◆ In questo gennaio 2025 cade il cinquantesimo anniversario della morte di Carlo Levi e l’ottantesimo della pubblicazione di Cristo si è fermato a Eboli , avvenuta nel 1945. Un anno “storico” per far conoscere il mondo fuori dalla storia a cui ha dato voce un antifascista, pittore e medico del nord confinato nel reinventato paese di Gagliano, in Basilicata. La sua descrizione di quell’umile Italia senz’altra bandiera che quella dell’oscurità della terra e della morte, i volti di quei contadini sui quali la storia era passata senza toccarli a partire dai conquistatori fenici, provoca la vertigine. Come affacciarsi sul buco nero inconscio di un’altra civiltà, il grembo della terra che ci ha generato, il cui enigma è l’occhio rettangolare della capra. Ora che quel mondo si è estinto, e affiora in forma di rottame dalla storia, il richiamo al suo ventre mitico si tinge dei colori della seduzione. Estinti gli animali, la fatica, i contadini, il fuoco e il racconto resta l’attrazione per quel tempo fuori dal tempo, che, per quanto mi riguarda, è il più potente agente di ammutinamento alla dittatura dell’attualità. Per contrastare questo agente può essere utile un altro libro di Carlo Levi, il suo primo: Paura della libertà , in cui ci ricorda che la sottrazione alla libertà e alla responsabilità che ne consegue ci ha già portato a venerare chi ce ne ha privato con l’untuoso pugno dell’autorità.
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Questo articolo è uscito sul numero 1597 di Internazionale, a pagina 12. Compra questo numero | Abbonati