio interno e affidandosi soprattutto al corpo per interpretare il movimento e mantenersi in equilibrio. Durante i momenti di transizione, e ogni volta che il tempo peggiora, i compiti nuovi e le attività cognitive che riguardano l’orientamento spaziale sono particolarmente difficili. Queste attività dovrebbero essere evitate per motivi di sicurezza. Poi, quando l’oceano si calma di nuovo, il corpo torna a fare maggiormente affidamento sull’orecchio interno. Nell’imprevedibile Atlantico settentrionale, nel corso di un viaggio di più giorni il cervello si sposta avanti e indietro tra questi sensori di equilibrio, e l’adattamento finale avviene solo quando si torna sulla terraferma, dopo aver superato il mal di terra.
Il mal di terra, clinicamente definito mal de debarquement, si verifica quando ci sembra che il suolo si muova sotto i nostri piedi. La sua intensità varia da persona a persona: qualcuno prova solo un leggero senso di instabilità per qualche minuto, mentre altri hanno difficoltà ad addormentarsi per un paio di giorni perché hanno la sensazione che il letto stia ondeggiando. Ma il fastidio di solito sparisce prima che ci sia un vero e proprio adattamento. Come il mal di mare può portare a calcolare male il movimento di un boma, l’incapacità di calcolare la posizione del nostro corpo nello spazio può verificarsi anche mentre si guida o si salgono le scale. Alcuni pescatori islandesi sostengono di avere le loro regole per i primi giorni che passano a terra – per esempio, evitano di guidare – ma a volte non si rendono conto del rischio che ancora corrono. Nel 2019 Petersen e i suoi colleghi hanno condotto un sondaggio tra 262 pescatori e hanno scoperto che, rispetto al resto della popolazione, hanno più probabilità di finire in ospedale. “Le norme per la sicurezza in mare dovrebbero essere applicate anche a terra”, dice Petersen.
L’interno dell’Islanda è un altopiano desolato con strade di ghiaia che sembrano andare dal nulla al nulla. L’unica cosa che divide il panorama è l’orizzonte: terra scura sotto e cielo grigio o azzurro sopra, come sull’oceano in una giornata serena. In uno dei miei primi ricordi d’infanzia ero seduto sul sedile posteriore di un fuoristrada rugginoso, con mio padre che guidava seguendo una mappa di carta ingiallita. Mia madre era rimasta a casa e mio fratello maggiore avrebbe preferito farlo, perché aveva il mal d’auto. Ne ha sempre sofferto più di me, e per un po’ ho avuto il cinico sospetto che fosse solo una scusa per sedersi davanti. “Guarda fuori dal finestrino”, diceva mio padre a voce abbastanza alta da superare il rumore del vecchio motore. Come i passeggeri della nave per l’osservazione delle balene che avrei osservato molto tempo dopo, non riuscivamo a vedere l’orizzonte, non a causa della nebbia, ma perché non eravamo abbastanza alti per guardare fuori dal finestrino.
Ammoniaca e oppio
Si calcola che circa una persona su tre sia particolarmente soggetta alla cinetosi. Queste persone cominciano a soffrire il mal di mare già per un movimento minore, ci mettono più tempo ad adattarsi e se il movimento non è regolare perdono prima l’adattamento. È impossibile prevedere chi ne soffrirà, ma esistono alcune caratteristiche comuni. Le persone che hanno disturbi al sistema vestibolare sono gli unici adulti a esserne immuni; hanno anche una reazione emetica più lenta ai veleni alimentari, il che conferma la spiegazione della cinetosi basata sulle tossine.
