Ho un file sul mio desktop intitolato “Mansplaining olympic tryouts” (Selezione olimpica degli uomini che spiegano le cose), fatto per lo più da schermate di alcuni degli esempi più epici che ho notato sui social network o che qualcuno mi ha girato. Sono tristemente esilaranti: un uomo che spiega la vagina a una ginecologa; uno che dice a Siobhán Fenton, consigliera del Sinn féin, di leggere l’accordo del venerdì santo (lei gli ha risposto con una foto di se stessa con il libro che ha scritto su quell’accordo), e il caso della ricercatrice e docente universitaria Jessica McCarty, a proposito del quale lei stessa ha twittato: “Dieci anni fa, durante una riunione della Nasa sul monitoraggio della Terra, un ricercatore bianco mi disse che non tenevo conto degli incendi appiccati dagli esseri umani e dovevo leggere il libro di McCarty. Lo guardai tirando indietro i capelli in modo che potesse leggere la mia targhetta: ‘Sono io McCarty’”.

La parola mansplaining è stata coniata da un anonimo a proposito del mio saggio del 2008 Gli uomini mi spiegano le cose (Ponte alle grazie 2017) e ha avuto grande successo. Ne esistono versioni in altre lingue, dal francese all’islandese. La gente spesso racconta l’inizio di quel saggio di quasi quindici anni fa, in cui un uomo mi spiegava un libro, troppo occupato a sostenere la sua tesi per rendersi conto che io ero l’autrice. Ma poi il saggio diventava terrificante: raccontavo un episodio in cui un uomo di mezza età spiegava ridacchiando a una giovane me che, quando la vicina era corsa fuori di casa nuda di notte urlando che il marito stava cercando di ucciderla, era sicuro che lei fosse pazza e che il marito non fosse un assassino semplicemente per le sue supposizioni sul genere.

Se ti abitui a essere considerato meno competente e meno qualificato, se pensi che probabilmente sarai deriso o insultato, smetti di voler parlare e partecipare

È questo che sembra sfuggire a quasi tutti sul mans­plaining. Fa parte di un problema colossale, in cui pregiudizi e status incidono sulla vita quotidiana e attribuiscono più credibilità ad alcune persone piuttosto che ad altre. Tutto ciò crea quella che io chiamo disuguaglianza di voce. Che tu stia cercando di convincere i medici che il tuo dolore è reale o i vicini che tuo marito vuole ucciderti, spesso è una questione di vita o di morte. Succede negli uffici, nelle aule, negli ospedali, per strada, in camera da letto e a tavola.

Un caso recente di persone che presumevano di avere l’autorità per controllare la narrazione dei fatti è stato l’omicidio di Tyre Nichols da parte della polizia, uno dei tanti casi in cui un video mostra una storia diversa da quella raccontata dagli agenti. Anche in quel caso la polizia sembrava convinta di avere l’impunità che deriva dal controllo della narrazione.

La disuguaglianza di voce è una delle componenti più potenti di ogni tipo di disuguaglianza. I bambini e gli anziani sono trattati come testimoni incompetenti delle loro vite. Lo stesso vale per i poveri, gli immigrati e chi ha una disabilità. Le persone non bianche sono troppo spesso ritenute meno affidabili, meno qualificate per parlare e agire e, per ribadire l’ovvio, sono considerate criminali solo sulla base del colore della loro pelle. Negli Stati Uniti le donne nere vivono esperienze mediche pericolose legate alla gravidanza molto più delle bianche. Perfino la star del tennis Serena Williams all’inizio è stata considerata poco credibile quando ha lamentato un’embolia polmonare postparto.

Se sei abituato a essere considerato meno competente, meno qualificato a parlare e meno degno di essere ascoltato, se pensi che probabilmente sarai deriso o insultato, smetti di voler parlare e partecipare. Non è solo quello che succede in un certo momento che conta, ma come quel fatto influisce sul modo in cui percepiamo noi stessi.

Il divario di credibilità diventa molto dannoso nei casi di aggressione sessuale e violenza di genere, nei quali gli uomini storicamente sono stati più ascoltati delle donne. Spesso porta le sopravvissute a non denunciare: perché farlo, se poi non sarai creduta e se sarai derisa, molestata o addirittura colpevolizzata per aver denunciato un abuso? Quasi tutti gli abusi sessuali sono compiuti da una persona con uno status sociale più alto, cosa che in genere comporta la capacità di controllare la narrazione. È quello su cui hanno fatto affidamento per decenni stupratori seriali come Harvey Weinstein e molestatori di bambini come il medico sportivo Larry Nassar.

È fantastico che esista la parola mansplaining, insieme a derivati come whitesplaining (i bianchi che spiegano agli altri il razzismo) e westsplaining (per i nordamericani e gli europei occidentali che spiegano l’invasione dell’Ucraina con narrazioni incentrate sulle loro storie politiche piuttosto che su quelle degli ucraini). Ma non si capisce nulla se si dimentica il contesto. Il significato di mansplaining prevede un contesto più ampio di disuguaglianze e pregiudizi. Il mio obiettivo è sempre stato sostenere la democrazia delle voci, il diritto di tutti a parlare, essere ascoltati e rispettati. ◆ bt

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Questo articolo è uscito sul numero 1500 di Internazionale, a pagina 42. Compra questo numero | Abbonati