Nella prefazione alla prima edizione dell’Anti-Edipo di Gilles Deleuze e Félix Guattari, il filosofo Michel Foucault ammoniva su alcuni princìpi fondamentali del pensiero rivoluzionario. I più significativi: non innamorarsi mai del potere e ricordarsi che non bisogna essere tristi per fare una rivoluzione, anche se ciò che si sta cercando di combattere è mostruoso. Ricordarsi, in sintesi, che la forza rivoluzionaria è nel legame tra desiderio e realtà (e che di desiderio non ce n’è mai abbastanza). Oggi più che mai l’ecologia dovrebbe ricordarsi del monito di Foucault: smetterla con la tristezza, la fine del mondo imminente, le cose che non dobbiamo fare, e convertirsi in una nuova teoria del desiderio. Salvare la nostra alleanza con la Terra significa poter desiderare ancora, fare ancora l’amore, correre ancora in un prato, fare ancora dei figli, respirare ancora aria pulita, continuare a fare arte. Ma soprattutto significa fare tutte queste cose inventando nuovi modelli per la nostra forma di vita animale. La migliore arma, quando si lotta contro qualcosa d’immenso come la crisi climatica, è produrre una pratica di gioia e non fossilizzarsi sulle passioni tristi. Prendere coscienza comporta, diversamente da quanto si crede, un enorme godimento: sentire che siamo parte del problema che dobbiamo risolvere è una cosa meravigliosa, fa coincidere l’egoismo con l’altruismo. La metodologia dell’ecologia non è il pessimismo, ma neanche l’ottimismo: è il desiderio. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1510 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati