27 novembre 2015 15:51

Ammesso che ne rimanesse ancora qualcuno, gli attentati di Parigi del 13 novembre hanno tolto ogni dubbio ai cittadini occidentali: il gruppo Stato islamico (Is) è l’organizzazione terroristica più letale del mondo, soprattutto dopo che il gruppo Boko haram gli ha giurato fedeltà nel marzo del 2015. Le Monde ha recensito 83 attentati ed esecuzioni di ostaggi commessi dall’organizzazione e dalle sue diverse “filiali” in tutto il mondo dal giugno 2014, data di proclamazione del “califfato” da parte dell’Is.

Queste azioni delineano le caratteristiche del radicamento geografico dell’organizzazione jihadista, l’evoluzione della sua strategia, dei suoi bersagli e dei suoi rapporti con l’occidente, ma anche l’allargamento progressivo dei sostegni regionali che essa riceve, con metodi particolari e obiettivi molto vari.

Al di là delle operazioni militari convenzionali contro eserciti in guerra e delle esecuzioni punitive o etniche in Iraq e Siria, l’Is e i gruppi affiliati hanno provocato la morte di oltre 1.600 persone nel mondo, se si sommano gli attentati commessi al di fuori del suo territorio e le esecuzioni di ostaggi, perlopiù avvenute nel deserto tra la Siria e l’Iraq.

I paesi e le città più colpiti

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L’Is ha progressivamente esportato il suo campo di battaglia ampliando il numero dei paesi colpiti da attentati. Per quanto riguarda il numero di morti, il territorio francese è quello più colpito, dopo quello egiziano, al di fuori delle zone dove l’organizzazione si è originariamente sviluppata – Medio Oriente e, per quanto riguarda Boko haram, Africa occidentale.

Maiduguri, capitale dello stato del Borno, nel nord­est della Nigeria, è già stata colpita nove volte da quando Boko haram ha giurato fedeltà all’Is. Riyadh e Sanaa, capitali dell’Arabia Saudita e dello Yemen, completano la classifica. Parigi è la città occidentale più colpita, con gli attentati di gennaio (rivendicati da Amedy Coulibaly per conto dell’Is) e di novembre, cui s’aggiunge l’attacco che Abdelhamid Abaaoud prevedeva di commettere il 18 o 19 novembre alla Défense.

Attacchi o tentativi di attentato commessi da gruppi affiliati allo Stato islamico contro uno stato o i suoi cittadini all’estero.

Eccetto l’America del sud, tutti i continenti sono stati colpiti almeno una volta dall’Is o dai suoi simpatizzanti, che si tratti di attacchi sul loro territorio o contro i loro cittadini all’estero.

Sono stati tuttavia i paesi del Medio Oriente e quelli vicini alle roccaforti di Boko haram i più colpiti, spesso nel corso di operazioni di destabilizzazione o di rappresaglia. La Nigeria ha subito 13 attentati, mentre l’Arabia Saudita, paese che bombarda l’organizzazione jihadista pur essendo sospettato di finanziare l’Is, è stato il teatro di dieci attentati.

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Il gruppo Stato islamico è di gran lunga l’organizzazione terroristica più mediatizzata in occidente e il suo bilancio è all’altezza di questa fama: più di seicento morti tra esecuzioni d’ostaggi, attacchi contro paesi confinanti e operazioni esterne.

Tuttavia, in rapporto al numero di azioni, Wilayat al ­Sudan al Gharbi, meglio nota col nome di Boko haram, è la sua succursale più sanguinaria, tanto più che è solo da sei mesi che agisce sotto l’egida dell’Is. La formazione jihadista nigeriana è nota per il suo ripetuto ricorso ad attentati alla cieca in luoghi pubblici, che hanno l’obiettivo di massimizzare il numero di vittime.

Il problema delle rivendicazioni

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Non è sempre facile attribuire la responsabilità di ogni attentato, e ogni tentato attentato, all’Is. A lungo l’organizzazione diretta da Abu Bakr al Baghdadi ha incitato individui isolati a passare all’azione, e l’autunno del 2014 ha visto molte aggressioni contro forze dell’ordine o civili i cui autori erano esaltati che rivendicavano la loro appartenenza all’Is, ma il cui riconoscimento da parte del gruppo arrivava a distanza e senza particolare convinzione. Come nel caso di Man Haron Monis, che nel dicembre del 2014 ha tenuto in ostaggio varie persone a Sidney.

