24 maggio 2019 15:54

Dal 23 al 26 maggio gli europei votano per eleggere il nuovo parlamento dell’Unione. Ma dov’è l’ago della bilancia? Quale luogo, in un continente così variegato, può rivelare il polso dell’Europa? Un tempo la distinzione fondamentale era tra destra e sinistra. Le aree con solide tradizioni economiche cooperative e una forte presenza della classe operaia (l’Emilia Romagna in Italia o la Ruhr in Germania) erano più vicine alla sinistra, mentre la destra dominava nelle roccaforti del centralismo politico (la Castiglia in Spagna), nelle ricche zone di confine (la Scania in Svezia) o nelle regioni con una forte identità (la Baviera in Germania). I luoghi dove si decideva tutto erano quelli dove le tendenze si mescolavano, come la Bassa Sassonia in Germania o l’Aragona in Spagna.

Con la scomparsa dell’identità di classe, però, questa distinzione sta svanendo. Alle prossime elezioni i popolari e i socialdemocratici potrebbero perdere molti voti a favore di partiti che hanno un posizionamento molto più netto su una nuova scala politica. Questa scala, ideata da David Goodhart, prende come estremi il somewhere (da qualche parte) dei piccoli centri rurali e l’anywhere (ovunque) delle grandi città cosmopolite. Le aree come la Bassa Sassonia, dove resta forte il vecchio conflitto tra destra e sinistra, sembrano ormai musei politici. Molte delle sfide cruciali si svolgono in regioni il cui orientamento politico non è più scontato, come l’Andalusia, una roccaforte della sinistra dove a gennaio è stato eletto un governo conservatore sostenuto dal partito di estrema destra Vox.

È nelle periferie che stanno avvenendo i principali cambiamenti della politica europea

Recentemente nelle analisi elettorali sono emersi due nuovi sottogeneri. Da una parte i reportage dalle aree postindustriali dove la gente odia le città e gli immigrati. Dall’altra le testimonianze di una ripresa dell’europeismo tra glihipster barbuti metropolitani. Forse però sarebbe meglio guardare alle periferie cittadine, i luoghi che si trovano nel mezzo.

Nella cultura europea le periferie non hanno il ruolo centrale che rivestono in quella statunitense. Eppure è nelle periferie che stanno avvenendo i principali cambiamenti della politica europea. Sono melting pot dove l’internazionalismo europeista delle città incontra lo scetticismo delle campagne, dove il fascino della novità incontra l’amore per le tradizioni. In queste elezioni europee, che opporranno i nazionalisti agli europeisti e i partiti tradizionali ai ribelli di ogni tipo, le periferie saranno i terreni di scontro più interessanti.

In Spagna, per esempio, le grandi tendenze degli ultimi anni sono le difficoltà del Partito popolare di fronte a Vox e a Ciudadanos (centrodestra) e la lotta dei socialisti contro partiti strenuamente favorevoli o contrari all’indipendenza della Catalogna. Alle legislative del 28 aprile queste tendenze sono state confermate dai risultati ad Alcobendas, un sobborgo di Madrid dove la destra ha pagato per la sua divisione, e a L’Hospitalet, una cittadina ai margini di Barcellona dove i socialisti hanno battuto i rivali da entrambi i lati. Le periferie sono state cruciali anche alle presidenziali francesi del 2017. Lo scontro fra Emmanuel Macron e populisti come Jean-Luc Mélenchon e Marine Le Pen è stato particolarmente acceso nei sobborghi di Parigi.

Come spesso accade, i populisti europei sanno da che parte soffia il vento. Coltivano il loro sostegno ai margini delle città. Matteo Salvini, il vicepremier di estrema destra italiano, si vanta del suo stile di vita da periferia milanese nei suoi infiniti post sui social network, che spesso mostrano dei barbecue. I grandi eventi dell’estrema destra – come l’incontro di Le Pen con i nazionalisti austriaci nel 2016, la festa dei populisti cechi dopo la vittoria alle presidenziali del 2018 e il raduno dei Veri finlandesi prima delle elezioni del 14 aprile – si sono svolti alle porte di Vienna, Praga e Helsinki. Quartieri come questi, che in molti casi sono teatro della tendenza per cui gli abitanti più conservatori delle città sono spinti ai margini dai cambiamenti, offrono ai populisti grandi opportunità.

Per capire l’Europa di oggi, quindi, bisogna andare nelle periferie. Dove gli odiati palazzoni incombono su strade vuote, dove il rombo delle superstrade riecheggia tra le macchie di bosco, dove gli anywhere si mescolano ai somewhere. Bisogna andare dove c’è l’Ikea.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questo articolo è uscito sul numero 1307 di Internazionale. Compra questo numero|Abbonati

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