La storia recente di Pino Insegno e Max Giusti ha un sapore amaro. Lanciati a domare il cavallo di viale Mazzini, secondo la vulgata imbizzarrito da tutto ciò che non fosse sinistro, vivono sulla loro pelle le asperità delle trincee altrui. Il primo, voce ufficiale di Giorgia Meloni, l’altro quasi candidato dall’allora Mario Monti, entrambi romani brizzolati, rugantini dai lunghi curricula, sono stati chiamati a interpretare le aspirazioni di un governo che nelle scarpe non ha sassolini ma serci. I loro programmi sono partiti con fatica, disattendendo le promesse. Qualcuno accusa Fake show di Giusti di essere una copia di altri successi e Il mercante in fiera di Insegno un revival superato in un palinsesto di pesi massimi. Si levano voci di cancellazioni, si tentano manovre per recuperare mezzo punto di share, si rilasciano dichiarazioni che alludono a colpe altrui, si scorgono all’orizzonte dirigenti imbarazzati e silenzi eloquenti. Anche nella mente dei due artisti, che avrebbero voluto suonare le campane a lutto contro l’ingiustizia passata, come fece il Marchese del Grillo, forse s’insinua il sospetto di essere finiti in una tagliola, in un vuoto di strategia che rischia di mutilarne la carriera. Come Sordi e Gassman nella Grande guerra, o nel racconto che lo ispirò, I due amici di Maupassant, Insegno e Giusti fronteggiano eroicamente l’unico destino a cui può condurre il virile motto “armiamoci e conducete”. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1532 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati