Nel gennaio 2021, mentre lavorava al confine tra la Siria e la Turchia, il fotoreporter Mehmet Aslan ha fotografato Munzir al Nazzal, 33 anni, siriano, che aveva perso una gamba in un attentato. L’immagine lo ritraeva appoggiato su una stampella mentre giocava con il figlio Mustafa, cinque anni, nato senza braccia né gambe. Al Nazzal sollevava in aria il bambino. Aslan ha intitolato lo scatto Hardship of life (La fatica di vivere) e nell’ottobre 2021 ha vinto il premio foto dell’anno al Siena international photo awards.

Dopo lunghe trattative tra la diocesi di Siena, la Caritas, gli organizzatori del premio e le autorità turche, il 21 gennaio 2022 Al Nazzal, sua moglie Zeynep, e Mustafa sono arrivati in Italia da un campo profughi in Turchia. “Non ringrazierò mai abbastanza il popolo italiano e la chiesa per quello che hanno fatto per noi”, ha detto Al Nazzal, che ha perso la gamba destra nel 2014 a causa di una bomba nel bazar di Idlib, in Siria. Nel 2017 Zeynep era incinta di Mustafa. Quell’anno è rimasta coinvolta nell’attacco con il gas sarin a Khan Shaykhun, nel nordovest della Siria, una città controllata dai ribelli. Morirono 89 persone. Secondo le Nazioni Unite dietro l’attacco c’erano le forze governative.

Mehmet Aslan, Siena awards 2021

Un farmaco che le è stato dato per curarla ha danneggiato il feto e Mustafa è nato senza arti a causa della sindrome di tetra-amelia.“Per undici anni il presidente siriano ha fatto guerra al suo popolo”, dice Zeynep. “A causa del conflitto migliaia di persone hanno perso gambe e braccia. Nella mia città c’erano altre quattro donne incinte, anche loro vittime dell’attacco con il gas sarin. I figli sono nati con la stessa malformazione di Mustafa”. Il bambino ha bisogno di protesi elettroniche che in Turchia non si trovavano. Pediatri, specialisti e chirurghi italiani stanno lavorando gratuitamente alla progettazione degli arti artificiali. Sperano di poter dare a Mustafa l’infanzia che la guerra gli ha portato via. Anche le contrade di Siena hanno offerto il loro aiuto. L’Italia ha collaborato con l’agenzia dell’Onu per i rifugiati, la Turchia e la Caritas, che ha offerto assistenza e una casa in un paese vicino a Siena in cui ospitare la famiglia. La chiesa cattolica ha negoziato il trasferimento della famiglia grazie a un corridoio umanitario che permette ai rifugiati di viaggiare legalmente, forse uno dei modelli più efficaci per evitare morti e sofferenze, ma purtroppo poco usato dai paesi europei.

Senso di libertà

“Spero che la storia di Mustafa possa sensibilizzare l’Europa sull’importanza dei corridoi umanitari, l’unico modo dignitoso per permettere a queste persone di raggiungere il continente”, dice il cardinale Augusto Paolo Lojudice, che insieme a Luca Venturi, fondatore del premio fotografico, ha seguito le trattative per portare la famiglia in Italia. “I corridoi umanitari richiedono un dialogo tra due paesi e dove non c’è un governo stabile è tutto più difficile”. Negli ultimi sei anni associazioni ed enti benefici hanno portato in Italia più di 4.300 rifugiati da tutto il mondo.

Al Nazzal dice che quando Aslan ha scattato la foto non se n’è accorto. Racconta che il figlio ama essere lanciato in aria perché gli dà la sensazione di volare. “La storia di Mustafa e del padre”, spiega il cardinale, “non esisterebbe senza la foto. Serve a ricordare che la guerra è un’azione terribile che un essere umano commette contro se stesso. Ma questo episodio dimostra anche che c’è qualcosa di più alto in questo mondo. Come uomo di chiesa io lo chiamo dio, ma voi potete anche chiamarlo umanità”. ◆ bt

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Questo articolo è uscito sul numero 1447 di Internazionale, a pagina 29. Compra questo numero | Abbonati