01 giugno 2020 13:38

Da quando esistono, i treni e le canzoni hanno un rapporto speciale. Nell’ottocento e nel primo novecento erano il modo migliore per viaggiare, spostarsi per lavoro o scappare come fuorilegge. Perfino per arrivare in paradiso, come cantava Sister Rosetta Tharpe negli anni trenta in This train, un brano gospel ripreso anche da Woody Guthrie e da Bruce Springsteen.

Sarà stato forse per onorare questo rapporto vecchio più di un secolo, che il 30 maggio il cantautore milanese Venerus ha suonato accanto a una locomotiva a vapore del 1909 nel museo Leonardo da Vinci di Milano.

Del resto non poteva scegliere un posto qualsiasi, perché quella non era un’occasione qualsiasi: era il primo concerto pop in streaming a pagamento in Italia (non è stato il primo a pagamento in assoluto, ci sono già stati alcuni esempi nel jazz e nella musica classica). Il primo dopo il lockdown, il primo dopo la pandemia, oltretutto nella regione più colpita. Senza pubblico, ovviamente. Per vederlo si doveva usare Dice, un’app britannica nata per vendere biglietti digitali dei concerti che negli ultimi mesi si è riconvertita allo streaming. Costo del biglietto: 5,50 euro.

Un’atmosfera sospesa
Sono le 21.07 quando Venerus esce dall’ombra. Indossa una giacca e una camicia vintage a fantasia floreale. Sul viso si è fatto dipingere dei fiori che sembrano riprenderne lo stile. Ha le sopracciglia tinte di biondo e dei pendenti alle orecchie. I baffi sono come al solito molto curati. Si gira su un fianco e comincia a suonare un sintetizzatore Moog e poi passa al pianoforte a coda. Sul palco insieme a lui ci sono Mace, il suo produttore, ed Enrico Gabrielli, fondatore dei Calibro 35 e polistrumentista di fama internazionale (ha suonato, tra gli altri, con Steve Wynn, Mike Patton e Pj Harvey). Mace fa partire dei loop elettronici, mentre Gabrielli crea un tappeto sonoro con il sassofono. La regia tiene una ripresa abbastanza stretta sul viso e sulle mani dei musicisti.

Finita l’introduzione il trio attacca il brano Non ti conosco e Venerus comincia a cantare. C’è un’atmosfera eterea, che sembra riflettersi anche sul modo in cui il gruppo suona. Tra un pezzo e l’altro ci sono strani silenzi, e i musicisti si guardano un po’ come se pensassero: “E ora? Dobbiamo dire qualcosa o continuiamo semplicemente a suonare?”. “Amici, siamo in diretta!”, dice Venerus ridendo alla fine del primo brano. “Siamo qui riuniti per provare a ricordarci cosa vuol dire suonare insieme”, aggiunge.

Già al secondo pezzo, Al buio un po’ mi perdo, s’intuisce che questo trio, che non ha mai suonato insieme prima d’oggi, funziona molto bene. Gabrielli, che si destreggia tra sax, clarinetto e flauto, è una presenza discreta ma fondamentale.

Un estratto del brano Ioxte, suonato da Venerus il 30 maggio a Milano.


Pian piano l’inquadratura della regia si allarga un po’ di più. Si vede meglio la fiancata della locomativa, la sua gigantesca ruota. Dopo che la band suona Love anthem no. 1, uno dei pezzi che ai concerti di Venerus di solito il pubblico balla di più, il cantante fa il verso di una folla in delirio: “Qui bisogna immaginarsi le persone che vanno fuori”, dice agli altri due. Uno dei pezzi meglio riusciti è IoxTe, nel quale il sax di Gabrielli si prende la scena.

L’unico applauso che si sente è quello che arriva alla fine dell’esibizione, dopo la ballata elettronica Forse ancora dorme. Lo fa partire Venerus, gli vanno dietro Mace e Gabrielli e poi tutto lo staff che ha lavorato al concerto, che è fuori dall’inquadratura.

“Sono molto contento di com’è andata. Prima di suonare ho pensato: ‘Le persone dello staff saranno il mio pubblico. Ma quando abbiamo cominciato ovviamente sono stati zitti, era surreale”, ha raccontato Venerus dopo l’esibizione.

