17 agosto 2020 11:14

Il traffico di schiavi tra l’Africa e le Americhe e lo sfruttamento economico e sessuale di milioni di uomini e donne fino al diciannovesimo secolo possono essere tracciati nel dna dei loro discendenti. Lo dice un importante studio pubblicato grazie ai profili genetici raccolti dall’azienda 23andMe.

Più di cinquantamila persone nelle Americhe, in Europa e in Africa hanno partecipato a questo studio sorprendente, che coniuga analisi di dna individuali e dettagliati dati di archivio relativi alle navi che trasportarono gli schiavi: 12,5 milioni di uomini, donne e bambini tra il 1515 e il 1865, il 70 per cento sbarcato nell’America meridionale, e tra i trecentomila e il mezzo milione di persone nel Nordamerica. Più di due milioni di loro sono morti durante il viaggio.

“Volevamo confrontare i nostri risultati genetici con i registri di trasporto delle navi per trovare possibili differenze, che in alcuni casi sono emerse in maniera piuttosto evidente”, spiega Steven Micheletti, genetista dell’azienda.

Il contributo delle donne
I ricercatori si sono resi conto che, sebbene gli schiavi fossero soprattutto uomini, le donne africane hanno dato, nel corso dei secoli, un contributo genetico maggiore alla popolazione attuale, un dato osservato analizzando i geni del cromosoma x che le donne possiedono in numero doppio.

“In alcune regioni stimiamo che per ogni uomo africano si siano riprodotte 17 donne africane. Non avremmo mai pensato che questa proporzione fosse così elevata”, spiega il ricercatore.

Questo si spiega con la politica di “diluizione” o di “sbiancamento razziale” praticata all’epoca in America meridionale. L’obiettivo era di “sbiancare” la popolazione, incoraggiando le gravidanze dovute a rapporti tra coloni e schiavi, in particolare all’inizio del diciannovesimo secolo in Brasile, sottolineano gli autori dello studio, pubblicato sull’American Journal of Human Genetics.

La rotta interamericana
Invece, gli uomini e le donne di origine africana negli Stati Uniti si riproducevano quasi nelle stesse proporzioni. “La tendenza era quella di incoraggiare la procreazione tra gli schiavi perché ne nascessero sempre di più”, spiega Joanna Mountain, direttrice di ricerca presso 23andMe, nonostante fosse diffusa la violenza sessuale su schiavi e schiave commessa da loro padroni.

Lo studio rivela anche che, in prevalenza, gli afroamericani negli Stati Uniti sono geneticamente legati a popolazioni che vivevano in un’area dell’Africa corrispondente all’attuale Nigeria. In verità, all’epoca queste popolazioni rappresentavano solo una minoranza degli schiavi inviati negli Stati Uniti, che arrivarono nei Caraibi e furono poi trasportati nel paese: una rotta interamericana che solo ora comincia a essere riscoperta.

Negli Stati Uniti il patrimonio genetico della zona del Senegal e del Gambia è invece sottorappresentato. La spiegazione è sinistra: “In Africa quelle persone erano spesso coltivatori di riso, per questo finivano spesso deportati nelle piantagioni negli Stati Uniti, afflitte dalla malaria e con un alto tasso di mortalità”, scrive Steven Micheletti.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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