29 aprile 2020 14:57

Il 23 aprile il rapper statunitense Travis Scott ha fatto il suo primo concerto su Fortnite, un videogioco online. Il suo avatar è atterrato dal cielo come una cometa. Era gigantesco, faceva tremare la terra a ogni passo, tipo Godzilla. I giocatori non dovevano fare altro che correre e saltare per seguirlo mentre si esibiva, nel tentativo di avere la miglior prospettiva possibile. Scott ha “cantato” diversi brani del suo album Astroworld. Al suo fianco c’erano gli avatar di altri due rapper: Drake e Kid Cudi. Il musicista ha sfruttato l’occasione per presentare anche un brano inedito, intitolato The Scotts.

L’evento è stavo visto da più di 27 milioni di persone connesse al videogioco, e da molte altre su piattaforme come Twitch e YouTube. Quella del 23 per Travis Scott era la prima tappa di un mini tour virtuale che è andato avanti fino al 26 aprile. I giocatori che hanno partecipato a una delle date su Fortnite hanno ricevuto in omaggio delle espansioni per il gioco e prodotti del merchandising ufficiale del rapper.

Il giornalista di Complex Eric Skelton ha partecipato al concerto virtuale e l’ha raccontato così: “Verso le sei e mezzo del pomeriggio sono arrivato sul luogo dello show, con circa mezz’ora di anticipo. È stato imbarazzante. Sono arrivato in un posto chiamato Sweaty Sands dove era stato costruito un palco in mezzo all’acqua. Mentre giravo sul bagnasciuga, mi sono accorto che stavo vivendo qualcosa di simile a un concerto di Travis Scott. Mi sono avvicinato al palco e mi sono seduto vicino a un adolescente chiamato ‘Yo Bro Micah’. Dico che era un adolescente basandomi sulla voce che veniva fuori dal suo microfono. Siamo rimasti lì per un po’, guardandoci in modo strano. Poi mi ha detto di andarmene a fanculo e mi ha sparato in testa con un fucile. Ottimo inizio. Quando sono tornato in vita, ho incontrato un gruppo di giocatori che avevano l’aspetto di Travis Scott. Stavano costruendo insieme una specie di struttura per vedere il concerto da una prospettiva migliore. Avevo trovato finalmente i fan del rapper”.

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Il concerto virtuale di Travis Scott è durato circa dieci minuti, cambiando continuamente atmosfera tra esplosioni, immersioni sott’acqua e viaggi nello spazio. Un’esperienza psichedelica e visionaria.

Come ha commentato Skelton: “Travis Scott e la Epic Games (la cosa produttrice di Fortnite) in maniera intelligente non hanno cercato di replicare l’esperienza di un concerto. Hanno scelto di fare qualcosa di molto più surreale, hanno creato un nuovo tipo d’intrattenimento che in futuro potrebbe essere complementare a quello offerto dai concerti”.

Nel frattempo, sul pianeta Terra
Mentre i concerti spopolano nel mondo virtuale e da settimane riempiono le bacheche di Facebook e Instagram con dirette streaming, nel mondo reale le prospettive sono ben diverse. Ormai è evidente a tutti che la prossima estate non ci saranno musicisti sui palchi. In Germania, Francia e Belgio i governi hanno già vietato i live almeno fino alla fine di agosto. Da altre parti, invece, la idee sono più confuse: in Spagna, per esempio, i grandi festival come il Primavera sound di Barcellona e il Mad Cool di Madrid stanno aspettando le mosse delle istituzioni per capire cosa fare. Ma l’esito è scontato: gli appuntamenti salteranno o saranno rinviati al 2021. Le principali manifestazioni mondiali, a partire dal Coachella, si trovano quindi intrappolate in un limbo, alle prese con le enormi conseguenze economiche del covid-19, e indecise su quando e come far ripartire la macchina organizzativa. Anche perché ancora non si sa quando si potrà ripartire davvero.

La situazione crea molti problemi, a partire dalla condizione economica degli addetti ai lavori (soprattutto tecnici del suono e operai) e degli artisti indipendenti, che perdendo la stagione estiva rischiano di avere seri problemi. E poi c’è la questione del rimborso dei biglietti agli spettatori. I tagliandi per i concerti rinviati in tutto il mondo saranno ovviamente validi anche per le nuove date del 2021, ma se vengono annullati o la persona che li ha comprati non vuole o non può più partecipare cosa succede?

