21 giugno 2016 10:00

Il prossimo 31 dicembre terminerà il mandato del segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon. La lotta per la successione al “lavoro più impossibile del mondo”, secondo le parole di Trygve Lie – primo segretario generale dell’Onu dal 1946 al 1952 – è ormai aperta.

Spetta al Consiglio di sicurezza il compito di indicare il successore del diplomatico sudcoreano alla fine di una procedura poco trasparente. La decisione dell’assemblea generale arriverà solo in un secondo momento.

Nei corridoi del palazzo di vetro si è fatta strada l’idea di una donna alla guida dell’Onu. Tra gli undici candidati ufficialmente dichiarati cinque sono donne, tra cui Helen Clark, attuale direttrice dell’agenzia per lo sviluppo (Pnud) ed ex prima ministra neozelandese.

Lanciata da diverse organizzazioni non governative, la campagna 1 for 7 billion (1 per 7 miliardi) chiede un miglioramento del processo di selezione e un mandato più lungo per il futuro segretario generale, in modo da garantire la sua indipendenza.

Una richiesta motivata dai “fallimenti” di Ban Ki-moon. L’attuale segretario generale è stato accusato di debolezza per aver inserito (il 2 giugno) e poi tolto la coalizione guidata dall’Arabia Saudita – che bombarda lo Yemen dal 2015 – dalla lista nera dei paesi che violano i diritti dei bambini, e proprio su insistenza dell’Arabia Saudita.

Una brutta eredità
Ban ha dovuto anche accettare le dimissioni di Anders Kompass, alto responsabile dell’organizzazione accusato di aver trasmesso alle autorità francesi un documento in cui si rivelavano le accuse di violenze sessuali sui bambini commesse da soldati francesi nella Repubblica Centrafricana. Uno scandalo che si aggiunge alle numerose accuse di aggressione sessuale rivolte ai caschi blu nel corso delle loro missioni. “Da dieci anni il segretario generale cerca di nascondere tutte queste accuse sotto il tappeto”, denuncia Peter Gallo, ex ispettore dell’organizzazione.

Thomas Weiss, direttore emerito del Ralph Bunche institute for international studies della City university of New York è ancora più diretto: “Dell’eredità di Ban Ki-moon in questi ultimi dieci anni non c’è nulla da conservare”.

(Traduzione di Andrea De Ritis)

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