È il ventinovesimo secolo e la Terra è una discarica. Gli esseri umani sono scappati secoli fa dopo averla resa inabitabile con il loro insaziabile consumismo. Restano solo montagne di rifiuti a perdita d’occhio. È l’ambientazione di Wall-E, il film della Disney Pixar del 2008. Ma se non ci diamo da fare potrebbe avvicinarsi alla realtà. “Conosciamo tutti la sfida che abbiamo davanti”, afferma Mary Ryan dell’Imperial college di Londra. “Ci sono metalli tossici sulle vette dell’Himalaya, fibre di plastica nelle profondità dell’oceano. L’aria inquinata uccide più persone della pandemia. È un problema di proporzioni enormi”.

Negli anni in cui è stato realizzato Wall-E, l’inquinamento e i rifiuti erano in cima alla lista delle priorità ambientali. Al summit mondiale sullo sviluppo sostenibile del 2002 in Sudafrica i leader mondiali si erano accordati per ridurre al minimo gli effetti dell’inquinamento chimico – forse il più insidioso e problematico – sull’ambiente e sulla salute delle persone. Avevano fissato la scadenza nel 2020 (spoiler: non ci sono riusciti).

Negli ultimi anni al centro delle preoccupazioni degli ambientalisti ci sono stati i cambiamenti climatici e la perdita della biodiversità, ma all’inizio del 2021 le Nazioni Unite hanno rimesso l’inquinamento in primo piano: il rapporto “Making peace with nature” dichiara che è la terza grande emergenza planetaria. “È un’affermazione che corrisponde al rischio reale? Sì, lo è”, dice Ryan.

“La scelta di dargli la massima importanza è giustificata”, afferma Guy Wood­ward, anche lui docente dell’Imperial college. La domanda, però, è di quali sostanze inquinanti dovremmo preoccuparci: “Molte sono innocue. Altre no. Alcune creano interazioni pericolose. Su questo dovremmo concentrarci”.

L’inquinamento, il sottoprodotto tossico delle nostre attività economiche, è antico quanto la civiltà. Dai carotaggi effettuati nei ghiacci della Groenlandia sono emerse tracce di piombo e rame lasciate dalla fusione dei metalli nell’età del bronzo. I primi prodotti chimici sintetici, cioè inesistenti in natura, risalgono alla metà dell’ottocento. Come per la maggior parte delle attività umane che devastano il pianeta, la velocità con cui abbiamo creato nuovi inquinanti e abbandonato gli scarti nell’ambiente è aumentata in modo esponenziale dopo la seconda guerra mondiale, seguendo una tendenza degli ultimi settant’anni chiamata la “grande accelerazione”.

Le sostanze chimiche di sintesi e i loro sottoprodotti fanno parte della nostra vita più di quanto sia mai successo prima. Nel 1950 in tutto il mondo si producevano 1,5 milioni di tonnellate di plastica. Nel 2017 erano diventate 350 milioni. Si prevede che nel 2050 saranno due miliardi. Tra il 2000 e il 2010 la produzione dell’industria chimica nelle economie in via di sviluppo è aumentata di più di sei volte, afferma il rapporto dell’Onu. Secondo l’International council of chemical associations (Icca, l’associazione che rappresenta le aziende chimiche a livello mondiale), la fabbricazione del 95 per cento delle merci si basa su un qualche tipo di processo chimico industriale.

Non sappiamo quante sostanze chimiche sintetiche sono state immesse sul mercato. Sappiamo solo che sono nell’ordine delle decine di migliaia

In ogni fase del loro ciclo di vita, le sostanze chimiche sintetiche possono contaminare la natura, avvelenando potenzialmente l’ambiente, la fauna selvatica e gli esseri umani. “Sono ovunque”, afferma Zhanyun Wang del Politecnico federale di Zurigo. La manifestazione più visibile sono i rifiuti di plastica, ma è solo la punta dell’iceberg. “Rilasciamo nell’ambiente molte sostanze chimiche, su cui non abbiamo fatto controlli”.

Le orche in via d’estinzione

Non è sempre facile attribuire effetti tossici a una sostanza o a un gruppo di sostanze, ma sappiamo che molti prodotti di uso comune sono tossici per gli esseri umani e gli animali, o quantomeno lo sospettiamo. Tra questi ci sono i policlorobifenili (pcb), usati come refrigeranti e lubrificanti industriali: se ingeriti, possono essere potenti perturbatori del sistema endocrino. Ci sono anche le sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche (pfas) usate principalmente per realizzare rivestimenti idrorepellenti e antimacchia.

