13 maggio 2017 11:24

Il 9 maggio Donald Trump ha rimosso James Comey dall’incarico di direttore dell’Fbi, la polizia federale statunitense. Spiegando la decisione, Trump ha detto di non essere soddisfatto del modo in cui Comey ha gestito l’inchiesta su Hillary Clinton e sul suo uso di un account di posta privato ai tempi in cui era segretaria di stato.

Ma quasi nessuno ha creduto a questa spiegazione. E in tanti fanno notare che un mese fa Comey ha reso una testimonianza di fronte al congresso in cui ha spiegato che la sua agenzia stava indagando sui tentativi del governo russo di condizionare l’esito delle elezioni presidenziali del 2016, e su una possibile collaborazione tra i consiglieri di Trump e i funzionari russi.

I democratici sospettano che Trump voglia interferire sull’indagine e temono che sostituisca Comey con una persona non indipendente. Per questo hanno chiesto alla Casa Bianca di nominare un procuratore speciale che si occupi della vicenda russa. La richiesta è stata rilanciata anche da alcuni repubblicani. Tuttavia il 10 maggio Mitch McConnell, leader della maggioranza repubblicana al senato, e Richard Burr, capo della commissione sull’intelligence del senato, hanno respinto la proposta.

Una mossa avventata
Alcuni commentatori hanno paragonato la decisione di Trump all’abuso di potere di Richard Nixon, che nel 1973 ordinò il licenziamento del procuratore speciale incaricato di indagare sul caso Watergate, lo scandalo che portò alle dimissioni del presidente.

La decisione di Trump è stata una sorpresa perché negli Stati Uniti il direttore dell’Fbi, il cui mandato dura dieci anni, non è scelto con criteri politici. Per di più, in passato Trump si era complimentato con Comey per aver reso pubbliche le accuse contro Clinton, una mossa che molti commentatori avevano considerato avventata e che aveva dato una mano a Trump negli ultimi giorni della campagna elettorale (Time ha raccolto in un video le dichiarazioni di Trump che mostrano come ha cambiato idea su Comey negli ultimi mesi).

Il New York Times ha rivelato che qualche giorno prima di essere licenziato Comey aveva chiesto a Rod J. Rosenstein, viceministro della giustizia, più risorse per le indagini sulle interferenze russe. Rosenstein supervisiona l’indagine sulla Russia dopo che Jeff Sessions, il ministro della giustizia, ne ha preso le distanze quando si è scoperto che durante la campagna elettorale aveva parlato due volte con Sergej Kisljak, l’ambasciatore russo negli Stati Uniti.

Secondo la ricostruzione di Politico, Trump avrebbe preso la decisione dopo alcune settimane in cui è cresciuta la sua rabbia nei confronti di Comey: oltre a essere infastidito per l’indagine sulle interferenze russe in campagna elettorale, il presidente accusava il direttore dell’Fbi di non aver fatto nulla per impedire le fughe di notizie partite dall’interno del governo federale che hanno messo in imbarazzo la Casa Bianca.

Trump contestava a Comey anche di non aver appoggiato le sue accuse all’ex presidente Obama, che secondo Trump lo aveva fatto intercettare durante la campagna elettorale. Queste accuse, che il presidente aveva formulato dopo aver guardato alcuni notiziari televisivi, si sono rivelate prive di fondamento.

Popolarità in calo
Al di là dei rischi di un conflitto istituzionale, Trump rischia di pagare un prezzo politico molto alto per questa vicenda. Negli Stati Uniti l’Fbi è storicamente una delle organizzazioni governative di cui gli statunitensi si fidano di più, e Trump è uno dei presidenti più impopolari della storia americana (la sua popolarità è diminuita ulteriormente secondo un sondaggio realizzato dopo che la camera ha approvato la nuova riforma sanitaria).

