Doveva essere un momento di grande splendore per la cultura nigeriana, ma si è trasformato in un polverone. Il 9 novembre un gruppo di manifestanti ha invaso il Museum of west african art (Mowaa) di Benin City, nello stato di Edo. L’irruzione è avvenuta sullo sfondo di una polemica che coinvolge le autorità locali, i discendenti di una dinastia reale, gli amministratori del museo e i loro partner internazionali. In alcuni video sui social media si vedono i manifestanti intimare di andarsene agli invitati internazionali all’anteprima dell’apertura. Contestano il nome e la gestione del museo, insistendo che debba chiamarsi Benin royal museum ed essere posto sotto l’autorità di Ewuare II, l’oba (re) del Benin. Molti pensano che il progetto del Mowaa non sia altro che un assalto al patrimonio artistico locale.

Il Mowaa ha rilasciato una dichiarazione ufficiale precisando che il museo non era ancora stato inaugurato e che gli ospiti stranieri sono stati accompagnati fuori dai locali in tutta sicurezza. Ha inoltre ribadito di non aver mai reclamato la proprietà dei famosi bronzi del Benin (che sono tra le opere d’arte al centro del dibattito sulle restituzioni degli artefatti trafugati in epoca coloniale), nessuno dei quali peraltro era in mostra.

Mentre le proteste erano in corso il governo locale si è mosso in modo ancora più deciso. Il 10 novembre, Monday Okpebholo, governatore dello stato di Edo, ha annunciato la revoca della concessione per il terreno su cui sorge il Mowaa, sollevando dubbi sulla proprietà e sulla gestione e contestando gli stanziamenti di risorse pubbliche a favore di un’organizzazione privata.

Il ruolo della monarchia

L’oba del Benin si è ritagliato un ruolo da protagonista nella vicenda. Ewuare II ha avvertito che non “consentirà alla storia di ripetersi”, riferendosi alla spedizione punitiva delle truppe coloniali britanniche contro il palazzo reale del regno del Benin nel 1897, durante la quale furono rubati migliaia di manufatti. Inoltre ha detto di essere sconcertato dal fatto che un progetto pensato per essere il Benin royal museum, fosse diventato un’altra cosa.

Dal suo punto di vista, sapere chi controlla i bronzi del Benin e la loro casa è importante, non solo sul piano simbolico, ma anche spirituale e storico.

C’è chi sostiene, come la storica dell’arte Peju Layiwola, che i manufatti appartengono alla monarchia, in quanto erede e custode della corte che li ha prodotti. Affidarne la custodia a una fondazione esterna, secondo Layiwola, potrebbe addirittura equivalere a una forma di neocolonialismo.

Il governatore Okpebholo sembrerebbe schierato con la famiglia reale e ha accompagnato a palazzo una delegazione dell’Unione europea e della Germania dopo la revoca della concessione. La visita mette in evidenza la sua intenzione di riallineare il progetto del museo alla volontà dell’oba, possibilmente sottraendolo a una fondazione indipendente come quella che ha avviato il progetto.

Museum of west african art, Benin City, 9 novembre 2025 (Toyin Adedokun, Afp/Getty)

Da parte sua l’amministrazione del Mowaa ha sottolineato di avere grande stima dell’oba del Benin, di voler garantire un coinvolgimento rispettoso e contribuire alla salvaguardia e al progresso del patrimonio culturale della regione, e di essersi concentrata, dalla sua nascita nel 2020, sull’arte dell’Africa occidentale senza aver mai cercato finanziamenti presentandosi come Benin royal museum. Si è impegnata inoltre a sostenere le istituzioni esistenti a Benin City e in tutta la regione, a non competere con loro e a perseguire collaborazioni con artisti, ricercatori, università e musei.

Infine ha ribadito che non c’è ancora stata un’inaugurazione ufficiale e che l’evento al centro delle proteste era l’anteprima di una mostra di opere dell’Africa occidentale e non di manufatti dell’antico regno del Benin.

Il direttore del Mowaa, Phillip Ihenacho, si è detto “rattristato dall’accaduto”, ma continua a sperare in “una ripresa del dialogo, dell’impegno e della comprensione”. Ore Disu, la direttrice del Mowaa institute (l’ente culturale che gestisce i progetti di ricerca e conservazione legati al museo), ha aggiunto che quest’esperienza vuole dimostrare che è possibile realizzare in Nigeria “strutture di conservazione e ricerca, e spazi espositivi” di altissimo livello e che il Mowaa è un “regalo per le persone nere e africane di tutto il mondo”.

Questo modello di gestione indipendente oggi è sotto accusa. Le autorità locali e i reali si chiedono come possa una fondazione indipendente dalle istituzioni tradizionali ospitare oggetti d’arte la cui provenienza e il cui significato si fondano sui diritti della stessa casa reale e sull’interesse pubblico.

Questioni globali

Le contestazioni al Mowaa fanno eco a un dibattito globale sul patrimonio culturale. I bronzi del Benin sono diventati il simbolo dei manufatti rubati ai tempi della colonizzazione e la loro restituzione ha un valore etico e politico. Perciò il modo in cui la Nigeria ne organizzerà la custodia e l’esposizione sarà un segnale di come il paese intende affrontare la questione della sovranità culturale, degli equilibri di potere e delle collaborazioni internazionali.

Come sostiene Layiwola, affidare i manufatti al governo centrale o a fondazioni esterne potrebbe in qualche modo replicare le dinamiche coloniali. Perché gli oggetti restituiti dovrebbero finire nelle mani di enti che rispondono a finanziatori o burocrazie occidentali, invece che a un’autorità indigena? Chi possiede la cultura e chi ha diritto di esporla?

Il museo è stato promosso come una svolta per la città di Benin City, che mira a diventare un importante centro turistico, di conservazione e di ricerca, con effetti che si sarebbero irradiati sull’economia locale. Il modello del fondo fiduciario è stato presentato come sinonimo d’indipendenza, ma le proteste mettono a rischio i suoi obiettivi e la sua reputazione.

Per risolvere la controversia il presidente nigeriano Bola Tinubu ha nominato una commissione guidata dalla ministra della cultura Hannatu Musawa. A sua volta il governatore Okpebholo ha creato un comitato di revisione per esaminare la struttura gestionale del museo, le concessioni dei terreni, i finanziamenti dei donatori e la collaborazione con la famiglia reale del Benin.

Le conclusioni di questi due comitati potrebbero far emergere il Mowaa come punto di riferimento culturale o impantanarlo nelle polemiche politiche: tutto dipenderà dalla loro capacità di riconoscere che la cultura non è solo un trofeo da gestire, ma un’eredità da custodire.

E a Benin City il peso del passato impone che il futuro sia il risultato di un attento negoziato. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1643 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati