04 ottobre 2016 11:50

L’Etiopia continua a essere un modello di stabilità? Se dovessimo giudicare in base agli scontri degli ultimi mesi dovremmo dire di no. Il 2 ottobre le autorità di Addis Abeba hanno dichiarato che almeno una cinquantina di persone sono morte schiacciate dalla folla a Bishoftu, a sud della capitale, in occasione del tradizionale festival oromo Irreecha, che segna la fine della stagione delle piogge. L’opposizione parla di un bilancio molto più pesante (almeno cento morti) e accusa le forze di sicurezza di avere usato i gas lacrimogeni, provocando il panico tra i presenti. Poco prima alcuni dirigenti oromo vicini al governo erano stati fischiati mentre parlavano sul palco.

Il primo ministro Hailemariam Desalegn si è rifiutato di assumersi la responsabilità dell’accaduto e sostiene che alcuni provocatori avevano “pianificato i disordini”. Durante un discorso alla televisione nazionale, il capo del governo ha attribuito la colpa a “forze diaboliche”, promettendo di perseguirle. Il 3 ottobre ha decretato un periodo di lutto nazionale di tre giorni.

Forte frustrazione
All’origine delle violenze c’è il forte sentimento di frustrazione degli oromo, che vivono nella parte centrale e occidentale del paese. La loro etnia rappresenta circa un terzo della popolazione, ma si sente emarginata e sfavorita dal potere centrale. Dopo la caduta, nel 1991, del dittatore marxista Mengistu Haile Mariam, il governo ha adottato un sistema federale che accorda a ogni regione un certo grado di autonomia. Ma alcuni denunciano una centralizzazione eccessiva in favore dei tigrini (il 6 per cento della popolazione).

A dimostrazione dell’instabilità del paese, la contestazione ha coinvolto anche gli amhara, che vivono al nord e sono la seconda popolazione del paese, dopo gli oromo. Le principali rimostranze riguardano la corruzione dei politici locali, la mancanza di democrazia e l’eccessivo potere dei tigrini. A giugno l’ong Human rights watch parlava di una repressione “senza precedenti” nei confronti degli oromo e denunciava il silenzio dei partner stranieri di Addis Abeba, a cominciare dall’Unione europea, che finora si è limitata a semplici dichiarazioni ufficiali.

(Traduzione di Andrea De Ritis)

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