Un caso chiaro e ben documentato degli effetti dannosi dei pcb è quello di una popolazione di orche che vive al largo della costa occidentale del Regno Unito, e che sembra destinata all’estinzione perché non riesce a riprodursi da quasi trent’anni. Una femmina adulta trovata morta nel 2016 sull’isola scozzese di Tiree aveva l’utero non sviluppato e presentava livelli di pcb cento volte superiori alla soglia di tossicità per i mammiferi marini. Sono “livelli astronomici”, afferma Paul Jepson dell’Istituto di zoologia di Londra.

In tutti questi anni non siamo rimasti solo a guardare. Aderendo alla convenzione di Stoccolma sugli inquinanti organici persistenti, entrata in vigore nel 2004, la maggior parte dei paesi del mondo si è impegnata a vietare o a limitare drasticamente l’uso delle sostanze chimiche più tossiche. L’elenco originale comprendeva le peggiori, la “sporca dozzina”: otto pesticidi (tra cui aldrin, dieldrin, ddt e mirex), due prodotti chimici industriali (pcb ed esaclorobenzene) e due classi di sottoprodotti industriali (diossine e furani).

Oggi, rispetto alla versione originale, l’elenco è lungo più del doppio. La convenzione di Stoccolma è considerata un esempio relativamente riuscito di accordo ambientale multilaterale, anche se le sue procedure di valutazione sono state criticate perché considerate superate. Inoltre i prodotti che vieta sono una goccia nell’oceano. Non sappiamo quante sostanze chimiche sintetiche sono state immesse sul mercato. Sappiamo solo che sono nell’ordine delle decine di migliaia. Questi composti possono rimanere nell’ambiente per anni, complicando ulteriormente le cose. “Le sostanze chimiche molto persistenti, come i pfas e la plastica, ci mettono secoli, se non millenni per scomparire”, afferma Wang.

Woodward sottolinea che, una volta nell’ambiente, le sostanze chimiche sintetiche possono interagire con altre ed essere trasformate dagli organismi viventi, formando miscele e prodotti di degradazione con effetti diversi. Se teniamo conto di questi fattori, il numero delle sostanze di cui dobbiamo preoccuparci cresce in modo esponenziale, dice Leon Barron, della facoltà di medicina dell’Imperial college. Della maggior parte non sappiamo niente, così come non ne conosciamo i rischi per la salute umana e per l’ambiente.

In economie industrializzate come quelle dell’Unione europea, le aziende che vogliono fabbricare o commercializzare una nuova sostanza chimica devono convincere le autorità che non è pericolosa. Questo regolamento, noto con l’acronimo Reach ed entrato in vigore nel 2007, adotta il principio di precauzione, cioè parte dall’ipotesi che le sostanze chimiche sintetiche siano sempre colpevoli fino a prova contraria. Queste regole non si applicano alle sostanze prodotte prima del 2007.

In altre parti del mondo le leggi sono molto meno severe. In molti casi i produttori mantengono le informazioni riservate, giustificandosi con la tutela della proprietà intellettuale, o pubblicano una documentazione ambigua. Se teniamo conto anche delle miscele e dei prodotti di degradazione, afferma Woodward, “non sappiamo praticamente niente della stragrande maggioranza delle sostanze chimiche”.

Varie organizzazioni hanno compilato delle liste di sostanze pericolose. Tra le più utili, spiega Barron, c’è la direttiva quadro sulle acque dell’Unione europea, che elenca sia i problemi già noti sia le nuove fonti di preoccupazione.

Questo elenco ha dato indicazioni utili ai ricercatori e ha contribuito ad alcuni successi: per esempio, aveva segnalato la pericolosità per le api e altri insetti dei pesticidi neonicotinoidi, che nel 2018 sono stati vietati quasi del tutto nell’Unione europea.

Residui della produzione di pigmenti di biossido di titanio, usati per realizzare vernici e coloranti bianchi, vicino a Celje, Slovenia, 2019 (Milan Radisics)

L’attuale sistema di valutazione della tossicità chimica non è adeguato. In genere si prende una sostanza e se ne studiano gli effetti su due o tre organismi. Non si riesce a farlo per ogni singola sostanza sintetica conosciuta, figuriamoci per i prodotti di degradazione e le miscele. “Il Sole potrebbe spegnersi prima che ce la facciamo”, commenta Woodward. Un altro problema, aggiunge, è che i test tossicologici non danno molte informazioni su come un composto si comporterà in un ambiente complesso del mondo reale.

