La pace totale, cioè l’ambiziosa politica del presidente colombiano Gustavo Petro di trattare con tutti i gruppi criminali attivi nel paese, ha subìto una pesante battuta d’arresto questa settimana. Dal 16 gennaio infatti l’Esercito di liberazione nazionale (Eln), l’ultima grande organizzazione guerrigliera della Colombia, ha cominciato un’offensiva per eliminare un rivale locale, un gruppo dissidente delle ex Farc, la guerriglia smobilitata nel 2016 con la pace firmata tra i combattenti e il governo dell’allora presidente Juan Manuel Santos.
In risposta ai combattimenti, che in pochi giorni hanno provocato almeno cento vittime e 32mila sfollati in fuga dalla violenza, il 17 gennaio Petro, ex guerrigliero e primo leader di sinistra nella storia del paese, ha annunciato la sospensione dei colloqui con l’Eln, scrivendo su X che la guerriglia non ha nessuna intenzione di raggiungere la pace e accusando i suoi combattenti di aver commesso crimini contro l’umanità. Pochi giorni dopo ha dichiarato anche lo stato d’emergenza interna ed economica. E la procura generale ha riattivato i mandati d’arresto contro 31 capi della guerriglia, sospesi durante le trattative di pace.
L’Eln, fondato nel 1964, è l’ultimo grande gruppo guerrigliero nato sulla scia della rivoluzione cubana ancora attivo nel paese. Ha circa 2.500 combattenti divisi su vari “fronti”, più o meno indipendenti gli uni dagli altri. Negli ultimi quarant’anni tutti i tentativi fatti dai governi di sedersi al tavolo dei negazioni con i capi guerriglieri sono falliti. In un articolo di Le Monde, la corrispondente Marie Delcas racconta che l’Eln ha scelto di “eliminare i traditori”, cioè di minacciare o uccidere i civili sospettati di avere legami con i dissidenti delle Farc. A conferma di queste testimonianze fatte dagli abitanti, alcuni video amatoriali mostrano i militanti dell’Eln che, liste alla mano, setacciano le case della regione del Catatumbo alla ricerca dei “nemici”.
Le violenze sono in corso soprattutto nel nordest, nella regione del Catatumbo, nel dipartimento di Norte de Santander, vicino al confine con il Venezuela. È una zona povera, rurale, dove l’assenza storica dello stato ha permesso ai gruppi di guerriglieri e narcotrafficanti che si contendono il traffico di cocaina di crescere e affermarsi. Il quotidiano colombiano El Tiempo scrive che il conflitto nel Catatumbo va avanti dal almeno trent’anni, prima con i paramilitari di estrema destra delle Autodifese unite della Colombia poi con le Farc e l’Eln che, con la complicità del Venezuela di Hugo Chávez, hanno intensificato la loro presenza al confine. A questo si aggiungono le infrastrutture scarse, un sistema sanitario carente e la mancanza di un solido sistema di giustizia.
Come trent’anni fa, è la cocaina il motore del conflitto armato interno: “La stessa guerra, lo stesso abbandono da parte delle istituzioni, gli stessi criminali. Perché i dissidenti delle Farc e i guerriglieri dell’Eln di oggi sono gli eredi dei gruppi sovversivi e criminali di ieri. Non combattono per l’ideologia marxista-leninista o per il bene del popolo. Ma per il traffico di droga”. A farne le spese sono soprattutto i civili.
Migliaia di persone sono in fuga dagli scontri, molte hanno cercato rifugio al confine con il Venezuela, come racconta l’articolo del País che pubblichiamo nell’ultimo numero di Internazionale. Il 23 gennaio Petro ha annunciato di aver parlato con il leader venezuelano Nicolás Maduro, che ha definito con toni dispregiativi “colui che esercita la presidenza” (riferendosi alle irregolarità delle ultime elezioni presidenziali di luglio), per mettere in atto un piano congiunto con l’obiettivo di contenere le attività dei gruppi armati al confine.
Senza nominarlo esplicitamente, il giorno prima il leader colombiano aveva lasciato intendere che le attività dell’Eln non sarebbero possibili senza il sostegno di Caracas: “Le azioni della guerriglia non si devono solo al conflitto armato interno. Si tratta di una strategia mortale che mette in pericolo la sovranità nazionale”.
In risposta a queste affermazioni, una fonte del governo venezuelano ha detto al País che “Petro è uno zombi e che non gli resta niente di quella persona di sinistra che è stata un tempo”. I rapporti tra i due paesi erano già tesi, perché Maduro aveva rifiutato la mediazione della Colombia e del Brasile dopo le elezioni contestate di luglio (gran parte della comunità internazionale e l’opposizione riconoscono Edmundo González Urrutia come presidente legittimo). Alla cerimonia di insediamento, che si è svolta a Caracas il 10 gennaio, il governo di Bogotá ha inviato solo l’ambasciatore.
Anche sul fronte interno non mancano i problemi per Petro. Secondo l’opposizione le violenze dimostrano il fallimento della politica della pace totale, avviata nel 2022 subito dopo la vittoria alle elezioni. Trattare contemporaneamente con tutti i gruppi guerriglieri e criminali si sta rivelando molto più complicato del previsto. La crisi ricorda anche che il processo di smobilitazione delle Farc nel 2016 non ha portato alla pace: molti combattenti si sono riorganizzati e oggi si contendono la gestione delle attività e delle economie illecite. Come scrive Le Monde, “il conflitto armato colombiano ha cambiato natura. I gruppi armati non hanno più lo stato come nemico e neanche la rivoluzione come ambizione. Si combattono tra loro. L’arrivo al potere di un presidente di sinistra non ha modificato sostanzialmente la situazione e i civili continuano a pagare il prezzo più alto della violenza”.
Questo testo è tratto dalla newsletter Sudamericana
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