12 ottobre 2015 15:21

Quando comprate un film su Instant video, il servizio di streaming video di Amazon, in realtà non lo state comprando, ma solo affittando a tempo indeterminato. È una distinzione importante se la vostra idea di “acquisto” è pagare una somma per ottenere qualcosa per tutto il tempo che volete. Ma nel mondo dei beni digitali le cose sono più complicate.

Ci sono due differenze tra comprare un contenuto in formato fisico o in formato digitale. Per cominciare, bisogna considerare l’aspetto tecnico. Per garantire l’accesso a un file nel lungo periodo bisogna procurarsene una copia, per esempio scaricando un film invece di guardarlo in streaming da un server di terze parti. La seconda differenza è un po’ più complessa, e ha a che fare con la legge che ha configurato i diritti digitali negli ultimi quindici anni. Per capire la questione, pensate a chi ha deciso di rinunciare ai cd preferendo comprare la musica su iTunes.

“Prima, quando compravi un cd, entravi in possesso del supporto materiale e di una copia autorizzata con cui potevi fare quello che volevi, nel rispetto del diritto d’autore”, dice Dan Hunter, il preside della Swinburne law school. “Per esempio, potevi cederlo a un amico o rivenderlo. Oggi, invece, per i contenuti protetti da copyright – come i giochi o la musica – in genere si vendono le licenze: quindi si ottiene il diritto limitato a fare cose con il contenuto (di solito la possibilità di usarlo su un numero ristretto di dispositivi), ma non puoi rivenderlo o darlo a qualcun altro. Non hai comprato la canzone, ma il diritto ad ascoltarla per un po’ di tempo”.

Anche se Amazon non fallirà tra vent’anni, di certo tra cento anni non sarà come è oggi

Allora cosa succede se l’azienda che ci ha venduto la canzone fallisce? Da complicata, la situazione diventa all’improvviso “decisamente complicata”, ha risposto Hunter. Il documento della Apple che definisce le condizioni di vendita di iTunes e dell’App store è lungo quasi ottanta pagine. “Buona fortuna a chi vuole cercare di capire se si ha il diritto di ascoltare la musica anche se la Apple fallisce”, ha commentato Hunter. “Farei fatica a trovare la risposta anch’io, che sono un giurista specializzato in diritto d’autore e lavoro nel settore della tecnologia da venticinque anni”.

Per l’acquisto di contenuti in streaming, è facile capire quale sarà il destino crudele delle nostre collezioni. “Immaginiamo che Amazon fallisca”, dice Siva Vaidhyanathan, un docente di scienze della comunicazione dell’università della Virginia. “Nel caso dei video in streaming è chiaro che andranno persi, perché non li abbiamo salvati nel nostro computer”.

Insomma, a meno che non ci prendiamo il tempo di scaricare ogni film che compriamo e guardiamo in streaming (cosa che tra l’altro, nei termini di servizio di Instant video, Amazon consiglia di fare “subito dopo l’acquisto”), la nostra possibilità di accedere a quel film dipende da una serie di fattori su cui non abbiamo alcun controllo. Amazon, che non ha risposto alle richieste di interviste per questo articolo, non deve per forza fallire per farci perdere il film che abbiamo comprato.

Sono tanti gli elementi necessari per poter guardare i film della nostra raccolta: il software che si occupa dello streaming deve funzionare, i dispositivi che vogliamo usare devono rimanere compatibili con quel software e il film dev’essere accessibile con quel sistema. Nessuno di questi fattori è garantito. I film che compriamo potrebbero già sparire automaticamente dalla nostra collezione di Instant video in qualunque momento (anche questo è specificato nei termini di servizio di Amazon).

Tutto questo mostra un grande cambiamento culturale nel modo in cui le persone concepiscono, o comunque dovrebbero concepire, il possesso di contenuti nel ventunesimo secolo. L’acquisto di contenuti digitali è sempre più simile a quello dei software, che un tempo si vendevano su disco e oggi si scaricano da internet. “Anche se pensate di aver comprato Microsoft Office, il contratto d’uso stabilisce che lo state solo noleggiando”, spiega Vaidhyanathan. “Si può pensare alla musica e ai video come a una delle tante forme di software. È in atto una convergenza”.

Qualunque cosa sia conservata in un server situato da qualche parte del pianeta è effimera

Questa convergenza è stata creata per un mondo fatto di streaming, a sua volta determinato dall’aspettativa di una gratificazione immediata. “Sempre più spesso preferiamo la comodità all’affidabilità. E lo facciamo senza pensarci troppo”, osserva Vaidhyanathan. “Dobbiamo renderci conto che si tratta di beni temporanei. Qualunque cosa sia conservata in modo centralizzato in un server situato da qualche parte del pianeta è effimera. Anche se Amazon non fallirà tra vent’anni, di certo tra cento anni non sarà come è oggi”.

Anche per quanto riguarda l’ambito delle raccolte private, il cambiamento nel mondo delle informazioni produce effetti che si estendono al di là dei film e della musica. “Se Amazon fallisse”, dice Vaidhyanathan, “tutti i libri che ho sul Kindle diventerebbero inaccessibili perché i libri per Kindle sono vincolati al software del Kindle”.

Il docente immagina che se Amazon smettesse di esistere, qualche hacker troverebbe presto il modo di sbloccare il formato del Kindle, e magari in questo modo i contenuti si potrebbero recuperare in forma di pdf o di semplici file di testo. “Alla fine i contenuti potrebbero essere liberamente accessibili a tutti, e chiaramente questo farebbe impazzire gli editori”, commenta Vaidhyanathan.

Secondo gli studiosi di scienze della comunicazione e i giuristi specializzati in diritti digitali, l’importante è ricordare che anche i colossi della tecnologia prima o poi falliranno. È una prospettiva facile da ammettere, ma strana da immaginare. “Ormai dipendiamo così tanto da Amazon che è difficile immaginare di farne a meno”, dice Vaidhyanathan. “Amazon ha preso il sopravvento sia sui lettori sia sugli editori, ma se crollasse scoppierebbe il caos”.

A scatenare il caos sarebbe l’immensa perdita di dati e la scomparsa di contenuti. “Agli inizi del ventiduesimo secolo ci troveremo di fronte a enormi lacune di sapere e cultura, perché nessuna di queste aziende esisterà più”.

(Traduzione di Floriana Pagano)

Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta su Theatlantic.com. Clicca qui per vedere l’originale. © 2015. Tutti i diritti riservati. Distribuito da Tribune Content Agency

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