02 maggio 2020 15:04

Rennes, 11 aprile. In fondo al giardino Augustine, nove anni, scavalca la barricata montata in tutta fretta. La bambina porta lo stendardo della Bretagna (che per l’occasione ha sostituito la bandiera francese). Félicie, la sorella più piccola, impersona il bambino che nella Libertà che guida il popolo di Eugène Delacroix porta le pistole, mentre Marcel, quattro anni, è il borghese che imbraccia il fucile. Ai loro piedi ci sono i genitori. Maeva è inginocchiata e supplicante, suo marito è steso sulla schiena, falciato dalla mitraglia durante le sanguinose giornate di luglio del 1830 e, più prosaicamente, nel 2020 stremati da un mese d’isolamento con i figli. Per la piccola famiglia, come per migliaia di altre persone in tutto il mondo, la proposta lanciata dal Getty museum di Los Angeles di ricreare a casa delle opere d’arte “dal vivo” è stata una boccata d’ossigeno.

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Il potere della creazione
Attraverso i social network il progetto è diventato virale. Secondo il Getty le creazioni pubblicate online con gli hashtag #gettychallenge e #gettymuseumchallenge sono più di centomila. “In un momento in cui si parla molto dell’economia e del sistema sanitario, l’arte e la cultura non devono essere trascurate”, afferma Annelisa Stephan, che si occupa della strategia digitale del museo. “Non siamo Van Gogh o De Chirico, ma tutti abbiamo il potere di creare”.

Tutto comincia il 14 marzo nei Paesi Bassi. Anneloes Officier, 31 anni, vive ad Amsterdam con le sue amiche Floor e Tessa. Per scacciare la noia le ragazze immaginano di reinterpretare i quadri dei grandi maestri. Anneloes decide di fare qualcosa di semplice: La ragazza con l’orecchino di perla di Vermeer. Un tessuto intorno alla testa e una testa d’aglio all’orecchio al posto della perla. Manda la foto ai suoi amici sui social network. Il giorno dopo il Rijksmuseum di Amsterdam comincia a seguirla. E così su Instagram nasce l’account Tussenkunstenquarantaine (Tra arte e quarantena). Il successo è enorme.

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Il 25 marzo il Getty museum contatta le ragazze e crea il Getty challenge rilanciando l’iniziativa. Cinque giorni più tardi, dopo aver mandato ai suoi amici una foto del marito nei panni di Van Gogh, Ekaterina Brudnaja-Čeliadinova, 38 anni di Mosca, crea su Facebook la pagina Izoisoliatsia (Confinamento artistico).

A dire il vero l’idea di rifare un quadro non è rivoluzionaria. Che si tratti dei Pogues che nel 1982 ripresero la Zattera della Medusa di Géricault per la copertina di Rum, sodomy and the lash o delle molteplici reinterpretazioni della Pietà di Michelangelo, il tableau vivant è un genere identificato come tale già nell’ottocento, con Théophile Gautier e la sua Histoire de l’art dramatique en France depuis vingt-cinq ans (1858) come principale riferimento: “Questo passatempo, molto singolare, consiste nel mettere degli abiti simili a quelli dei personaggi del quadro che si rappresenta, nel copiare il loro atteggiamento e la loro fisionomia”.

Gli esordi di questa “meta-pittura” – per riprendere le parole di Bernard Vouilloux, autore di un libro sull’argomento – si ritrovano ancora prima: nel 1790, alla Comédie française, la rappresentazione del Bruto di Voltaire riprendeva la composizione di un quadro eseguito l’anno prima da Jacques-Louis David. Ma il quadro vivente diventa una moda a partire dal 1870 con le coreografie libertine di cabaret e music-hall.

Nell’ottocento arriva anche la fotografia. In The two ways of life Oscar Gustave Rejlander riproduce la Scuola di Atene dipinta da Raffaello all’inizio del cinquecento. E nel 1885 in una celebre foto realizzata dal suo amico Walter Barnes, Edgar Degas fa posare la famiglia Halévy, presso cui è ospite a Dieppe, sul modello dell’Apoteosi di Omero dipinta da Ingres nel 1827.

È lo stesso meccanismo di mise en abyme che si ritrova oggi. L’arte che si fa beffe dell’arte, la creazione ludica diventa a sua volta un’opera d’arte. La polacca Irena Ochodzka ha scelto nelle collezioni del Getty museum la scultura greca Il suonatore d’arpa e visto che non aveva un’arpa ha usato un aspirapolvere. “Mi piaceva la combinazione fra l’aria seria e ispirata del musicista e un oggetto così banale”, dice.

Dalla fine dell’ottocento con il Bal des Quat’z’arts (il ballo delle quattro arti, la cui tradizione sarebbe continuata fino al 1968), ogni atelier dell’Accademia di belle arti aveva l’abitudine di inscenare una caricatura dei quadri dei maestri. “Con questo ballo si voleva parodiare un’immagine accademica archetipica”, analizza l’artista Philippe Comar che ha insegnato disegno e anatomia all’accademia. “Quello che vediamo oggi sembra più un gioco di società; racconta quanto musei e accademie abbiano assunto un carattere commerciale con la riproduzione in massa delle opere”.

Miniere d’oro
Damien Gires abita in un piccolo appartamento nell’undicesimo arrondissement di Parigi. Dopo gli studi ha creato una start-up che esplora la realtà virtuale. Lui e la sua ragazza Karine, architetta, sono al loro quinto quadro vivente. Il primo è stato l’autoritratto di Man Ray. Poi c’è stato Banksy e poi Miró: “Abbiamo svuotato tutti gli armadi per trovare ogni sorta di oggetto e di tessuto. Ero in piedi su una sedia con il telefono attaccato con lo scotch a un bastone. Per rifare I piallatori di parquet di Caillebotte abbiamo dovuto svuotare la camera. Per i tre personaggi ho usato Photoshop”. Forse hanno barato, ma il successo è stato comunque enorme.

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“Ci sono due cose nel quadro vivente”, spiega François-René Martin, professore di storia dell’arte all’accademia di belle arti di Parigi e alla scuola del Louvre. “Un effetto comico di disorientamento si accompagna al virtuosismo della realizzazione, e poi c’è l’indovinello”. Natività, quadri storici: in passato i riferimenti erano noti a tutti. Oggi si fornisce la soluzione, accompagnando l’originale al quadro ricreato. L’effetto comico è immediato, ma forse si può parlare anche di una forma di educazione popolare. E il Getty ha colto l’occasione per avvicinare il pubblico alle sue collezioni. Non a caso dopo la creazione del challenge le visite sul sito del museo sono aumentate del 450 per cento.

Tra grandi classici (come la Natura morta con le mele di Cézanne), i quadri che traducono l’angoscia del momento (Il grido di Munch, la Donna che piange di Picasso, La fontana di Duchamp o le opere di Bosch che danno vita a veri deliri post-punk) e i particolarismi nazionali (American gothic di Grant Wood ha avuto un successo enorme oltreoceano, mentre i francesi rimangono fedeli ai grandi quadri di Delacroix, David e Géricault), la varietà e la natura delle opere presentate sono una miniera d’oro per i sociologi e gli esegeti di domani.

Il Getty museum sta riflettendo su quello che potrà farne un domani: una mostra, un libro o addirittura una realizzazione dal vivo delle reinvenzioni. Del resto chi può dire cosa succede quando l’immaginazione prende il potere.

(Traduzione di Andrea De Ritis)

Questo articolo è uscito sul numero 1354 di Internazionale. Compra questo numero|Abbonati

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