Neanche i bambini sotto i sei anni di solito soffrono il mal di mare. Diventano ipersensibili alla cinetosi quando il loro cervello è abbastanza maturo da elaborare e prevedere il movimento. I bambini dai nove ai dieci anni hanno quattro volte più probabilità di soffrirne rispetto ai trentenni. Le donne ne soffrono più degli uomini, soprattutto durante le mestruazioni e la gravidanza. I sondaggi condotti sui passeggeri delle navi dimostrano che la proporzione tra donne e uomini è di cinque a tre. Anche l’attività fisica sembra far aumentare il rischio di cinetosi, perché il sistema nervoso di una persona in forma è più sensibile rispetto a quello di chi non lo è. E anche se i geni della cinetosi non sono stati individuati, il mal di mare è ereditario ed è più frequente in alcune popolazioni. I risultati di alcuni studi fanno pensare che gli europei tollerino meglio il movimento rispetto agli asiatici.
In mare aperto e nello spazio siamo tutti uguali, almeno all’inizio. Prima di partire per lo spazio, gli astronauti ricevono il miglior addestramento possibile con gli aerotrim (giroscopi grandi abbastanza da contenere una persona) e i voli a gravità ridotta. Eppure, nei primi giorni in orbita, il 70 per cento dei principianti è destinato a soffrire. Non esiste nessun modo di prepararsi alla cinetosi, le uniche soluzioni che funzionano a lungo termine sono sopportarla o evitarla. Dallo studio di Petersen del 2019 è emerso che l’88 per cento dei pescatori islandesi ne ha sofferto, soprattutto quando ha cominciato a lavorare. Più tempo passano in mare e meno ne soffrono, anche se circa il 28 per cento la prova all’inizio di ogni viaggio. Molti hanno raccontato di sistemi particolari che usano per evitarla e curarla.
Nel 1838, la prestigiosa rivista medica The Lancet sosteneva che “il modo migliore per trattare il mal di mare” era stendere il paziente con gli occhi coperti su un’amaca attaccata a lunghe corde sul ponte, più vicino possibile al centro della nave. L’autore dell’articolo aggiungeva che “se si vuole somministrare un palliativo, dev’essere una forte dose di una miscela di ammoniaca e oppio”. È un ottimo consiglio, a parte l’ammoniaca e l’oppio. Quando il tempo è abbastanza buono, stare distesi al centro della nave con gli occhi puntati sull’orizzonte e muovendo poco la testa funziona. Aiuta anche stendersi in cabina con gli occhi chiusi, senza leggere libri o guardare il cellulare.
Prima di partire, è bene mangiare quello che si pensa possa essere utile (non è chiaro se siano meglio le proteine o i carboidrati) e bere acqua per evitare la disidratazione. Niente alcol e nemmeno fumo, perché la nicotina è un veleno. Ma per i tabagisti questo potrebbe essere controproducente, perché avrebbero anche i sintomi dell’astinenza. Da alcuni studi risulta che lo zenzero e il ginger ale riducono la nausea, ma le prove sono scarse, come anche quelle sui braccialetti e i cerotti che simulano l’agopressione.
I medicinali possono solo ritardare l’adattamento, quindi non funzionano se non nei viaggi brevi. Quasi tutti i farmaci contro il mal di mare in commercio sono stati inventati decenni fa per contrastare la nausea e le vertigini reprimendo il sistema vestibolare. È il caso della prometazina, che viene somministrata dopo gli interventi chirurgici, e della Xamamina (dimenidrinato), un medicinale da banco che ha diversi effetti collaterali. Il farmaco più efficace, che non provoca la solita sonnolenza, è probabilmente lo Scopdex, ma provoca assuefazione perché contiene l’anfetamina per contrastare la sedazione ed è usato solo per scopi militari. L’industria farmaceutica non considera la cinetosi una priorità, e anche se i ricercatori hanno testato varie sostanze sugli animali, negli ultimi quindici anni il numero di farmaci per questo disturbo non è molto cambiato. Ma continuate a guardare avanti e vedrete altre soluzioni arrivare dalle nuove tecnologie.
Oceani virtuali
Nel 1886, quando nacquero i grandi schermi cinematografici, gli spettatori che sedevano in prima fila provavano la spiacevole sensazione che il loro corpo si muovesse anche se era fermo.