Molte sostanze sintetiche non sono necessarie. A causa dei conflitti sulla proprietà intellettuale, le aziende spesso ne inventano di nuove con le stesse funzioni di altre già esistenti, spiega Ryan. Altre sono create per scopi non essenziali. Gli imballaggi in plastica per alimenti sono spesso colorati di nero per motivi estetici, ma la tintura rende la plastica non riciclabile, racconta Wang. I prodotti cosmetici possono contenere agenti volumizzanti come le microplastiche, che costano poco ma sono potenzialmente dannose. Anche se scopriamo che una sostanza è nociva, spesso eliminarla non è un’opzione. “Purtroppo, con le tecnologie a disposizione, è impossibile”, afferma Wang. “E lo è anche dal punto di vista economico. Eliminare gli pfas dall’acqua potabile negli Stati Uniti costerebbe migliaia di miliardi di dollari”.

Se continuiamo a immettere sostanze chimiche nell’ambiente senza sapere esattamente cosa siano o cosa facciano, potremmo raggiungere un punto di non ritorno. L’idea del punto di non ritorno per l’inquinamento chimico è stata espressa nel 2009 da Johan Rockström dell’università di Stoccolma, che ha formulato il concetto di “limiti planetari”, intesi come i limiti all’abitabilità della Terra, che superiamo a nostro rischio e pericolo. Uno di questi riguarda l’inquinamento chimico, che dev’essere “una priorità negli interventi preventivi e nelle nuove ricerche”.

Un limite indefinibile

Finora non è stato possibile dire qual è il limite tollerabile. “È un problema difficile”, osserva Ryan. “L’inquinamento chimico è un sistema troppo complesso per poter definire un confine ragionevole. Forse potremmo fare un elenco delle sostanze chimiche indicando quale pensiamo che sia il loro limite tollerabile. Ma anche solo capire dove si trovano quelle sostanze è davvero complicato”. Wang è d’accordo: “È difficile stimare questi limiti. Ma se sapessimo meglio quante e quali sostanze sintetiche sono state prodotte e usate, forse potremmo trovare dei metodi per avere delle risposte”.

Quello di cui abbiamo bisogno, dice Gregory Bond, che lavora per lo studio di consulenze ambientali Manitou View Consulting, è un inventario globale. Wang si spinge oltre suggerendo l’istituzione di un organismo internazionale sul modello del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc) per raccogliere e sintetizzare le prove dell’inquinamento chimico e fornirle ai responsabili delle politiche ambientali.

Un lago inquinato dagli scarichi di una miniera, Huelva, Spagna, 2019 (Milan Radisics)

Ne esiste uno anche per la biodiversità, la Piattaforma intergovernativa sulla biodiversità e sui servizi ecosistemici (Ipbes). Crearne un altro per l’inquinamento chimico sarebbe coerente con la definizione di terza maggiore crisi globale, afferma Wang. Lui e altri scienziati hanno esposto questa tesi in un articolo sulla rivista Science nel febbraio 2021. Una campagna per sostenerli ha già raccolto più di 1.900 firme in 85 paesi.

Questa e altre iniziative sembrano riscuotere consensi. L’Onu si sta preparando all’assemblea biennale sull’ambiente, che si aprirà a Nairobi, in Kenya, il 28 febbraio e fisserà le priorità per i prossimi anni. I partecipanti a una riunione preparatoria erano d’accordo che le tre emergenze planetarie vanno affrontate insieme. “Le tre crisi sono i cambiamenti climatici; perdita di natura e di biodiversità; i rifiuti e l’inquinamento. Cioè la scia tossica del nostro sviluppo economico che essenzialmente avvelena e soffoca il pianeta”, afferma Inger Andersen, la direttrice esecutiva del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep). “Se non affrontiamo questi problemi con onestà e determinazione, andremo incontro a un futuro che non possiamo neanche immaginare”.

“Sono crisi legate tra loro, che si rafforzano a vicenda”, afferma Ivar Baste, ex vicedirettore generale del ministero dell’ambiente norvegese, e principale autore del rapporto “Making peace with nature”. I legami tra la crisi climatica e la perdita di biodiversità sono già stati appurati ed è chiaro che l’inquinamento chimico le causa entrambe.

Le cose funzionano anche in senso inverso. Gli ecosistemi sono abbastanza resistenti agli attacchi degli inquinanti, afferma Woodward, ma il loro degrado li rende più fragili. Anche le temperature più alte possono amplificare i danni. “Il modo in cui le sostanze chimiche reagiscono e si degradano dipende dalla temperatura”, afferma Ryan. “Se a causa dei cambiamenti climatici le temperature oscillano di più, anche quelle reazioni ne risentono”.

Ancora una volta, però, non ne sappiamo abbastanza. “Non solo abbiamo bisogno di informazioni su come si comportano oggi le sostanze chimiche”, commenta Woodward, “ma anche su come si comporteranno in un mondo sempre più caldo”.

Zero inquinamento

L’obiettivo immediato delle Nazioni Unite è arrivare a un pianeta senza inquinamento entro il 2030. Sembra impossibile da raggiungere, ma non ha impedito a Ryan e ai suoi colleghi di lanciare un progetto chiamato Transition to zero pollution (transizione verso l’inquinamento zero).

Da sapere
Pericoli conosciuti

Si stima che il numero di sostanze chimiche sintetiche prodotte dagli esseri umani sia compreso tra 25mila e 140mila, con una media ampiamente citata di centomila. Una ricerca del 2019 ha calcolato che si fabbricano e vendono tra i 40mila e i 60mila agenti chimici industriali in Canada, Cina, Unione europea, Giappone e Stati Uniti. Questi paesi rappresentano il 75 per cento della produzione mondiale. Ecco gli inquinanti più pericolosi.

Amianto Un insieme di minerali silicati usati come isolanti termici e ignifughi negli edifici. Il danno che l’amianto provoca nei polmoni quando è inalato fu riconosciuto già negli anni novanta dell’ottocento, ma i divieti sono stati introdotti solo negli anni sessanta del novecento. Molti paesi, compresi gli Stati Uniti, ne permettono ancora l’uso.

Metalli pesanti Non esiste una definizione universalmente accettata, ma la maggior parte degli elenchi include piombo, mercurio, cromo, arsenico e cadmio. In determinate forme, tutti possono essere tossici, sono ampiamente usati e vengono rilasciati dai combustibili fossili. Sono stati fatti tentativi per ridurre al minimo l’esposizione, come rimuovere il piombo tetraetile dalla benzina. Un recente rapporto delle Nazioni Unite segnala però la presenza preoccupante di “piombo nelle vernici” e mette in evidenza i pericoli del cadmio e dei suoi composti, altamente tossici e cancerogeni anche a piccole dosi. Il cadmio ha vari usi industriali: batterie, leghe, pigmenti, celle solari, additivo nel pvc. Può anche contaminare gli alimenti, perché si trova nelle rocce ricche di fosfati usate per produrre i fertilizzanti.

Pesticidi altamente pericolosi Nel 1962 la biologa statunitense Rachel Carson attirò l’attenzione del mondo sulla tossicità dei pesticidi con il libro Primavera silenziosa (Feltrinelli 2016). All’epoca l’Organizzazione mondiale della sanità stimava che ogni anno si usassero un milione di tonnellate di pesticidi. Oggi se ne impiegano sei volte di più. I composti progettati per uccidere o indebolire gli organismi indesiderati si sono spesso rivelati molto tossici. La coalizione Pesticide action network tiene un elenco di più di trecento pesticidi pericolosi e chiede l’eliminazione di queste sostanze entro il 2030.

Cfc L’azione contro i clorofluorocarburi (cfc) e altre sostanze che consumano l’ozono, usate come refrigeranti e propellenti per aerosol, è un raro esempio di successo di un trattato ambientale. Grazie al protocollo di Montréal, entrato in vigore nel 1989, si stanno lentamente chiudendo i buchi causati da questi prodotti chimici nello strato di ozono. Si stima che l’ozono nell’atmosfera tornerà al livello precedente all’arrivo dei cfc entro il 2070.

Interferenti endocrini Sono sostanze in grado d’interagire con il sistema endocrino degli esseri umani. Sono una categoria ampia, che include i policlorobifenili (pcb) e i polibromodifenileteri (pbde), usati come ritardanti di fiamma, il bisfenolo A e gli ftalati, usati per ammorbidire la plastica, e l’acido perfluoroottanoico (pfoa). Il pfoa appartiene a una classe di sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche (pfas) impiegate come tensioattivi e antimacchia. In origine erano state giudicate inerti e sicure, ma oggi sappiamo che si accumulano nei tessuti umani. Alcuni interferenti endocrini sono considerati “inquinanti organici persistenti”, cancerogeni e tossici per i sistemi riproduttivo, nervoso e immunitario.

Prodotti farmaceutici Molti farmaci sono per definizione altamente bioattivi e resistenti alla degradazione. Una volta rilasciati nell’ambiente, possono avere effetti negativi sulla fauna selvatica. L’antinfiammatorio diclofenac, per esempio, è velenoso per gli avvoltoi che si nutrono di animali morti. I più comuni “inquinanti farmaceutici ambientali persistenti” sono antidolorifici, antibiotici, ipolipemizzanti, farmaci per l’epilessia ed estrogeni contenuti nei contraccettivi orali. Al momento non c’è un quadro globale per valutarne i rischi o limitarne l’uso. ◆ New Scientist, Regno Unito


Zero inquinamento significa zero assoluto, dice la studiosa. Per arrivarci, dobbiamo creare un’economia chimica circolare in cui tutto ciò che usiamo è innocuo, riciclabile o trattabile. Ryan non si fa illusioni su quanto tempo ci vorrà e quanto sarà difficile. “Abbiamo bisogno di un cambiamento radicale dei nostri sistemi economici e industriali e dei modelli commerciali”.

Secondo Zhanyun Wang l’industria non reagirà bene, ma Ryan non è così sicura. Alcune aziende chimiche con cui lavora vogliono regole più severe: “Ma se non cambiano le politiche, non possono prendere l’iniziativa, perché non reggerebbero la concorrenza”. Queste aziende sono anche nel mirino dell’opinione pubblica. “Vorrei poter dire – ma non ne sono sicura al cento per cento – che visto quello che è successo con la crisi climatica, questa volta si comporteranno meglio. Il settore ci tiene a mostrare la sua sensibilità ambientale”.

Abbiamo chiesto all’Icca se le aziende dell’associazione concordano sul fatto che la situazione dell’inquinamento e dei rifiuti è grave quanto la crisi climatica e la perdita di biodiversità e, in caso affermativo, come si stanno comportando al riguardo. La risposta è stata: “Il mondo deve affrontare molte sfide, tra cui l’inquinamento e i rifiuti. L’Icca s’impegna a promuovere prodotti chimici e tecnologie sicuri, innovativi, efficaci ed economicamente praticabili, caratteristiche essenziali per favorire scelte sostenibili”. La tecnologia fornisce nuovi modi per risolvere il problema. Le procedure di analisi stanno migliorando: Barron afferma che ora può esaminare miscele di migliaia di sostanze con un unico strumento in grado di identificarle tutte. I modelli informatici e i sistemi di machine learning (apprendimento automatico) dell’intelligenza artificiale stanno permettendo ai tossicologi di selezionare ed eseguire analisi complete solo sulle sostanze chimiche segnalate come potenzialmente dannose, semplificando la valutazione del rischio. “Abbiamo già cominciato a usare ciò che sappiamo per fare previsioni”, afferma Barron. L’apprendimento automatico può anche aiutare a immaginare come si comporteranno le miscele di più sostanze una volta in natura, aggiunge Woodward.

Finora le autorità di sorveglianza non si sono fidate del machine learning per determinare i rischi nel mondo reale, ma con lo sviluppo di queste tecnologie potrebbe essere solo questione di tempo, afferma Barron. In ogni caso le valutazioni più accurate fornite dagli algoritmi ci consentiranno di progettare agenti chimici più sicuri in futuro.

Per quanto riguarda le sostanze già presenti nell’ambiente, le nuove tecnologie stanno anche aiutando nel trattamento dei rifiuti. In alcune delle regioni più ricche del mondo, il trattamento delle acque reflue, dove finiscono molti inquinanti, è stato rivoluzionato da tecnologie di biorisanamento, che riescono a purificare l’acqua contaminata e smaltire in sicurezza i residui. “Il modo in cui bonifichiamo oggi le acque reflue è straordinario”, afferma Barron. “È quasi completamente biologico”.

Si comincia a parlare anche di “uso essenziale” (una specie di tappa intermedia verso l’inquinamento zero), secondo il quale il mondo dovrebbe accettare di ridurre l’uso dei prodotti sintetici a quelli indispensabili, e idealmente ai meno dannosi. Non tutte le sostanze chimiche sono tossiche, ricorda Woodward. “Di molte abbiamo bisogno. La maggior parte sembra relativamente innocua. Ma ce ne sono alcune che sono estremamente pericolose, parecchio nocive, e dobbiamo individuare quelle di cui preoccuparci. Dobbiamo trovare un equilibrio tra rischi e benefici”.

Per Wang non possiamo più rimandare: “Spero che i governi di tutto il mondo mostrino più impegno perché siamo davanti a una delle più gravi minacce globali”. Siamo stati avvisati. ◆ bt

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1447 di Internazionale, a pagina 54. Compra questo numero | Abbonati