Inoltre, lo scontro con l’Fbi potrebbe peggiorare i rapporti già tesi tra il presidente e il congresso, dove una parte del Partito repubblicano contesta le politiche di Trump. Ma soprattutto, il licenziamento di Comey riporta al centro del dibattito politico il tema dell’interferenza russa nelle elezioni presidenziali, dopo alcune settimane in cui la vicenda era finita in secondo piano. E farà aumentare le pressioni dei democratici e dell’opinione pubblica sui repubblicani per chiedere che l’indagine in corso al congresso sia condotta in modo indipendente. Lo stesso giorno in cui ha licenziato Comey, Trump ha ricevuto alla Casa Bianca Sergej Lavrov, il ministro degli esteri russo, e Pavlo Klimkin, ministro degli esteri ucraino.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Nelle prossime settimane Trump nominerà un nuovo direttore dell’Fbi. Nelle liste dei possibili candidati apparse finora sui giornali ci sono anche Chris Christie, governatore del New Jersey e alleato politico di Trump, David Clarke, sceriffo del Wisconsin molto critico nei confronti del movimento per i diritti dei neri Black lives matter, e Ray Kelly, ex comandante della polizia di New York ed ex collaboratore di Bill Clinton.

Intanto ieri Trump ha scritto un tweet in cui fa capire che potrebbero esistere delle registrazioni delle sue conversazioni con Comey, e in cui sembra minacciare l’ex direttore dell’Fbi per convincerlo a non parlare con la stampa.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Tagli al programma antidroga
Trump ha proposto di tagliare drasticamente i fondi per l’ufficio della Casa Bianca sulle politiche per il controllo delle droghe. Il budget dell’agenzia passerebbe da 388 milioni a 24, e circa trenta impiegati sarebbero licenziati.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

La proposta di Trump è stata criticata dai democratici e anche da molti repubblicani. In campagna elettorale Trump aveva promesso di affrontare il problema della dipendenza da oppioidi molto diffuso nel paese, soprattutto nelle zone rurali.

Ritorno in Afghanistan
La Casa Bianca ha annunciato grandi cambiamenti nella strategia in Afghanistan. Trump ha deciso di dare maggiori poteri alle loro truppe nel paese e di inviare altri soldati, fra i tremila e i cinquemila.

Il nuovo piano statunitense è una risposta al fatto che la situazione nel paese asiatico sta degenerando, mentre i taliban continuano a guadagnare terreno. Attualmente nel paese ci sono circa 13mila soldati della coalizione internazionale che assistono l’esercito afgano, di cui 8.400 sono statunitensi. Entro il 25 maggio, quando si terrà un vertice della Nato a Bruxelles, Trump dovrebbe spiegare nel dettaglio quale sarà la sua strategia.

Si tratta di una delle situazioni più complicate che il presidente deve affrontare in politica estera. In campagna elettorale Trump aveva detto di voler mettere “l’America al primo posto” e che la sua amministrazione avrebbe smesso di spendere soldi e risorse in paesi che non sono al centro degli interessi statunitensi. Al contrario, mandare nuove truppe in Afghanistan costerebbe miliardi di dollari e non è detto che sarebbe garanzia di vittoria.

Gli Stati Uniti non sono riusciti a pacificare la situazione in Afghanistan neanche quando avevano centomila soldati nel paese. Allo stesso tempo, senza un maggiore impegno degli Stati Uniti nel paese, i taliban e altri gruppi estremisti, come lo Stato islamico, continuerebbero a guadagnare terreno, indebolendo la posizione di Trump, che ha sempre promesso di sconfiggere i fondamentalisti.

Più armi ai curdi
La Casa Bianca ha approvato l’invio di armi alle forze curde siriane che combattono il gruppo Stato islamico nel nordest della Siria. La decisione potrebbe alimentare la tensione con il governo turco, che non fa distinzioni tra i jihadisti sunniti e i curdi dell’Ypg e che teme le rivendicazioni dei curdi che vivono nel sud della Turchia.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it