Una vittoria parziale per le forze radicali. Il 10 aprile al primo turno delle elezioni presidenziali francesi i loro candidati hanno ottenuto la maggioranza dei voti, con la destra che ha incassato più preferenze del presidente in carica Emmanuel Macron. I partiti tradizionali di centrosinistra e di centrodestra, invece, sono stati polverizzati. E ora? Chi vincerà il ballottaggio tra Macron e Marine Le Pen? Entrambi hanno i numeri per farcela.

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Il solo pensiero che Le Pen possa occupare la più alta carica francese è difficile da accettare. Ma, dopotutto, siamo nell’epoca dell’inimmaginabile. In Europa, dopo settant’anni di stabilità generale che avevamo scambiato per normalità, ci stiamo gradualmente rendendo conto che pace, democrazia e ricchezza sono eccezioni. Preziose e fragili.

Oggi sono minacciate dalla guerra di sterminio condotta dalla Russia in Ucraina, dalle derive di stampo fascista di uno dei due maggiori partiti statunitensi, e dal terremoto che una vittoria di Marine Le Pen in Francia provocherebbe inevitabilmente nel cuore dell’Unione europea.

L’Europa è riuscita a gestire in modo più o meno dignitoso la Brexit e i nazionalismi autoritari in Ungheria e Polonia, ma se i lepenisti dovessero conquistare la presidenza francese l’immagine che l’Unione ha di se stessa sarebbe distrutta dall’interno. Insieme alla Germania, la Francia è il pilastro dell’Unione.

Le democrazie possono logorarsi e crollare se la politica non si preoccupa di rinnovare costantemente le loro fondamenta. Un requisito necessario per la loro stabilità è la speranza dei cittadini di poter migliorare la propria esistenza attraverso gli strumenti della democrazia. Nel 2017 la vittoria di Emmanuel Macron alle presidenziali francesi è stata determinata dalla convinzione che un nuovo stile di governo potesse vincere l’inerzia del sistema politico e rivitalizzare il paese, restituendogli splendore e grandezza. Che sia stata colpa di Macron o delle circostanze, quella speranza è ormai svanita. La pandemia di covid-19 ha sfiancato i cittadini. La guerra in Ucraina e l’inflazione li hanno abbattuti ancora di più.

Il potere del mito

Quando la speranza muore, resta un vuoto che dev’essere colmato. Con cosa? Con il materiale culturale che si ha a disposizione e in particolare con la droga più potente: il mito. Ogni nazione ha il mito della sua unicità, così come quello della sua frustrazione, perché il mito si scontra con la realtà. Lo vediamo chiaramente in paesi diversi come Stati Uniti e Russia, Ungheria e Germania. E anche in Francia.

Da decenni si parla del declino della nazione, un tema sempre attuale sulle pagine dei giornali. Questa tesi è usata per spiegare problemi e crisi, le pretese dell’economia globalizzata, i rischi a cui vanno incontro anche i redditi ritenuti sicuri e le crescenti contraddizioni sociali.

Emmanuel Macron dopo l’annuncio dei risultati del primo turno delle presidenziali, Parigi, 10 aprile 2022 (James Hill, The New York​ Times/Contrasto)

Negli ultimi anni si è scritto molto delle cupe condizioni di quella Francia che non è né urbana né rurale, ma fatta di vasti spazi informi, di case a schiera comprate con il mutuo in cui non vivono i poveri o i cosiddetti gruppi marginali, ma i lavoratori a basso reddito condannati al pendolarismo. Saggi, reportage, editoriali e studi sociologici smentiscono il luogo comune secondo cui questa Francia, il terreno di coltura del movimento dei gilet gialli, sarebbe ignorata da tutti. Questo purtroppo non cambia nulla per i suoi abitanti. Si sentono trascurati ed emarginati. Rispetto a chi? Alle élite globalizzate e ai migranti, almeno secondo quanto sostiene la destra.

