Niram Ferretti
La luce del Regno
Giuntina, 270 pagine, 18 euro

Forse è una nuova voga, quella dei romanzi altamente intellettuali in risposta alla proliferazione delle narrazioni insipide e conformi. Niram Ferretti, esordiente che s’immagina non più giovanissimo ed esperto in storia dell’arte, narra di Mattia Almiti, un professore, appunto, di storia dell’arte, che si muove agilmente tra più parti d’Europa e che piange il suo passato, il rapporto difficile con la madre, la perdita di un fratello e quella di un giovane amante, Yannis, morto per overdose, ragionando continuamente sul senso delle cose. Sempre a partire da una profonda conoscenza della pittura di più epoche (soprattutto di Rembrandt) e della filosofia contemporanea francese. Si parla di amore e di morte, di società e di arte nella convinzione che “solo ciò che si è amato dura”. “L’uomo è un essere dentro una geografia di mondi” e si tratta di ragionare sui perché e sui come nella ricerca della luce. La scommessa è narrare la luce, cercare la luce. Non è un romanzo facile, l’esordio di Ferretti. Per le sue grandi ambizioni e per il bisogno di scavare nelle ragioni e nei dolori di un’esistenza. Ma propone una speranza per Mattia Almiti, professore di storia dell’arte e intellettuale nostro contemporaneo. Di cercare la luce, a partire dalla luce della pittura, “l’anno prossimo a Gerusalemme”.

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Questo articolo è uscito sul numero 1434 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati