02 marzo 2021 10:40

Dal dicembre del 2010, quando il Qatar è stato scelto per ospitare i Mondiali di calcio del 2022, più di 6.500 lavoratori migranti – dodici ogni settimana – sono morti nel paese. La maggior parte di loro era arrivata da India, Pakistan, Nepal, Bangladesh e Sri Lanka. I dati provengono da fonti governative e sono stati ottenuti in esclusiva dal Guardian: quelli che arrivano da India, Bangladesh, Nepal e Sri Lanka rivelano che 5.927 persone sono morte tra il 2011 e il 2020. Altri dati dell’ambasciata del Pakistan in Qatar riferiscono di altri 824 lavoratori pachistani morti tra il 2010 e il 2020.

In realtà il numero totale è più alto, perché le statistiche non includono i migranti che erano arrivati da altri paesi, come Filippine e Kenya. Anche i decessi avvenuti negli ultimi mesi del 2020 non sono inclusi nel conteggio.

Negli ultimi dieci anni il Qatar ha intrapreso un programma di costruzione di infrastrutture senza precedenti in vista dei Mondiali del 2022. Oltre a sette nuovi stadi, decine di grandi progetti sono stati completati o sono in costruzione. Tra questi c’è un nuovo aeroporto, strade, sistemi di trasporto pubblico, alberghi e una nuova città, che ospiterà la finale del campionato.

Anche se i dati dei decessi non specificano il tipo di occupazione o il luogo di lavoro, è probabile che molti immigrati morti negli ultimi dieci anni lavorassero in questi progetti, dice Nick McGeehan, uno dei responsabili di FairSquare Projects, un’organizzazione non governativa che si occupa dei diritti del lavoratori nei paesi del golfo Persico.

Famiglie a pezzi
I decessi di lavoratori direttamente impegnati nella costruzione degli stadi per i Mondiali sono 37, di cui 34 classificati come “non legati al lavoro” dal comitato organizzatore dell’evento. Gli esperti hanno messo in discussione l’uso di quest’espressione, che in alcuni casi è stata utilizzata per descrivere morti avvenute sul luogo di lavoro, come nel caso di alcuni lavoratori colpiti da malori e deceduti nei cantieri degli stadi.

Queste rivelazioni dimostrano l’incapacità del Qatar di proteggere i migranti – che sono circa due milioni – e perfino d’indagare sulle cause dell’alto tasso di mortalità tra i lavoratori, in gran parte giovani.

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Dietro le statistiche si nascondono storie di famiglie devastate dal lutto, rimaste senza la loro principale fonte di reddito, in lotta per ottenere un risarcimento, e confuse riguardo alle circostanze della morte dei loro familiari.

Ghal Singh Rai, immigrato nepalese, aveva pagato più di mille dollari di commissioni per farsi assumere come addetto alle pulizie in un campo per i lavoratori impegnati nella costruzione di uno stadio nell’area di Education City. Una settimana dopo essere arrivato si è suicidato. Mohammad Shahid, arrivato dal Bangladesh, è morto per una scarica elettrica nel suo appartamento, dopo che l’acqua era entrata in contatto con dei cavi non protetti.

Madhu Bollapally, un immigrato indiano di quarant’anni, è morto per “cause naturali” mentre lavorava in Qatar. Il suo corpo è stato ritrovato disteso sul pavimento della stanza del suo dormitorio. La famiglia sostiene che fosse in buona salute.

Il triste bilancio delle morti in Qatar è rivelato nei lunghi fogli di calcolo di dati ufficiali che elencano le cause di morte, come lesioni multiple contundenti dovute a cadute dall’alto e asfissia da impiccagione. In alcuni casi le cause di morte sono state impossibili da determinare per via della decomposizione del corpo. Ma tra tutte le cause, la più comune è di gran lunga la “morte naturale”, spesso attribuita a insufficienza cardiaca o respiratoria acuta.

Secondo i dati ottenuti dal Guardian, il 69 per cento dei decessi tra i lavoratori indiani, nepalesi e bangladesi è attribuito a cause naturali. Nel caso degli indiani il dato sale all’80 per cento.

