Mentre gli ambientalisti di tutto il mondo protestano per la lentezza della transizione verso forme di energia pulite, nel primo trimestre del 2023 molte delle più importanti multinazionali del petrolio e del gas hanno annunciato guadagni altissimi.

Nei primi tre mesi di quest’anno le nove maggiori aziende energetiche del pianeta hanno totalizzato profitti per cento miliardi di dollari. Nel 2022 avevano guadagnato complessivamente 457 miliardi di dollari. Questa somma equivale a circa un sesto degli investimenti necessari ogni anno ai governi per mantenere gli impegni presi contro il cambiamento climatico. È quanto evidenziano i dati dell’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), un’organizzazione intergovernativa con sede a Parigi.

Verso le zero emissioni

Charlie Wilson, un esperto di energia e cambiamenti climatici dell’Environmental change institute dell’università di Oxford, nel Regno Unito, spiega che i profitti sono più alti del solito, e questo in parte può essere dovuto all’aumento dei prezzi del petrolio e del gas dopo l’invasione russa dell’Ucraina e la pandemia di covid-19.

“I profitti registrati nei settori del petrolio e del gas dimostrano semplicemente quanto sia ancora alta la domanda di queste materie prime”, conferma Daniel Duma, ricercatore dello Stockholm environment institute, in Svezia. Allo stesso tempo in tutto il mondo si assiste ormai ogni settimana alle proteste contro le aziende produttrici di combustibili fossili e a iniziative per richiamare l’attenzione sulla crisi climatica. Organizzazioni come Just stop oil ed Extinction rebellion chiedono ai governi interventi immediati. A febbraio gli ambientalisti di Greenpeace hanno manifestato davanti alla sede della Shell a Londra, proprio nel momento in cui la compagnia annunciava i suoi profitti annuali.

“Mentre la Shell conta i suoi miliardi, in tutto il mondo ci sono persone che calcolano i danni causati dalla siccità, dalle ondate di caldo e dalle inondazioni da record che il gigante petrolifero sta alimentando”, ha detto in quell’occasione Elena Polisano, attivista per la giustizia climatica di Greenpeace Uk.

Gli investimenti nelle energie rinnovabili fatti dai paesi che si sono impegnati a tagliare le emissioni di anidride carbonica sono insufficienti. Secondo la Iea, per raggiungere gli obiettivi dichiarati dai singoli paesi, fino al 2030 gli stati dovrebbero investire ogni anno 2.700 miliardi di dollari nelle energie pulite. Per arrivare entro il 2050 a un mondo a zero emissioni – in cui, cioè, la quantità netta di emissioni prodotta dagli esseri umani è azzerata riducendo i gas nocivi o rimuovendoli dall’atmosfera – servirebbero 4.600 miliardi di dollari all’anno fino al 2030. Al momento, secondo le stime della Iea, la spesa annuale per l’energia verde è di 1.400 miliardi di dollari.

Inoltre, secondo l’International re­newable energy agency (Irena) di Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti, per limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali, come previsto dall’accordo di Parigi del 2015, tra il 2021 e il 2050 servirebbero 131mila miliardi di dollari.

Daniel Duma si chiede se gli attuali prezzi del petrolio e del gas e i profitti che generano spingeranno a investire per continuare la produzione di combustibili fossili per altri venti o trent’anni. “La nostra ricerca dimostra che se il mondo vuole raggiungere gli obiettivi di Parigi, la produzione deve calare immediatamente”, afferma Duma. Tuttavia “a giudicare dal comportamento e dalle decisioni dei principali paesi e delle più grandi compagnie che producono petrolio e gas, la strada intrapresa sembra essere quella di proseguire o addirittura espandere la produzione”.

Duma vede comunque segnali incoraggianti negli investimenti sulle rinnovabili e nei rapidi progressi tecnologici che rendono possibile la produzione di energia verde a costi più bassi. “Naturalmente vorremmo che si andasse più in fretta e che gli investimenti fossero distribuiti in modo più omogeneo in tutto il mondo”, afferma.

“Le grandi aziende petrolifere dovrebbero reinvestire i loro profitti in infrastrutture che permettano di produrre energia con basse emissioni di anidride carbonica”, afferma Charlie Wilson. Alcuni paesi, aggiunge lo studioso, hanno cercato di andare in questa direzione non facendo pagare alle aziende le tasse sugli extraprofitti se questi sono reinvestiti in piani per aumentare la capacità di produrre energia. ◆ gim

A confronto
Transizione lenta
I profitti delle prime nove aziende del petrolio e del gas (Saudi Aramco, Equinor, ExxonMobil, Shell, Bp, Chevron, PetroChina, TotalEnergies, ConocoPhillips) confrontati con gli investimenti nelle energie pulite. (Fonti: Iea, Nature)

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Questo articolo è uscito sul numero 1513 di Internazionale, a pagina 100. Compra questo numero | Abbonati