Negli ultimi tempi si parla molto del 41 bis, il cosiddetto carcere duro. Come sostiene Cosima Buccoliero in Senza sbarre (Einaudi 2022), del carcere dovrebbe parlare solo chi ne ha fatto esperienza, in un modo o nell’altro. Io ci ho insegnato, e l’unico posto simile e altrettanto inutile e atroce dal punto di vista morale a cui mi sentirei di paragonarlo è un allevamento intensivo. I detenuti in Italia sono davvero trattati come “altri animali”. Non dovremmo dimenticare che siamo un po’ tutti, prima che cattolici, figli di Epicuro e Lucrezio, per i quali “la vita non sempre va conservata” e non si vede che piacere si ricavi dal sapere che qualcuno, per quanto cattivo possa essere stato, vive la sua esistenza in uno stato tale per cui morire sarebbe assai più dignitoso. Per cosa lo stiamo punendo se non lo stiamo rieducando, e perché? Per lanciargli un avvertimento? Di cosa? Del fatto che chi dovrebbe garantire il diritto alla giustizia troppo spesso finisce per esercitare quella stessa forza che avrebbe dovuto reprimere? Se non si osservano le gabbie, per umani e animali, che circondano le periferie della nostra “civile società” è praticamente impossibile comprendere cosa siano la morale e la libertà. E forse – storia complicata – una sottile linea rossa unisce i sostenitori del 41 bis e lo specismo. Se siete felici della vostra libertà solo perché qualcuno ne è privato, ricordatevi una cosa: nessuno, umano o animale, che viva in una gabbia pensava di finirci davvero. Fate attenzione. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1500 di Internazionale, a pagina 98. Compra questo numero | Abbonati