29 gennaio 2016 14:17

La stagione delle primarie statunitensi debutta il 1 febbraio in Iowa. In questo stato saranno i caucus (assemblee locali) dei democratici e dei repubblicani a indicare il loro candidato o la loro candidata presidenziale. In New Hampshire il 9 febbraio ci sarà un’elezione primaria e gli appuntamenti andranno poi avanti fino a giugno.

In buona parte degli stati le primarie funzioneranno in maniera simile a delle regolari elezioni, si potrà votare in una cabina elettorale o per posta. In quasi la metà dei casi potrà votare solo chi si è registrato nel partito democratico o in quello repubblicano.

I caucus sono più informali, registrano affluenze più basse e sono dominati dagli attivisti di partito. Le regole per entrambi i tipi di competizione variano a seconda dello stato e del partito.

Di solito i favoriti cercano di sfruttare il vantaggio e ottenere finanziamenti, spingendo così gli avversari a ritirarsi

In entrambi i casi, l’obiettivo è eleggere i delegati che il partito esprime in ogni stato per sostenere i candidati, in vista delle convention nazionali, durante le quali si dichiarerà chi ha vinto la candidatura.

La sfida riguarda quindi i delegati, non i voti: secondo alcune stime Hillary Clinton ha più voti in totale di Barack Obama nel 2008, ma ha perso nel conteggio dei delegati. Questi ultimi non sono strettamente proporzionali alla popolazione.

Il Texas, per esempio, porta 155 delegati alla convention repubblicana, ovvero 0,56 ogni centomila persone. Il New Hampshire esprime 23 delegati, ovvero 1,73 ogni centomila persone. La Georgia ha 76 delegati repubblicani contro i 66 dell’Ohio, nonostante quest’ultimo abbia una popolazione più ampia. Tra i repubblicani ogni stato ottiene almeno dieci delegati. Altri sono stabiliti in base a un censimento degli elettori repubblicani di ciascuno stato e tre sono attribuiti per ogni distretto congressuale. Altri tre delegati per ogni stato sono inoltre figure interne al partito che non hanno ancora promesso il voto a nessun candidato.

Di solito i favoriti cercano di sfruttare il vantaggio e ottenere finanziamenti, spingendo così gli avversari a ritirarsi. Il comitato nazionale repubblicano ha modificato le regole per dare maggiore voce in capitolo agli stati dove le primarie sono previste più tardi. L’effetto imprevisto di questa decisione sarà probabilmente che la sfida si prolungherà nel tempo, cosa che i pezzi grossi del partito speravano di evitare.

Il nodo del supermartedì

Per ottenere la nomination repubblicana, un candidato deve assicurarsi 1.237 dei 2.472 delegati. Circa il 60 per cento dei delegati repubblicani sarà determinato entro il 15 marzo, ma quasi tutti, tra questi, saranno attribuiti ai candidati su base proporzionale (una volta superata una soglia di sbarramento).

Dopo il 15 marzo gli stati possono assegnare tutti i propri delegati repubblicani al candidato che vince le primarie locali. Occorrerà aspettare l’inizio di aprile perché due terzi dei delegati siano assegnati. In passato è emerso un chiaro favorito dopo il supermartedì (supertuesday) – che quest’anno cade il primo marzo, quando voteranno dodici stati – ma tre o quattro candidati potrebbero rimanere in corsa, con qualche possibilità di vincere la corsa repubblicana anche dopo tale data.

Tra i democratici, stando alle ultime rilevazioni, Hillary Clinton ha il sostegno di 380 dei 713 superdelegati (pezzi grossi del partito liberi di sostenere chiunque vogliano) che saranno una parte dei 4.764 delegati presenti alla convention democratica. Ma dal momento che i superdelegati non promettono il loro voto a un candidato, Clinton vorrà avere dalla sua una maggioranza di delegati “sicuri” prima di entrare nella sala della convention.

Anche la demografia gioca un ruolo importante. Gli stati del sud e conservatori hanno all’inizio un ruolo importante: circa metà delle primarie repubblicane che si terranno tra il 1 febbraio e l’8 marzo riguarderanno stati dove gli elettori repubblicani sono almeno al 50 per cento bianchi evangelici. Per quanto riguarda i democratici, invece, donne e minoranze rappresentano in molti stati un’ampia fetta degli elettori che parteciperanno alle primarie del partito.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è stato pubblicato dal settimanale britannico The Economist.

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