Il popolo francese vittima di potenze straniere a cui deve ribellarsi: questa narrazione è più vecchia della repubblica e costituisce il nucleo ideologico dell’estrema destra. Trova espressione nelle celebrazioni in onore di Giovanna d’Arco che il Rassemblement national (Rn), il partito di Marine Le Pen, organizza ogni anno il 1 maggio. In campagna elettorale Le Pen ha abilmente ripreso questo tema. Ha saputo cogliere la più grande preoccupazione della maggioranza della popolazione: l’inflazione e il calo del potere d’acquisto dei redditi bassi e medi. Le Pen ha prima di tutto indicato un colpevole (Macron, ovviamente) e poi ha promesso un referendum sull’immigrazione per limitare l’ingresso dei cittadini stranieri. L’inflazione non ha nulla a che fare con l’immigrazione, ma nella visione del mondo razzista ci sono poveri buoni e poveri cattivi. I buoni hanno più risorse da spartirsi se ci sono meno cattivi in circolazione.

Questa commistione di problemi concreti e ansie razziste si è rivelata così efficace che nemmeno la guerra in Ucraina è riuscita a danneggiare Le Pen. Da qui al 24 aprile, quando si terrà il ballottaggio, l’effetto del conflitto sarà sempre più marginale. Il legame ideologico e finanziario di Le Pen con il regime di Vladimir Putin non è un grave ostacolo, dato che in Francia un certo distacco verso il fronte occidentale è piuttosto comune.

Quando Charles de Gaulle fece uscire la Francia dai comandi militari della Nato, nel 1966, confermò nel paese la convinzione di avere un ruolo speciale. Il ritorno nella struttura operativa dell’alleanza atlantica, deciso da Nicolas Sarkozy nel 2009, è stato incompleto e molto criticato. Le Pen non solo vuole ribaltare la decisione di Sarkozy, ma si oppone anche alle sanzioni contro la Russia, che secondo lei mettono in pericolo i redditi dei francesi. La candidata dell’Rn sa bene quante simpatie si attirerà e quante ne allontanerà con questa posizione, e il saldo è probabilmente a suo favore.

Il sovranismo di Le Pen, che si scaglia contro la Nato e l’Europa (anche se non chiede più di uscire dall’Unione europea), è condiviso da molti, a destra e a sinistra. Proprio come molte delle proposte a livello sociale ed economico, per esempio il controllo dei prezzi. Al ballottaggio Le Pen potrebbe conquistare una parte degli elettori di sinistra, anche se la sua politica sociale va a vantaggio della “nostra gente” e non degli immigrati. In ogni caso Le Pen può contare sui voti dei rivali di estrema destra: la sera delle elezioni Éric Zemmour ha invitato i suoi elettori a votare per lei.

Come può difendersi Macron? A sinistra non c’è un bacino abbastanza grande in cui poter pescare. L’argomento “tutto tranne Le Pen” non fa più molta presa tra le persone di sinistra. L’opinione diffusa è che non si può sempre correre in soccorso dei candidati della classe media. Soprattutto perché in tema di politiche fiscali, lotta al cambiamento climatico e diritto d’asilo Macron non ha fatto concessioni alla sinistra. E non può certo mettersi a corteggiarla ora, perché rischierebbe di allontanare chi ha votato per lui e perderebbe la possibilità di attirare gli elettori di destra.

Macron deve sperare che l’elettorato di sinistra segua l’appello lanciato la sera del primo turno da Jean-Luc Mélenchon, il candidato della France insoumise. Il miglior oratore della politica francese ha ripetuto più volte che “neanche un voto deve andare a Le Pen”. Dopotutto, nel 2017 un terzo degli elettori che avevano votato per lui al primo turno si era schierato con l’estrema destra al ballottaggio.

