In una celebre scena del film Aprile, il regista Nanni Moretti s’infuria mentre guarda un dibattito elettorale in tv in cui Silvio Berlusconi impedisce a Massimo D’alema di parlare. È il 1994. Il primo vincerà le elezioni e sarà nominato presidente del consiglio. Il secondo è uno dei leader della sinistra. “D’Alema dì una cosa di sinistra, dì una cosa anche non di sinistra, di civiltà, D’Alema dì qualcosa, reagisci!”, urla Moretti.

Se la prima vittoria elettorale di Silvio Berlusconi portò a un traumatico calo dei consensi per la sinistra italiana, ora la situazione è altrettanto desolante. Nelle elezioni regionali che si sono tenute nel Lazio e in Lombardia il 12 e 13 febbraio la coalizione di destra, che ora governa l’Italia, ha vinto con risultati migliori del previsto, nonostante una forte astensione. La Lombardia è da sempre una roccaforte del centrodestra, ma il centrosinistra nel Lazio governava da dieci anni.

La destra ora amministra quindici regioni su 19. Fratelli d’Italia, il partito della presidente del consiglio Giorgia Meloni, è arrivato al 30 per cento dei consensi, quasi il doppio del Partito democratico (Pd). Meloni può ancora godersi la sua luna di miele con gli italiani, contando su un tasso di apprezzamento personale che raggiunge il 50 per cento. La scelta pragmatica di mantenere la rotta economica impostata dal suo predecessore Mario Draghi ha tranquillizzato i mercati e il solido sostegno offerto alla resistenza ucraina contro Putin ha avuto lo stesso effetto su Bruxelles, dalla cui benevolenza l’Italia dipende per lo sblocco dei circa duecento miliardi di euro del fondo europeo per la ripresa.

Il centrosinistra teme che Meloni stia adottando un approccio pragmatico, riservando a un secondo momento le sue battaglie culturali su questioni come i diritti lgbtq+, i migranti e l’aborto. Ma che fare di fronte a una simile potenza elettorale? Il 26 febbraio il Pd eleggerà un nuovo segretario dopo le recenti sconfitte alle urne. La sfida sarà tra il moderato Stefano Bonaccini e la più radicale Elly Schlein. Bonaccini, presidente della regione Emilia-Romagna, vorrebbe formare una grande coalizione elettorale con il Movimento 5 stelle e il terzo polo, che ha tra i suoi leader l’ex presidente del consiglio Matteo Renzi. Ma ora Renzi è profondamente impopolare a sinistra. Secondo Schlein, che ha lanciato la sua campagna con un coro di sostenitori che cantavano Bella ciao, il Pd dev’essere una coraggiosa alternativa “progressista, ambientalista e femminista” ai partiti di destra.

Correggere gli errori

Entrambe le idee hanno dei problemi. L’ampia alleanza di Bonaccini si è rivelata irrealizzabile alle ultime elezioni e sembra ancora meno probabile nel prossimo futuro. L’enfasi di Schlein sui diritti civili e l’emergenza climatica fa presa tra i giovani e nelle città come Milano, ma i risultati elettorali dimostrano che il Pd per vincere deve espandere notevolmente il suo bacino elettorale. Soprattutto ha bisogno di un’identità chiara, dato che ormai il partito da tempo non offre una sua idea convincente. Dopo la sconfitta in autunno, il segretario del Pd Enrico Letta è stato giustamente criticato per aver condotto una campagna elettorale che ha soprattutto attaccato le radici di estrema destra di Meloni e si è concentrata poco su un messaggio propositivo. A partire dalle primarie del 26 febbraio il Pd, che è uno dei partiti di centrosinistra più importanti e al momento tra i più fallimentari d’Europa, deve cominciare a correggere quell’errore. ◆ nv

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Questo articolo è uscito sul numero 1500 di Internazionale, a pagina 38. Compra questo numero | Abbonati