La partecipazione di Israele all’Eurovision song contest è a rischio per via della ballata October rain, che ricorda la mattanza compiuta da Hamas il 7 ottobre 2023. Molti paesi soprattutto nordeuropei avevano già chiesto l’esclusione di Israele dopo l’invasione di Gaza. L’Ebu, l’ente organizzatore, sta cercando una via d’uscita con una moral suasion che nelle intenzioni vorrebbe preservare lo spirito unitario delle origini, ma poi sbatte il muso contro la difficoltà di ridurre un evento planetario a una gioiosa galleria d’innocue canzonette. Laddove ci sono un palco, una telecamera e un pubblico in mondovisione, impossibile che l’attualità non pretenda il suo spazio in scaletta. È già successo nel corso della storia eurovisiva: nel 1976 i greci cantarono contro l’occupazione turca di Cipro, nel 2005 gli ucraini portarono un inno alla rivoluzione arancione, nel 2007 gli israeliani si esibirono contro i missili iraniani, nel 2015 gli armeni riuscirono a cantare l’anniversario del genocidio, e a Torino nel 2022 la band ucraina conquistò l’edizione italiana con i voti “politici” contro Putin. Prima ancora ci fu la magia del 2009, quando un’israeliana e una palestinese si esibirono insieme sul palco di Mosca davanti alle bandiere dei due popoli. Una foto che a riguardarla oggi sembra prodotta dall’intelligenza artificiale per mezzo di una stringa di comando che da sola contiene le parole dell’unica canzone da cantare. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1552 di Internazionale, a pagina 78. Compra questo numero | Abbonati