10 gennaio 2019 13:03

Cos’è il populismo?
La questione è controversa. Di solito il populismo è descritto come un approccio strategico che considera la politica come una battaglia tra le masse “ordinarie” e virtuose e le élite malvagie e corrotte. Il discorso populista può essere utilizzato dai politici di destra o di sinistra e a volte anche da quelli che non appartengono a nessuno dei due schieramenti.

Alla base del populismo non c’è un’ideologia coerente né una posizione unica. Per dirla con le parole dello studioso Cas Mudde, il populismo è un’ideologia “liquida”, secondo cui la società è fondamentalmente separata in due categorie omogenee e antagonistiche, “il popolo puro” contro “l’élite corrotta”. Il populismo, continua Mudde, tende a sostenere che la politica dovrebbe essere l’espressione della volontà del popolo, mentre secondo altri presenta spesso una concezione “manichea” del mondo, separando nettamente la politica tra bene e male.

Per esempio, nel suo discorso inaugurale del gennaio 2017, l’arcipopulista Donald Trump dichiarava: “Per troppo tempo un piccolo gruppo di persone che vivono nella nostra capitale ha incassato i benefici dell’attività di governo, mentre la popolazione ne ha pagato i costi”.

Chi sono i populisti?
Il populismo è vecchio quanto la democrazia. I sofisti dell’età dell’oro di Atene se ne occuparono centinaia di anni prima che Giulio Cesare portasse il suo tocco populista nella repubblica romana. Dal diciannovesimo secolo gli istinti populisti sono emersi nelle rivolte a favore dei contadini alimentate dagli intellettuali russi negli anni sessanta dell’ottocento e nel movimento agricolo che vent’anni dopo, negli Stati Uniti, sfociò nel People’s party, il Partito del popolo.

Nella seconda metà del novecento, gli accademici hanno usato la parola “populismo” per descrivere movimenti diversi, dal peronismo in Argentina al maccartismo negli Stati Uniti, passando per il regime di Nasser in Egitto e dal movimento poujadista guidato da Pierre Poujade in Francia, negli anni cinquanta.

Considerato che così tanti politici di schieramenti diversi possono essere definiti populisti, c’è chi sostiene si tratti di un’espressione inutile. Nel ventunesimo secolo, però, la definizione è tornata in voga con l’ascesa dei populisti di destra e sinistra.

Globalizzazione, recessione, migrazioni, sono elementi che hanno riportato il populismo in primo piano

A destra, Donald Trump, Viktor Orbán, Rodrigo Duterte e Matteo Salvini sono spesso considerati populisti, e lo stesso vale per il movimento Tea party emerso con la crisi finanziaria del 2008.

Per molto tempo, gli studiosi hanno definito populisti alcuni politici di sinistra, soprattutto in America Latina: Evo Morales in Bolivia, Andrés Manuel López Obrador in Messico e il defunto presidente venezuelano Hugo Chávez. In Spagna, il partito antiausterità Podemos è considerato populista, come lo è il senatore democratico Bernie Sanders negli Stati Uniti.

Non tutti concordano con questa caratterizzazione. L’influente politologo Jan-Werner Müller ha messo in discussione l’etichetta “populista” assegnata ad alcuni di questi esponenti politici di sinistra.

I populisti sono tutti uguali?
Assolutamente no. Uno dei motivi per cui l’espressione si è rivelata così problematica è che i politici che adottano lo stile populista – o i loro sostenitori – non vogliono essere accostati ai loro colleghi dello spettro ideologico opposto. Il fatto che un politico usi una strategia populista non ne definisce necessariamente la posizione a destra o a sinistra. L’ideologia dominante – socialista, neoliberista, autoritaria – può essere molto più indicativa per comprendere un politico.

Alcuni studiosi sostengono che i populisti di destra abbiano la tendenza a essere “esclusori” (estromettendo per esempio i migranti o le minoranze etniche dalla loro concezione di popolo virtuoso), mentre quelli di sinistra hanno un’idea più ampia e inclusiva di cosa costituisca “il popolo”.

Hanno successo?
Sempre di più. Negli ultimi anni i populisti hanno ottenuto risultati clamorosi conquistando il potere in India, in Messico, nelle Filippine, in Brasile e negli Stati Uniti.

In Europa, uno studio del Guardian ha messo in evidenza che i populisti hanno triplicato il numero dei voti negli ultimi vent’anni. Alle ultime elezioni, in media più di un elettore su quattro ha votato per un partito populista. Nel 1998 circa 12,5 milioni di europei vivevano in un paese dove nel governo c’era almeno un ministro populista. Nel 2018 il numero è più che decuplicato, arrivando a 170,8 milioni.

In Germania, nel 2017 il partito populista di estrema destra Alternative für Deutschland (Alternativa per la Germania) ha sestuplicato i voti diventando la terza forza in parlamento. In Italia, i populisti hanno ottenuto risultati ancora migliori nel 2018, con più della metà dei voti complessivi. Nel Regno Unito, l’Ukip ha portato i suoi voti dai centomila del 1997 ai quasi quattro milioni del 2015, anche se due anni dopo ha registrato un calo vertiginoso quando la principale battaglia politica del partito, quella per l’uscita dall’Unione europea, è stata sostanzialmente vinta con il referendum del 2016.

Negli ultimi dieci anni i populisti sono saliti al potere in Grecia, in Ungheria, in Polonia e nella Repubblica Ceca, e attualmente fanno parte del governo in Austria e in Norvegia.

