21 agosto 2015 19:51

La valle del Cremisan sorge in territorio palestinese, a pochi chilometri da Betlemme. È famosa per la produzione vinicola e per i suoi uliveti, ed è considerata uno dei territori naturali più belli della Palestina. Bulldozer e ruspe israeliani hanno cominciato a sradicare gli ulivi centenari della comunità di Beit Jala. Israele vuole espandere il muro di separazione tra la città palestinese e un insediamento israeliano.

Il muro, infatti, separerà la città di Beit Jala, in Cisgiordania, dall’insediamento di Har Gilo e il villaggio di Walaja. Dopo una battaglia legale cominciata otto anni fa, le autorità israeliane hanno ripreso i lavori per la costruzione del muro, anche se ad aprile la corte suprema aveva bloccato la costruzione.

Si tratterà di un muro di cemento armato, che taglierà in due la valle. La scuola elementare, il monastero e il convento dei salesiani rimarranno dalla parte palestinese, accessibile dalla città di Beit Jala, mentre le case e le proprietà di 58 famiglie palestinesi di religione cristiane rimarrebbero dal lato israeliano del muro. Le famiglie palestinesi perderebbero la loro principale fonte di sostentamento: i campi agricoli.

“L’azione dei bulldozer è stata solo il primo passo”, racconta Francesco Del Siena, volontario dell’associazione Habibi, nata due anni fa in Valtiberina per promuovere progetti di solidarietà con la Palestina. “Il primo giorno hanno sradicato 45 ulivi appartenenti a due famiglie. Vedere i crateri che hanno lasciato è un colpo al cuore quelle famiglie che sopravvivono solo grazie a quegli alberi. Loro hanno provato a reagire, ma davanti si sono trovati militari ben armati. Uno dei fratelli di una famiglia è stato ricoverato all’ospedale per delle ferite alla testa”, racconta. Dopo l’arrivo delle ruspe, circa 200 residenti, insieme con gli scout cristiani e ortodossi di Beit Jala, hanno costruito una tenda al posto delle centinaia di ulivi sradicati.

Una risposta politica per il Vaticano

Dal 2011 la parrocchia di Beit Jala celebra la messa in mezzo agli ulivi ogni venerdì: “Oggi siamo tornati al campo degli ulivi: era il giorno della protesta dei cristiani. Stamattina ci siamo trovati davanti due camionette della polizia israeliana, dietro le ruspe avevano già ricominciato”, racconta Del Siena.

“I preti che erano con noi hanno convinto i militari a farci passare, ma altri poliziotti ci hanno fermato dopo cento metri”. C’è stata una discussione tra i preti, il sindaco e i militari ed è stato deciso di dire messa al limite della zona, davanti alle forze dell’ordine. “All’inizio della celebrazione, ci raggiungono alcuni ragazzi della valle con in mano piccole piante di ulivo. Scoppia un grosso parapiglia: i militari arrestano un uomo che aveva fatto finta di piantare un ulivo, alcuni cominciano a cantare in arabo e i poliziotti li caricano, e arrestano un secondo uomo. Non sappiamo che fine abbiano fatto quei due ragazzi palestinesi: le autorità non hanno voluto dircelo”.

La celebrazione di una messa in segno di protesta per l’escavazione di ulivi secolari nella valle del Cremisan, il 21 agosto 2015. (Mussa Qawasma, Reuters/Contrasto)

Israele ha dichiarato che l’espansione del muro è legata a motivi di sicurezza, ma per molti, l’obiettivo di Tel Aviv è quello di creare un collegamento tra le colonie di Gilo e Har Gilo.

“Il muro partirà dalla colonia di Har Gilo, chiuderà completamente il villaggio di Al Walaje e poi proseguirà verso Cremisan, ricongiungendosi con la barriera che già circonda Betlemme”, spiega Del Siena. Ne è convinto anche il vescovo Wiliam Shomali, vicario patriarcale del Patriarcato latino di Gerusalemme, che aggiunge: “Il drastico cambiamento rispetto al pronunciamento precedente con cui la corte bocciò il muro può essere una reazione davanti al recente riconoscimento ufficiale dello stato di Palestina da parte della santa sede. Non c’erano state grandi reazioni formali a quel riconoscimento. Adesso abbiamo la sensazione che, come in altri casi, la risposta sia arrivata con la politica dei fatti compiuti”.

“Il nostri pensiero va alle 58 famiglie che saranno interessate”, conclude Del Siena. “Ora non avranno futuro se non quello di cambiare lavoro, che in Palestina non c’è, e casa”.

Questo articolo è stato pubblicato da Redattore sociale.

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