Negli Stati Uniti Ticketmaster, il principale sito di vendita di biglietti di proprietà della multinazionale Live Nation (che organizza anche concerti), è stato criticato dopo che all’inizio della pandemia era stato abbastanza ambiguo sulla questione rimborsi. Poi ha fatto marcia indietro e ha dichiarato che chi ha comprato un biglietto può scegliere se farsi restituire la somma spesa o accettare un voucher per un valore pari al 150 per cento del biglietto acquistato. Qualche artista, come i Bon Jovi, ha scelto di far cancellare i propri spettacoli per offrire agli spettatori la possibilità di avere subito i soldi.

La situazione è difficile per tutti, dalle grandi multinazionali agli indipendenti

Anche l’Italia finora ha scelto la strada dei “buoni spesa” per gli spettacoli dal vivo. Nel decreto Cura Italia è prevista l’introduzione di un voucher pari al prezzo del biglietto e ai diritti di prevendita, da spendere per gli eventi organizzati nei dodici mesi successivi a quello a cui si doveva partecipare. Assomusica, l’associazione di categoria degli organizzatori di concerti, ha proposto di estendere il periodo a 18 mesi. Il decreto legge prevede che i voucher siano validi esclusivamente per i concerti organizzati dal promoter dello show cancellato. Il problema è che questa soluzione al momento non si applica agli spettacoli rimandati, che sono la maggioranza.

Il motivo per cui le aziende preferiscono dare i voucher e non rimborsare in contanti è semplice. Quelle che organizzano spettacoli dal vivo hanno bisogno di liquidità per restare in piedi in questo periodo di inattività, sapendo tra l’altro che perderanno la stagione estiva, quella di solito più redditizia.

Insomma, la società sta provando faticosamente a entrare nella fase due, ma la musica, italiana e non solo, sembra ancora impantanata nella fase uno. E questo mette a rischio migliaia di lavoratori.

Un atto di fede
La situazione è difficile per tutti, dalle grandi multinazionali agli indipendenti. Il presidente di Assomusica Vincenzo Spera ha fornito dati preoccupanti: “Tra soldi persi per l’acquisto dei biglietti da parte del pubblico e quelli persi che non vanno ai lavoratori della filiera dello spettacolo parliamo di 350 milioni come minimo. Poi c’è da considerare la ricaduta sul territorio che sarà di almeno 650 milioni, quindi sommando tutto si arriva a circa un miliardo di perdite. Anche gli autori perderanno circa 30 milioni di incassi senza i concerti solo per questo periodo”.

“Noi abbiamo rinviato il nostro festival da maggio a settembre, facendo un atto di fede. Ma siamo praticamente sicuri che il Miami quest’anno non ci sarà. Spero che in questi giorni, alla luce dei dati, ci toglieremo il dente: diciamocelo chiaramente, questa estate i concerti non si possono fare”, racconta Carlo Pastore, conduttore, giornalista e direttore artistico del più importante festival italiano di musica indipendente, che si tiene ogni anno a Milano.

“Quando a febbraio sono venuti fuori i primi focolai di covid-19 in Lombardia e in Veneto abbiamo deciso di fermare la vendita di biglietti, per evitare di entrare nel circolo vizioso dei rimborsi. Anche gli artisti sono stati gentili e ci sono venuti incontro. Ma la situazione è seria: questa per il mondo della musica è un’ecatombe”, aggiunge Pastore.

Clemente Zard è l’amministratore delegato di Vivo Concerti, un’azienda che organizza gli spettacoli di artisti come Salmo, Ultimo e Brunori Sas. Anche lui è preoccupato. “Torneremo sicuramente a fare spettacoli, ma bisogna capire quanto è lontano questo orizzonte. Se il governo non ci dice chiaramente che non possiamo fare i live è un problema: io rischio di pagare l’affitto per i posti dove dovrò fare le date, tipo lo stadio di San Siro, anche se già so che li dovrò rinviare. Da quello che mi risulta comunque entro il 4 maggio la comunicazione ufficiale arriverà. Per quanto riguarda Vivo, la maggior parte dei concerti non sarà cancellata ma semplicemente rinviata al 2021, sperando che in quel periodo le cose si saranno sistemate. Ma noi siamo pronti, abbiamo già le nuove date”.

