Fingendo di vivere in un’epoca incline al dibattito, anche la provocazione del sottosegretario Alessandro Morelli, secondo cui in tv si dovrebbero allontanare artisti che si esprimono senza contraddittorio, potrebbe avere cittadinanza intellettuale. Le sue parole hanno un’eco marziale, certo, ma se vivessimo in un’altra epoca, appunto, qualcuno abile di pensiero potrebbe trovarci la tesi di Pasolini che non perdonava alla tv la sua natura autoritaria, l’essere sempre cattedratica anche quando pretende di apparire democratica. In quest’epoca forse non saremmo d’accordo neppure con Pasolini, perché avremmo troppo a cuore la libertà d’espressione per dettagliare sul modo con cui viene esercitata. Il fatto è che in tv, gli artisti appaiono spesso fuori misura, in abiti troppo stretti o in una stanza che non è la loro. L’ambizione universalista dell’arte è mortificata dal tempo effimero della scaletta. Giulio Carlo Argan esortava gli artisti a entrare in Rai per “sabotarla” con le loro forme contemporanee. Ma oltre a Giosetta Fioroni, Pino Pascali e Mario Sasso, poco accadde. Lucio Fontana, nel 1952, in piena sperimentazione, fu sedotto da questo oggetto che emetteva luci bianche e nere e dava nuova linfa allo “spazialismo”, taglio catodico tra finzione e realtà. Ma non si andò oltre la teoria. La tv ha sempre avuto nostalgia dell’arte e degli artisti, amori impossibili, oggetti tra i pochissimi che è incapace di divorare. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1551 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati