Nella piazza di Aleppo intitolata a Basil al Assad, il fratello maggiore dell’attuale dittatore siriano morto in un incidente d’auto nel 1994, c’era una statua equestre dedicata a lui. Il 30 novembre i ribelli l’hanno tirata giù con una corda, lasciando sul piedistallo solo il cavallo. In altre parti della città del nord della Siria sventola la bandiera della “rivoluzione siriana”, verde, bianca e nera con tre stelle: un altro segno che questo centro con circa due milioni di abitanti è ora controllato, a quanto pare interamente, dagli insorti provenienti dalla vicina provincia di Idlib. La città è caduta come un castello di carte, compresa l’antica cittadella che la sovrasta e dove dieci anni fa, ai tempi della guerra civile, c’erano stati aspri combattimenti tra le forze del regime e i ribelli.

La caduta di Aleppo è stata rapida e inattesa: un video pubblicato il 30 novembre sul social media X mostra un soldato siriano catturato per strada mentre andava a comprare le sigarette. Chiaramente non sapeva che la città vecchia era stata conquistata dai ribelli nella notte. Il giorno prima controllavano solo un terzo di Aleppo.

Sabato gli insorti hanno imposto il coprifuoco. Secondo varie testimonianze, alcuni poliziotti erano arrivati in città da Idlib per rassicurare i residenti che la loro vita e le loro proprietà sarebbero state protette. Ma con un’offensiva lampo, lanciata il 27 novembre, i ribelli hanno travolto l’esercito. Ci sono stati pochi combattimenti, ma sono state fatte esplodere due auto in attacchi suicidi che hanno permesso di sfondare le difese governative. Le forze del regime hanno opposto una resistenza minima e poi hanno negoziato la resa. Anche l’importante base aerea di Abu Douhour, tra Aleppo e Idlib, è stata rapidamente occupata dagli insorti. Da questo aeroporto militare partivano i droni che bombardavano quasi quotidianamente l’enclave di Idlib, l’ultimo territorio in Siria rimasto nelle mani delle forze ribelli. Proprio per mettere fine agli attacchi su Idlib, sempre più intensi, è stata lanciata l’offensiva “Dissuadere l’aggressione”. È possibile che inizialmente gli insorti non volessero conquistare Aleppo, ma che abbiano approfittato della scarsa resistenza delle forze governative per avanzare.

“L’offensiva è stata presentata come una campagna per difendersi dai crescenti attacchi del regime”, ha dichiarato Dareen Khalifa, ricercatrice dell’International crisis group al sito libanese Ici Beyrouth. Ma i ribelli “osservano anche i cambiamenti regionali e strategici in corso”. La loro avanzata ha di fatto coinciso con l’entrata in vigore della tregua tra la milizia sciita libanese Hezbollah e l’esercito israeliano. Dopo Aleppo, gli insorti si sono diretti verso la provincia di Hama. Questa grande città in passato si è spesso rivoltata contro la famiglia Assad. Nel 1982 la repressione governativa causò circa ventimila morti.

Per fermare i ribelli l’aviazione russa ha bombardato Aleppo: i primi attacchi sono cominciati il 30 novembre all’alba. Nel pomeriggio una bomba ha ucciso 16 civili, sostiene l’Osservatorio siriano per i diritti umani, un’organizzazione con sede a Londra. È la prima volta dal 2016, cioè da quando Damasco ha strappato Aleppo alle forze d’opposizione, che gli aerei russi bombardano la città.

Una coalizione ampia

“Le linee di difesa del regime cadono una dopo l’altra”, afferma il politologo e giurista Firas Kontar, autore di Syrie, la révolution impossible (Éditions Aldeia 2023). “Stiamo assistendo al collasso dell’esercito siriano, che ha abbandonato centinaia di veicoli blindati. I soldati non vogliono morire per un regime che li paga venti dollari al mese. Per quanto riguarda i miliziani di Hezbollah, molti hanno lasciato la Siria per rafforzare le unità combattenti in Libano, dove i più agguerriti sono stati uccisi, mentre gli altri non vogliono più combattere per un regime che, ai loro occhi, li ha abbandonati nella guerra con Israele”.

A questo si aggiunge il fatto che Israele ha indebolito Hezbollah in Siria, attaccando le forniture militari provenienti dall’Iran, attraverso l’Iraq. Ogni volta Damasco non ha reagito. Kontar aggiunge: “Bashar al Assad aveva tanta fiducia nei suoi alleati che non ha nemmeno provato a riorganizzare o riformare l’esercito. Si è accontentato di rivendicare la vittoria e di pavoneggiarsi ai vertici della Lega araba, mentre lasciava migliaia di feriti e invalidi a marcire nella miseria. Oggi paga il prezzo dei suoi errori”.

Anche la Russia, che nell’autunno 2015 insieme all’Iran ha svolto un ruolo decisivo nel salvare il regime di Assad, sembra in difficoltà a dare il suo contributo. La maggior parte dei piloti attivi in Siria sono stati richiamati per la guerra in Ucraina.

Sul fronte ribelle, è una coalizione molto ampia ad affrontare il regime siriano. È dominata dal gruppo jihadista salafita Hayat tahrir al Sham (Organizzazione per la liberazione del Levante, Hts), che prima si chiamava Fronte al nusra ed è stato a lungo affiliato ad Al Qaeda, anche se oggi sostiene di aver interrotto i legami con l’organizzazione. All’Hts si affiancano gruppi vicini o controllati dalla Turchia. “Ci sono tutti i combattenti ostili al regime”, insiste Kontar. “Tutti quelli che sono stati cacciati dalle aree lealiste trovando rifugio nell’enclave di Idlib. Ma ci sono anche ragazzi che avevano appena quindici anni quando si sono dovuti rifugiare in quella provincia, e che ora ne hanno venticinque”.

Vista la portata, non ci sono dubbi sul fatto che l’offensiva ribelle fosse in preparazione da mesi. Ma sorprende che gli onnipresenti servizi segreti siriani, Mosca e Teheran non ne fossero a conoscenza. Il 29 novembre la Russia ha rimproverato il regime di Damasco invitandolo a “mettere ordine al più presto”, mentre Teheran ha denunciato un complotto statunitense. Di certo Ankara, che controlla indirettamente l’enclave di Idlib, ha dato il via libera all’offensiva, dopo un tentativo fallito di riavvicinamento con la Siria, che chiede il ritiro delle truppe turche schierate nel nord del paese. ◆ adg

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Questo articolo è uscito sul numero 1592 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati