28 febbraio 2020 11:36
Festeggiamenti per la riduzione della violenza a Jalalabad, Afghanistan, il 27 febbraio 2020. (Parwiz, Reuters/Contrasto)

L’Afghanistan ha vissuto una settimana tranquilla. Questa informazione, apparentemente banale, non è affatto insignificante, perché era la condizione preliminare per la firma da parte degli Stati Uniti e dei taliban di un accordo di pace, il prossimo 29 febbraio a Doha, in Qatar. Non si tratta di un cessate il fuoco completo, ma di una “riduzione della violenza”, secondo la formula ufficiale.

L’accordo costituirà una svolta nella più lunga guerra mai combattuta dagli Stati Uniti, scatenata dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 per cacciare da Kabul i taliban, all’epoca protettori di Al Qaeda e di Osama bin Laden. Diciotto anni dopo, con 2.300 vittime statunitensi, mezzo milione di morti afgani e mille miliardi di dollari spesi, la trattativa per la conclusione delle ostilità si svolge con quegli stessi taliban.

Non si tratta della fine del conflitto, ma al massimo dell’inizio delle fine, con tutti i rischi che ne conseguono e la diffidenza inevitabile tra nemici che si sono combattuti duramente. Ma resta il fatto che da tempo, a Washington, questa guerra è considerata impossibile da vincere, e bisognava trovare una via d’uscita meno umiliante possibile.

Molti afgani temono che la pace possa rivelarsi un inganno

Il testo firmato dai rappresentanti degli Stati Uniti e del movimento islamista apre la strada a una riduzione pianificata della presenza militare americana in Afghanistan, obiettivo principale di Donald Trump. L’accordo dovrà essere seguito da un negoziato diretto tra gli afgani, con i taliban da un lato e dall’altro una delegazione “inclusiva” che comprenda il governo di Kabul, le altre forze politiche e la società civile afgana.

Non sarà la parte più facile, innanzitutto perché esistono profonde divisioni a Kabul, a cominciare da quelle tra il presidente Ashraf Ghani e il suo rivale alle presidenziali, il cui risultato è stato appena annunciato, cinque mesi dopo il voto… I disaccordi rischiano di far salire il prezzo da pagare per la pace.

Nessun afgano può essere contrario al tentativo di portare finalmente la pace in questo paese martire, che senza andare troppo lontano vive in uno stato di guerra permanente dall’invasione sovietica del 1979.

Tuttavia molti temono di fare troppe concessioni ai taliban. Basta pensare alla situazione delle donne. Cittadine di seconda classe durante il dominio dei taliban, oggi hanno un ruolo importante nella società civile e non intendono rinunciarvi.

Molti afgani temono che la pace possa rivelarsi un inganno, con i taliban che aspetterebbero la partenza degli statunitensi per rovesciare un governo fin troppo debole. Gli estremisti islamici, d’altronde, sanno che Donald Trump desidera ardentemente l’accordo che Obama non era riuscito a concludere e un avvio della ritirata dei soldati in tempo per la campagna elettorale, e sono perfettamente consapevoli che il presidente degli Stati Uniti non si preoccupa minimamente di ciò che potrebbe accadere in seguito.

Il 29 febbraio si volterà pagina, ma il seguito non è ancora stato scritto.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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