Sia Carlo Pastore sia Clemente Zard trovano convincente la strada dei voucher. “È giusto che un concerto spostato non sia soggetto a un rimborso, perché viene rinviato per cause di forza maggiore. La filiera subirà una scossa epocale da questa situazione e questa è una tutela sacrosanta, ci permette per esempio di coprire acconti già pagati. Noi di Vivo siamo legati a una multinazionale (Cts Eventim, proprietaria anche di altri tre promoter italiani: Friends & Partners, D’Alessandro & Galli e Vertigo) quindi abbiamo le spalle un po’ più larghe, ma temo che molte aziende più piccole non supereranno questa crisi”, spiega Zard. “Se in questo momento si dovesse rimborsare ogni tagliando comprato sarebbe la fine”, aggiunge Pastore, “vorrebbe dire mettersi una corda al collo e saltare”.

Lo sciopero della musica
Una volta che si ripartirà, come bisognerà farlo? Le persone avranno ancora soldi da investire negli spettacoli dal vivo? “Bisognerà cercare di ricominciare da dove ci eravamo fermati. Spesso sento dire che dovremmo abbassare i prezzi dei biglietti, ma è difficile. I costi rimangono più o meno sempre quelli. Gli artisti più importanti possono anche tagliarsi lo stipendio, come hanno fatto i calciatori di serie A, ma la maggior parte dei musicisti non guadagna abbastanza da poterselo permettere, così come i tecnici e le maestranze. Ci vuole un aiuto pubblico, fondi per i lavoratori, un intervento fiscale, serve insomma il welfare pubblico”, commenta Carlo Pastore. Che aggiunge: “Il problema è che finora nel dibattito pubblico non è emerso abbastanza il valore dell’intrattenimento durante la quarantena. I primi a sbagliare sono gli artisti, che regalano la loro musica a Facebook e Instagram per intrattenere la gente. È stato giusto farlo all’inizio, ma ora basta, bisogna ristabilire il valore del lavoro che c’è dietro alle canzoni. Forse si potrebbe fare uno sciopero della musica, spegnere tutto per due o tre settimane”.

Negli ultimi giorni sono venute fuori alcune proposte per organizzare gli eventi mentre è ancora in corso la pandemia, come quella di fare dei concerti in stile Drive in, ascoltando la musica dentro la propria macchina, ma gli addetti ai lavori restano scettici. Clemente Zard spiega: “L’ipotesi non ha alcun senso. Facciamo due conti al volo: con trecento macchine e un biglietto a cento euro si fanno circa trentamila euro. Al netto dei costi avanzano tipo cinquemila euro. Con queste cifre non è possibile ingaggiare un artista di alto livello. E per un musicista suonare di fronte a trecento macchine con il motore acceso non mi sembra un’ipotesi allettante”.

Anche il distanziamento sociale è molto difficile da immaginare durante un concerto. “Facciamo l’esempio di un palazzetto tipo il forum di Assago, che ha circa undicimila posti”, spiega Zard, “organizzare un live lì è sostenibile solo se si vendono dai sette-ottomila biglietti in su, altrimenti si perdono soldi. A meno che lo stato non voglia darci un sacco di contributi non siamo in grado di ridurre le capienze per permettere il distanziamento tra gli spettatori. Questo mestiere fino a oggi è sopravvissuto decentemente perché ragionava su numeri molto alti, su produzioni di qualità e su paghe buone per artisti e addetti ai lavori. Se si abbassa troppo l’asticella, salta tutto”.

Insomma, al momento è necessario accontentarsi dei cantanti su Fortnite e delle esibizioni in streaming. Ma non bisogna pensare che queste cose siano in grado di sostituire la musica dal vivo, sostiene Carlo Pastore: “I concerti non si fanno online. Si fanno nei posti veri con la gente vera. Non possiamo pensare che il futuro del calcio sia Fifa o Pro evolution soccer, così come non possiamo pensare che le esibizioni dentro i videogiochi siano il futuro della musica, è una stortura logica”. Pastore ammette che “lo show di Travis Scott è stato pazzesco, ha regalato un supereroe a una generazione, ma è un’operazione in stile Super Bowl, ha poco a che vedere con la musica”. I legami tra videogiochi e musica sono tanti, anche in Italia. “Il rapper Tha Supreme e il suo manager, Slait, si sono conosciuti su una chat di Fortnite, tanto per fare un esempio. È normale che uno come Travis Scott sia andato su Fortnite. Ma Travis Scott in questi anni è diventato famoso per le sue canzoni e perché ai suoi concerti rap si poga. Vogliamo forse pogare su Fortnite?”.

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