Questa cinetosi indotta dai movimenti sullo schermo era più leggera del mal di mare e più facile da curare: bastava distogliere lo sguardo o chiudere gli occhi. Fino a quando la realtà virtuale e i simulatori non si sono diffusi, non si dava molta importanza a questo tipo di cinetosi. Ma oggi, nell’era dell’intrattenimento sempre più visuale, è diventata sia un problema sia una potenziale soluzione.
“Cerco di non far provare la nausea a nessuno ”, dice nell’atrio del centro congressi Franck Assaban, un fisioterapista francese che ha in mano un visore per la realtà virtuale. Il visore trasmette sequenze di oceani piacevolmente soleggiati che vanno dal calmo al mosso, mentre l’utente sta in piedi su una piattaforma che si muove insieme alla nave, su e giù, su e giù. I finti passeggeri possono reggersi a un parapetto e abituarsi a mantenere l’equilibrio mentre il mare si muove, cavalcando le onde e sperimentando la reazione naturale dei navigatori esperti, che richiede un’accurata anticipazione del movimento. Con questo simulatore ci si può abituare a mantenere l’equilibrio prima di mettersi in mare, dice Assaban.
Questo addestramento è rivolto alle persone che soffrono di cinetosi, ma è utile anche per chi viaggia in mare di rado ma per lunghi periodi, come gli scienziati che partecipano a una spedizione. È necessario sottoporsi a un lungo addestramento in laboratorio. “Un trattamento completo prevede dalle dieci alle trenta sedute, di solito due volte alla settimana”, spiega Assaban. Sostiene di aver aiutato una donna che si era innamorata di un uomo che viveva su una barca. Non riusciva a restare a bordo neanche cinque minuti, figuriamoci una notte.
Provo il simulatore. È intenso e coinvolgente. A prescindere da quanto il mondo virtuale possa essere applicato a situazioni reali, penso che l’allenamento dia alle persone una sensazione di maggior controllo e sicurezza. Come quando si viaggia in auto: i passeggeri possono sentirsi male, ma il guidatore di solito no, perché è in grado di prevedere i movimenti del veicolo. Di recente alcuni psicologi dell’università di Westminster hanno verificato che le tecniche di respirazione controllata possono funzionare per il mal di mare e che dopo un po’ di pratica raggiungono un’efficacia del 50 per cento rispetto ai farmaci. La tecnica di respirazione è semplice ma rassicurante, un’altra versione del detto keep calm and carry on (mantieni la calma e vai avanti).
Nell’ultimo pomeriggio della conferenza il programma prevede che i partecipanti navighino nel fiordo, ma l’evento è stato annullato e tutti si dirigono verso i bar di Akureyri. Qualunque sia stato il motivo dell’annullamento – secondo Petersen una questione di fattibilità e costi – sono sollevato. Sulle navi islandesi, almeno quelle sulle quali ho lavorato, il mal di mare è trattato con un atteggiamento da tossicodipendenti. Non c’è nessun problema. Negare, negare, negare. Ma salire su una nave piena di esperti di mal di mare? Le loro conversazioni mi ricorderebbero che è inevitabile, e starei male al primo sintomo.
Per la maggior parte della storia d’Islanda, non è stato possibile lasciare il paese senza soffrire di nausea per un giorno o due, anche se non lo volevi ammettere. Secondo antichi resoconti scritti su pelle di vitello, il primo a insediarsi sull’isola fu il navigatore svedese Gardar Svavarsson intorno all’870. Dopo averci passato un duro inverno decise di abbandonarla. Mentre lui e la sua ciurma si preparavano a partire, tre dei marinai scapparono e invece di tornare a casa colonizzarono questa terra ostile. Non è chiaro perché presero quella folle decisione, e gli storici hanno dato solo vaghe spiegazioni basate sulle differenze di status sociale. Ma soffrire di mal di mare è terribile. Sarà questo il motivo per cui l’Islanda è diventata abitata? ◆ bt
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Questo articolo è uscito sul numero 1367 di Internazionale, a pagina 60. Compra questo numero | Abbonati