“Questa occasione è stata speciale, non era un concerto normale. Per questo ho chiamato Enrico Gabrielli, sono un suo fan da tanti anni, non solo per quello che ha fatto con i Calibro 35. Non ci eravamo mai incontrati di persona, volevo che succedesse proprio su quel palco. Lui mi ha detto che un’esperienza del genere non l’aveva mai fatta. Spero che quello che abbiamo fatto ci porti a fare tante cose insieme in futuro”, aggiunge il cantante.

Il primo bilancio
A organizzare il concerto di Venerus sono stati l’agenzia Radar Concerti e il festival Milano digital week, che ha messo a disposizione il museo, ha ospitato l’evento sulla sua piattaforma e si è occupato delle riprese video. Per realizzarlo in tutto ha lavorato una ventina di persone.

Il concerto ha fatto registrare 1.200 contatti, ha spiegato Dice, ma tra questi c’erano diversi addetti ai lavori. Stando ai dati diffusi dagli organizzatori, sono stati venduti mille biglietti: facendo un calcolo approssimativo, sono 5.500 euro di incasso. Una cifra che ha permesso di andare in attivo, fa sapere Radar Concerti, e ovviamente di pagare i tre musicisti e i tecnici.

“L’esperimento è riuscito”, racconta Giorgio Riccitelli, fondatore della Radar Concerti e responsabile del settore musica di Dice in Italia. “Ci abbiamo riflettuto tanto prima di fare una cosa del genere. Venerus era l’artista giusto, e abbiamo scelto un luogo speciale, il museo Leonardo Da Vinci, per rendere l’operazione più interessante. Questi concerti non possono sostituire i veri live, che sono fatti di sudore e condivisione, ma possono essere un modo di colmare il vuoto da qui al 2021, quando si spera che le cose ripartiranno a pieno regime”.

Un palliativo
L’esperimento della musica in streaming all’estero sta raccogliendo buoni risultati. Lo show acustico del cantante britannico Lewis Capaldi, trasmesso il 16 maggio da Dice, ha venduto più di 15mila biglietti a cinque pound l’uno. La cantautrice Laura Marling, che suonerà il 6 giugno alla Union chapel di Londra, finora ha venduto più di tremila biglietti.

“Parliamoci chiaro, questi eventi non fanno guadagnare la stessa quantità di soldi dei concerti tradizionali. Per farli serve prima di tutto la disponibilità dell’artista, che si mette in gioco abbassandosi il cachet. È un discorso che vale anche per i live che ci saranno quest’estate in Italia, con il limite di mille posti seduti all’aperto: senza un abbassamento dei costi e della produzione non stanno in piedi, e oltretutto al momento non si possono neanche vendere cibo e bevande, una cosa che deve assolutamente cambiare perché sennò ci uccide”, aggiunge Riccitelli.

Riccitelli quindi è convinto che il modello di Dice sia un buon palliativo, in attesa che le cose tornino alla normalità. “Stiamo vivendo un periodo di transizione, nel quale le multinazionali e i grandi artisti preferiscono aspettare direttamente il 2021, non avendo problemi di liquidità. La musica indipendente invece ha bisogno di lavorare. Nei prossimi mesi immagino un modello ibrido, nel quale ai concerti con i posti ridotti è affiancato lo streaming, sia per l’estate sia per gli eventi al chiuso del prossimo autunno. Può essere un buon modo per coprire le spese. E si possono studiare altre soluzioni creative, come mettere in contatto l’artista con i fan attraverso app tipo Zoom. Lo streaming inoltre si può usare anche per le presentazioni di dischi e altri eventi. Ci stiamo attrezzando anche per mettere a punto un servizio di consegne di cibo e bevande a domicilio”, aggiunge il promoter.

Insomma, i concerti in streaming a pagamento sono arrivati anche da noi. Non saranno il futuro, si spera, o perlomeno non l’unico futuro che ci aspetta, perché prima o poi i concerti dovranno tornare. E fa un certo effetto sapere che una cosa così futuribile sia partita, metaforicamente, a bordo di un treno a vapore.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it