04 maggio 2020 15:15

Alla fine di febbraio gli Stati Uniti e i ribelli afgani hanno firmato un accordo sul ritiro dei soldati statunitensi, ma in Afghanistan la violenza continua ad aumentare e il processo di pace tra i taliban e Kabul rischia di fallire.

I ribelli si sono impegnati a non colpire i militari statunitensi, ma nel frattempo hanno raddoppiato gli attacchi contro le forze armate afgane, uccidendo decine di persone. I taliban ignorano le richieste di un cessate il fuoco da parte di Kabul e Washington, mentre il covid-19 continua a diffondersi nel paese.

Il processo di pace “non è morto, ma è attaccato a un respiratore artificiale”, sostiene Ashley Jackson, ricercatrice dell’Overseas development institute. “Nessuno può prevedere quando comincerà a crollare definitivamente”.

Linguaggio ambiguo
Secondo un funzionario afgano, dopo la firma dell’accordo con gli Stati Uniti, lo scorso 29 febbraio, i taliban hanno lanciato in media 55 attacchi al giorno uccidendo o ferendo 15 civili. E alla fine di aprile l’Onu ha riferito che nel primo trimestre del 2020 le forze di sicurezza afgane hanno ucciso un numero di bambini doppio rispetto ai taliban, soprattutto attraverso gli attacchi aerei.

Secondo gli analisti l’escalation della violenza era ampiamente prevedibile e forse inevitabile, soprattutto considerando il linguaggio ambiguo utilizzato nel testo dell’accordo e le numerose concessioni fatte da Washington.

I taliban si sono convinti di poter continuare la loro guerra contro il governo afgano a patto di non colpire le forze straniere

L’“accordo per la pace in Afghanistan” prevede un ritiro totale dei soldati stranieri senza imporre un cessate il fuoco né una riduzione della violenza. Donald Trump ha ribadito più volte di voler rimpatriare al più presto tutti i soldati statunitensi. Di conseguenza, secondo gli esperti, i taliban si sono convinti di poter continuare la loro guerra contro il governo afgano a patto di non colpire le forze straniere.

I ribelli considerano l’accordo con gli Stati Uniti come “un’intesa per la fine dell’occupazione”, sottolinea Bill Roggio, della Foundation for defense of democracies, un think tank statunitense. “Gli americani vogliono lasciare l’Afghanistan e hanno ceduto a tutte le richieste dei ribelli. L’accordo tra gli Stati Uniti e i taliban non è stato creato per portare la pace in Afghanistan, ma per facilitare la partenza degli statunitensi salvando le apparenze”, spiega Roggio.

In cambio di garanzie di sicurezza piuttosto vaghe e della promessa di impedire a gruppi jihadisti come Al Qaeda di minacciare la sicurezza di Washington o dei suoi alleati, l’amministrazione Trump ha garantito ai taliban il ritiro di tutte le forze straniere entro il luglio 2021.

Gli ostacoli ai negoziati
Il processo è già in corso. Gli Stati Uniti sono determinati a lasciare l’Afghanistan “superando qualsiasi ostacolo”, sottolinea Michael Rubin, ricercatore dell’American enterprise institute. “E se questo significa sacrificare gli afgani, pazienza”.

L’accordo impegna inoltre il governo del presidente afgano Ashraf Ghani – che su richiesta dei taliban non è stato autorizzato a partecipare alla trattativa – a liberare cinquemila ribelli, tra cui alcuni estremisti. In cambio i taliban hanno promesso di rilasciare mille esponenti delle forze di sicurezza afgane.

Lo scambio di prigionieri doveva avvenire prima del 10 marzo, data inizialmente prevista per l’apertura del negoziato tra i due fronti, ma una serie di dispute ha rallentato il processo posticipando l’inizio della trattativa interna.

Secondo un rappresentante dei taliban i ribelli rifiutano di sedersi al tavolo del negoziato e di ridurre gli attacchi fino a quando non saranno liberati i cinquemila prigionieri inseriti nella loro lista. “Il governo di Ghani sta mettendo alla prova i nostri nervi, ma noi non siamo affatto stanchi. Siamo sempre pronti a combattere”, ha precisato la fonte.

Un altro ostacolo è rappresentato dalle divisioni all’interno del fronte di Kabul. Abdullah Abdullah, rivale di Ghani, si è autoproclamato vincitore delle elezioni presidenziali dello scorso mese di settembre, in cui non sono mancati i sospetti di brogli. “Attendiamo che la disputa politica si concluda con un’intesa, in modo da avere un fronte unito nella trattativa”, sottolinea Fawzia Koofi, componente della delegazione afgana chiamata a negoziare con i taliban.

I rappresentanti di Kabul e dei ribelli si sono già incontrati circa un mese fa per discutere lo scambio di prigionieri. È il segno che non tutto è perduto e che il dialogo tra afgani potrebbe concludersi positivamente, spiega Andrew Watkins, analista della ong International crisis group. “La cosa più importante per il successo del negoziato di pace è che i due fronti continuino a dialogare costantemente, anche se i combattimenti non si fermano”.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questo articolo è stato pubblicato dall’Agence France-Presse.

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