Due giorni nella vita di due persone innamorate. Il primo, quando tutto comincia, e l’ultimo, quando ci si lascia. A chi legge, la possibilità di immaginare cosa è successo in mezzo. In questa puntata: Aurore, 32 anni.
Il primo giorno
“Sono un’adolescente come tante, non ho ancora vissuto le mie prime storie d’amore. Vado alle medie in una piccola scuola di periferia. La mia insegnante di storia e geografia ha un’amica innamorata della Cambogia, che appena può fa avanti e indietro con il paese. Insegna francese in un liceo statale di Phnom Penh, dove un programma di cooperazione permette di scolarizzare gratuitamente ragazzi e ragazze che vengono da famiglie povere, insegnando loro il francese.
Le due insegnanti hanno creato un progetto di collaborazione tra la nostra classe in Francia e una classe in Cambogia. Mandiamo dei video nei quali ci presentiamo. Laggiù, gli studenti cambogiani ci scelgono e ci scrivono le loro prime lettere. Ne ricevo una molto carina su un foglio dai bordi arancioni con delle foglie verdi disegnate. È scritta con inchiostro blu, in una fitta calligrafia, e comincia con: ‘Cara Aurore, mi chiamo Veasna (…) quando ho tempo mi piace praticare qualche sport, per esempio il basket o il nuoto. Ma lo sport che amo di più è il calcio, inoltre mi piace ascoltare musica e cantare canzoni sentimentali e disco (…). Ho qualche domanda da farti: hai già un ragazzo? Qual è la situazione della tua famiglia? Ti auguro di stare bene e sono molto felice di conoscerti’.
In seguito mi scrive che viene da una famiglia molto povera, che suo padre era soldato dell’esercito regolare inviato nella giungla per affrontare le ultime sacche di resistenza dei khmer rossi. È tornato traumatizzato e completamente pazzo, sua madre lo ha lasciato. Sia suo padre sia sua madre sono morti. Rimasto orfano, è cresciuto con la zia. Mi spiega che si alza alle sei del mattino per accompagnarla a vendere il riso al mercato, che deve portare delle pentole molto pesanti e pulirle. Tutto prima di andare a scuola.
Sono commossa dalle lettere di questo corrispondente che vive all’altro capo del mondo. Ci mandiamo molte lettere, regali, krama (la sciarpa tradizionale cambogiana), gioielli. L’anno scolastico finisce, continuiamo a scriverci, mentre gli altri compagni di classe hanno smesso ormai da tempo. La mia insegnante si stupisce e si rallegra della durata dei nostri scambi. Ci raccontiamo le nostre vite familiari, di sua zia che lo caccia di casa perché non vuole che continui gli studi anche se ha preso il diploma ed è entrato all’università, io parlo dei miei genitori che stanno divorziando. Si crea un forte legame, sono molto curiosa della sua cultura, leggo e guardo tutto quello che trovo sulla Cambogia. Mi piacciono le nostre lettere da adolescenti, sono amichevoli e non sentimentali.
Finiamo per perderci un po’ di vista fino a quando mi manda un’email: è in Francia per tre mesi, mi chiede se possiamo incontrarci – non ci siamo mai visti, non conosco neanche il suono della sua voce, non ci siamo mai sentiti su Skype né per telefono, nulla. Accetto ovviamente, e gli propongono di venire tre giorni dove vivo.
Il tempo è bello in quel giorno di autunno, lo vado a prendere alla stazione. Il suo treno è in ritardo. Salgo le scale del passaggio sotterraneo, lui è appena sceso dal treno. Ci vediamo per la prima volta in quel corridoio. A casa mia, a tavola, di fronte a lui, ho una strana sensazione. Sono molto nervosa, turbata, faccio cadere tutto, rompo una tazza. Passiamo la prima notte a parlare, mi accarezza la mano, ma io mi tiro indietro, non mi va. Il giorno stiamo insieme, viene con me a lezione. La seconda sera facciamo l’amore. L’ultima mattina lo accompagno alla stazione. Se ne va, sono molto turbata dalla sua partenza. Sono sconvolta, non ha senso.
Mi chiama dall’aeroporto di Parigi. Mi richiama quando arriva a Phnom Penh. Ci sentiamo tutti i giorni, vogliamo stare insieme. Viene a vivere in Francia. Sua zia ha chiesto un prestito per pagargli il biglietto aereo. Atterra con solo venti euro in tasca, è dura, non abbiamo soldi, fa il lavapiatti nei ristoranti per poter vivere, ma ci amiamo”.
L’ultimo giorno
“Mi ritrovo nel classico schema della coppia cambogiana: la donna a casa che si occupa della famiglia, l’uomo fuori ad approfittare dei piaceri e degli amici. Pensavamo di vivere solo d’amore e di acqua fresca, ma da quando siamo andati a vivere in Cambogia dobbiamo fare i conti con le distanze culturali e sociali con cui si confrontano molte coppie miste.
E c’è anche nostro figlio, la nascita di un bambino è un altro grande classico nelle crisi di coppia. Mi rendo conto che per anni ho fatto da madre a mio marito, ho la sindrome della crocerossina che vuole salvarlo. Inoltre è molto turbato dal suo ruolo di padre, ha paura, è terrorizzato e si rassicura cercando di controllare tutto. Mi sento intrappolata nella sua paura.
Litighiamo molto, su qualunque cosa. Il desiderio e i sentimenti cominciano a venire meno. Una notte mi sveglio alle due del mattino, non mi alzo, rimango nel letto, ma lo so: mio figlio vuole che io sia una donna felice, non una madre triste e devota. La mia mente comincia a pensare in fretta, esce da quella sorta di anestesia in cui si trova e cerca le soluzioni: la separazione, il prestito per la casa che bisogna rimborsare, il trasloco – risolvo tutto quello che mi impedisce di partire. Ho preso la mia decisione, sono tranquilla, mi sembra ovvio. Ce la farò, tutto tornerà al suo posto.
Decido di prendermi una settimana di riflessione. Nei giorni che seguono, mi sento fluttuare, lontana dalla realtà. Mio marito capisce che sta succedendo qualcosa, mi chiede di spiegare cosa c’è che non va. Dopo sette giorni, mentre nostro figlio dorme, ci ritroviamo sul divano del salotto, dove tutto sta per decidersi. Gli dico quelle parole dolorose da pronunciare quanto da ascoltare – soprattutto dopo una storia così romantica, andata in frantumi di fronte alle banalità della realtà. Una separazione ordinaria per un incontro straordinario.
‘Ti lascio, non possiamo continuare così. Siamo entrambi infelici, dobbiamo farla finita’. Lui è distrutto, piange, si chiede cosa si può fare per evitare tutto questo, poi piano piano accetta l’idea. Cerca di capire: il problema non è solo la Cambogia, è anche lui, con le sue difficoltà a essere padre, con i suoi traumi infantili, lui che viene da così lontano, lui che deve fare i conti con la distanza che c’è tra i vicoli poveri di Phnom Penh e questa odissea fino in Francia. Anch’io ho le mie vecchie ferite da curare, che la nostra coppia in crisi non ha permesso di guarire. Eppure il nostro incontro era stato straordinario”.
(Traduzione di Andrea De Ritis)
Amore che vieni, amore che vai è una serie del quotidiano francese Le Monde che racconta il primo e l’ultimo giorno di una storia d’amore. Qui ci sono tutte le puntate.
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