Da sapere
I tre poli
Risultati del primo turno delle elezioni presidenziali francesi del 10 aprile 2022, candidati più votati, percentuali (fonte: Ministero dell’interno Francese)

Macron ha però quasi esaurito tutto il bacino della destra moderata. Valérie Pécresse, candidata dei Républicains, non ha superato il primo turno e ha dichiarato che voterà per Macron al ballottaggio, ma questo annuncio è stato accolto da parecchi fischi. Anche Sarkozy, che in campagna elettorale si è rifiutato di sostenere la sua odiata compagna di partito Pécresse, si è espresso a favore del presidente in carica. Ma si tratta di poche manciate di voti: Pécresse non è arrivata nemmeno al cinque per cento.

Per Macron quindi la strada può farsi molto stretta: deve assicurarsi di conquistare voti un po’ ovunque, soprattutto tra la massa degli astenuti che davvero non ne possono più della politica.

Fattori imprevedibili

Una serie di fattori di difficile valutazione influirà sul ballottaggio del 24 aprile. In primo luogo, la dinamica innescata dall’esito del primo turno. La poca differenza di voti tra Macron e la sua sfidante mobiliterà i sostenitori dell’uno e dell’altra. In secondo luogo, eventi imprevedibili possono rovesciare gli equilibri: attacchi, errori tattici, shock di politica estera. Infine, c’è il duello televisivo del 20 aprile tra Macron e Le Pen.

Nelle ultime settimane la candidata dell’Rn ha tratto vantaggio dall’essersi concentrata principalmente sulle questioni di politica economica e sociale, ma non è detto che continui così. Stavolta Le Pen si sarà preparata a fondo in vista del dibattito per evitare un altro disastro come quello del 2017, ma Macron ha due assi nella manica. Per prima cosa ne sa semplicemente più di lei, in secondo luogo, il presidente può sostenere di aver difeso il paese dalle conseguenze della pandemia e della guerra. Macron, che aveva promesso e poi realizzato riforme economiche liberali, non ha esitato ad aumentare la spesa pubblica per finanziare le misure di contrasto alla crisi. La sua riforma del mercato del lavoro invece potrebbe non valergli molti consensi: l’inflazione è in cima alle preoccupazioni dei francesi.

Per non smentirsi, Macron ha risposto a queste paure annunciando di voler alzare l’età pensionabile da 62 a 65 anni e imporre a chi riceve i contributi sociali di lavorare almeno 15 ore a settimana. È stata una mossa intelligente? Dopotutto, non deve preoccuparsi tanto degli elettori del campo liberale quanto piuttosto di quelli attratti dalla retorica sociale dell’Rn, per i quali questi annunci non fanno che confermare l’impressione che Macron è un manager cinico ed elitario.

Oltre il secondo turno

La tensione elettorale però non finirà con il ballottaggio. A giugno si voterà per l’assemblea nazionale francese. I candidati saranno decisi in complicate trattative in cui spesso ci si preoccupa più del proprio seggio in parlamento che del futuro del partito. Gli accordi tattici possono portare a formazioni trasversali se non addirittura alla fondazione di nuovi partiti. Il sistema francese è più volatile che in altri paesi europei, anche a causa della relativa debolezza del parlamento.

Se Le Pen dovesse diventare presidente, però, potrebbe essere seriamente ostacolata da un parlamento in maggioranza ostile, oltre che dalle sacche di resistenza nella pubblica amministrazione e nella magistratura. Ma sono magre consolazioni.

Le Pen al potere sarebbe una catastrofe per la Francia, per l’Europa e per il mondo intero, perché sarebbe anche una vittoria per Putin. Non bisogna dimenticare che la Francia è una potenza nucleare con un seggio nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

E se invece Macron dovesse farcela? Dopo il fallimento elettorale il centrodestra potrebbe spaccarsi in due: una parte si schiererebbe con il presidente, mentre l’altra unirebbe le sue forze con l’Rn e i sostenitori di Éric Zemmour. Macron avrebbe allora l’obbligo di fare tutto il possibile per garantire che l’Eliseo rimanga a prova di estremisti anche dopo di lui. ◆nv

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Questo articolo è uscito sul numero 1456 di Internazionale, a pagina 42. Compra questo numero | Abbonati