L’organizzazione terroristica non rivendica mai gli attentati terroristici falliti, come quelli di Villejuif e del treno Thalys, in Francia, anche quando è la principale sospettata. È successo anche che l’Is negasse di aver commesso un attentato, come quello del 18 aprile a Jalalabad, in Afghanistan, che gli era stato attribuito dalle autorità.

Infine Boko haram, a cui si devono 23 attentati e 418 morti dopo l’affiliazione all’Is, rivendica molto raramente i suoi attacchi, anche se le sue modalità d’azione (attentato­ suicida e bombe) spingono le autorità nigeriane a attribuirglieli quasi automaticamente. Alcune azioni sono state rivendicate direttamente dalla “casa madre” siro­irachena. Così è accaduto per gli attentati di novembre in Francia, ma anche per quelli che hanno colpito la Tunisia, commessi invece da terroristi addestrati in Libia, o ancora degli omicidi in Bangladesh.

L’evoluzione delle modalità d’attacco

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L’organizzazione jihadista ha inoltre modificato le sue modalità di attacco, passando dalla decapitazione mirata di ostaggi ai massacri alla cieca di civili, come gli attentati del 13 novembre che sono costati la vita a 130 persone.

I sei mesi successivi alla proclamazione del califfato da parte dell’Is sono stati segnati da numerose prese d’ostaggi e pochi attentati sul territorio occidentale, a eccezione di alcuni assalti isolati contro i rappresentanti delle forze dell’ordine, come accaduto negli Stati Uniti, e della sparatoria di Ottawa, nell’ottobre del 2014. Il 2015 è stato segnato da una decisa diminuzione per quanto riguarda le persone prese in ostaggio e da un ritorno degli attentati suicidi. Ma l’Is e le sue succursali non hanno mai usato armi chimiche su un territorio straniero.

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La presa di ostaggi nel supermercato kosher di Parigi del 9 gennaio 2015, potrebbe suggerire che l’Is prenda di mira gli ebrei. In realtà, i musulmani sono di gran lunga le prime vittime dell’organizzazione jihadista, che si è lanciata in un’operazione d’epurazione religiosa. Gli obiettivi principali sono gli sciiti del Medio­ Oriente e i sufi dell’Africa occidentale. Su venti attentati o progetti d’attentato contro degli edifici di culto, uno solo aveva per obiettivo una chiesa (a Villejuif, fallito), mentre gli altri 18 riguardavano delle moschee (soprattutto in Nigeria, Camerun, Arabia Saudita e Yemen).

Studiando i luoghi degli attentati è possibile osservare l’evoluzione della strategia dell’Is, passato dalle esecuzioni nel deserto agli attentati in luoghi pubblici. Ma si osserva soprattutto la svolta che l’integrazione di Boko haram ha fatto prendere all’organizzazione jihadista, i cui attentati sono ormai, per un quarto, rivolti a moschee.

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Anche se l’Is proclama il suo scrupoloso rispetto dell’islam, dal giugno del 2014 è proprio di venerdì, giorno santo della religione musulmana, che si svolgono più di frequente gli attentati e le esecuzioni dell’organizzazione jihadista. Non è una coincidenza: è infatti di venerdì che i gruppi jihadisti saudita e yemenita possono massimizzare il numero di vittime sciite, prendendo di mira le moschee in questo giorno di preghiera.

È di venerdì che colpisce più spesso Boko haram, nel corso di attentati alla cieca contro moschee camerunesi e nigeriane (il gruppo accusa infatti le autorità musulmane di questi paesi di collusione con il potere) o contro le confraternite sufi. Infine, è sempre di venerdì, vigilia del fine settimana nelle società occidentali, che l’Is e i terroristi che ne rivendicano l’appartenenza colpiscono più spesso in occidente, come accaduto nell’attentato fallito sul treno Thalys in agosto o degli attentati del 13 novembre a Parigi.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito sul blog di data journalism di Le Monde, Les décodeurs. Clicca qui per leggere l’originale.

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