Il Qatar continua a “fare finta di niente, in apparente disprezzo per le vite dei lavoratori”, ha dichiarato Hiba Zayadin

Tempo fa il Guardian aveva già denunciato che queste classificazioni, che solitamente vengono fatte senza che sia condotta un’autopsia, impediscono spesso di fornire una spiegazione medica plausibile per i decessi. Nel 2019 avevamo scoperto che le alte temperature che si registrano in estate in Qatar sono probabilmente un fattore significativo per spiegare queste morti. Queste rivelazioni sono state confermate da una ricerca commissionata dall’Organizzazione internazionale del lavoro delle Nazioni Unite, secondo cui per almeno quattro mesi all’anno i lavoratori sono costretti a lavorare all’aperto in condizioni climatiche estreme.

Nel 2014 un rapporto degli avvocati del governo del Qatar raccomandava di commissionare uno studio sulle morti dei lavoratori migranti per arresto cardiaco, e di modificare la legge per “permettere le autopsie in tutti i casi di morte inattesa o improvvisa”. Il governo non ha fatto nessuna delle due cose.

Il Qatar continua a “fare finta di niente su una questione importante e urgente, in apparente disprezzo per le vite dei lavoratori”, ha dichiarato Hiba Zayadin, ricercatrice della regione del golfo Persico per Human rights watch. “Abbiamo chiesto al governo di modificare le sue leggi sulle autopsie per poter svolgere indagini forensi per tutte le morti improvvise o inspiegabili, e di approvare norme che impongano di indicare nei certificati di morte una causa rilevante dal punto di vista medico”.

Il governo del Qatar non contesta il numero di morti e sostiene che questi dati sono proporzionati alla dimensione della forza lavoro migrante. Aggiunge inoltre che le cifre includono impiegati morti per cause naturali dopo aver vissuto in Qatar per molti anni. “Il tasso di mortalità tra queste comunità rientra in proporzioni accettabili viste le dimensioni e la demografia della popolazione. Tuttavia, ogni vita persa è una tragedia, e il nostro paese cerca in ogni modo di prevenire ogni singolo decesso”, ha affermato il governo del Qatar tramite la dichiarazione di un portavoce.

Il funzionario ha aggiunto che tutti i cittadini del Qatar e quelli stranieri hanno accesso a un’assistenza sanitaria gratuita di primo livello, e che negli ultimi dieci anni c’è stato un calo costante del tasso di mortalità tra i “lavoratori ospiti”, grazie alle riforme sanitarie e alle leggi per la sicurezza sul lavoro.

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Altre cause significative di morte tra indiani, nepalesi e bangladesi sono gli incidenti stradali (12 per cento), quelli sul lavoro (7 per cento) e il suicidio (7 per cento).

I decessi causati dal covid-19, che sono stati molto pochi in Qatar, non hanno influenzato in modo significativo queste statistiche: al momento si contano circa 250 morti tra i cittadini di tutte le nazionalità.

L’inchiesta del Guardian dimostra anche la mancanza di trasparenza, rigore e dettaglio nella registrazione dei decessi in Qatar. Le ambasciate di Doha e i governi dei paesi che inviano manodopera sono riluttanti a condividere i dati, forse per ragioni politiche. E quando li forniscono sono piene di incongruenze, anche perché non esiste un formato standard per la registrazione delle cause di morte. Un’ambasciata di un paese del sud-est asiatico ha dichiarato di non poter condividere i dati sulle cause di morte perché sono stati riportati solo a mano in un quaderno.

A proposito della condizione dei lavoratori migranti, il comitato che organizza i Mondiali in Qatar ha risposto: “Ci rammarichiamo profondamente per tutte queste tragedie e abbiamo indagato su ogni incidente per garantire che siano state tratte utili lezioni. Siamo sempre stati trasparenti su questo tema e contestiamo le affermazioni imprecise sul numero di lavoratori morti nei nostri cantieri”.

Un portavoce della Fifa, l’organo di governo del calcio mondiale, ha dichiarato che la sua organizzazione è seriamente impegnata a proteggere i diritti dei lavoratori. “Grazie alle misure molto rigorose sulla salute e la sicurezza sul lavoro le frequenza degli incidenti nei cantieri della Fifa è bassa rispetto ad altri grandi progetti edilizi nel resto del mondo”, ha dichiarato l’organizzazione, senza fornire prove.

(Traduzione di Federico Ferrone)

L’originale di questo articolo è uscito sul Guardian.

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