Perché i nuovi populisti sono emersi proprio adesso?
Globalizzazione. Recessione. Migrazioni. Aumento incontrollato della disuguaglianza. Percezione di un fallimento dell’establishment politico nella gestione di questi fenomeni. Sono molti i fattori che negli ultimi anni si sono combinati per creare l’impressione – secondo alcuni, la consapevolezza – che il mondo sia governato da plutocrati, oligarchi e politici distaccati, nell’interesse di pochi e a danno di molti.

In tutto il mondo, più di duecentocinquanta milioni di persone sono costrette a vivere fuori dei loro paesi e questo rafforza più che mai i populisti di destra convinti che le élite politiche siano state incapaci di gestire un’immigrazione che a loro parere minaccia posti di lavoro, salari e tessuto sociale.

Nel frattempo, il numero di miliardari è quintuplicato nel giro di vent’anni (secondo Forbes ora sono 2.200) mentre la globalizzazione ha aperto nuovi mercati e permesso agli imprenditori di sottrarre capitali, risorse e redditi dal fisco. Le otto persone più ricche del mondo posseggono in totale la stessa quantità di denaro dei 3,5 miliardi di individui più poveri del pianeta. La somma conservata nei conti offshore dalle élite della finanza ammonta a undicimila miliardi di euro. Un numero con 13 zeri.
Ma ci sono anche molti fattori estranei all’economia che possono fornire una spiegazione parziale dell’affermazione del populismo: una rivolta culturale contro le élite, una rivoluzione tecnologica che ha modificato radicalmente la politica e una convergenza dei partiti di destra e sinistra (categorie ormai indistinguibili) verso un centro tecnocratico.

Quale sia la miscela precisa ad aver creato un terreno così fertile resta argomento di dibattito, ma come ha sottolineato Benjamin Moffitt nel suo The global rise of populism (L’ascesa globale del populismo), “il momento storico è estremamente fecondo per gli attori politici più astuti che possono parlare a nome del ‘popolo’ e ottenere grandi vantaggi politici”.

Sono democratici?
Per definizione, sì. I populisti operano all’interno del sistema democratico, anche se una volta conquistato il potere alcuni hanno l’abitudine di far saltare i cardini della democrazia liberale, come ha fatto Viktor Orbán in Ungheria. In generale si potrebbe sostenere che galvanizzando una grande base delusa di elettori trascurati e offrendogli una nuova rappresentanza, il populismo è la quintessenza della democrazia.

Dunque il populismo è un bene o un male?
Dipende dalla persona a cui viene rivolta questa domanda. Il populismo ha acquisito una fama negativa soprattutto in Europa, dove il populismo conflittuale di destra è in forte crescita. Le ricerche di una rete globale di accademici – Team Populism – hanno stabilito che privilegiando il potere della maggioranza, spesso i populisti ignorano le basi della democrazia liberale come i diritti delle minoranze e la separazione dei poteri. Ma al contempo, spiegano i ricercatori, i populisti al governo possono avere un effetto positivo, seppur modesto, sull’affluenza alle urne e sulle frange più trascurate della popolazione.

Alcuni teorici della sinistra, come il defunto filosofo argentino Ernesto Laclau e sua moglie Chantal Mouffe, dell’università di Westminster, hanno teorizzato il populismo come reale strategia politica che può – e deve – essere utilizzata per rivitalizzare la politica di sinistra.

Come parla un populista?
I populisti tendono a impiegare una retorica ricorrente per conquistare il pubblico. Secondo Kirk Hawkins, professore associato dell’università Brigham Young dello Utah, piuttosto che concentrarsi su una singola parola o su uno slogan, per individuare l’oratoria populista è necessario evidenziare un più ampio lessico retorico. “Ce ne accorgiamo quando un leader parla della gente comune ricoprendola di un’aura romantica”, spiega. Altri esempi sono i riferimenti alla “volontà del popolo” o l’utilizzo di aggettivi come “comune”, “lavoratore” e “contribuente” per definire le masse nobilitate. “L’altro elemento presente è il riferimento alle élite malvagie”, aggiunge Hawkins, “con particolare enfasi su concetti che ne mettono in dubbio la dignità come attori politici o addirittura come esseri umani”.

Alcuni esempi?

“È arrivato il momento di liberare il popolo francese da un’élite arrogante” – Marine Le Pen, leader del movimento di destra francese Rassemblement national.
“Il popolo vuole riprendere il controllo del suo paese, della sua vita e della sua famiglia” – Donald Trump, presidente degli Stati Uniti.
“L’élite europea ha fallito, e il simbolo di questo fallimento è la Commissione europea” – Viktor Orbán, primo ministro ungherese.
“La Brexit è la rivolta della gente comune contro l’establishment, e oggi sta accadendo la stessa cosa negli Stati Uniti” – Nigel Farage, ex leader dell’Ukip.

Quali sono gli altri messaggi?
Alcuni populisti fanno ricorso a epiteti per denigrare gli oppositori: “Hillary l’imbrogliona”, per esempio. “Usano verbi e aggettivi per insinuare che le azioni dell’oppositore non siano semplicemente il frutto dell’incompetenza, ma costituiscano un tradimento intenzionale”, sottolinea Hawkins. Non si tratta solo di quello che dicono, ma anche di come lo dicono. Alcuni accademici sostengono che il populismo sia imprescindibile dalla performance: è uno stile, uno spettacolo. I populisti carismatici hanno bisogno di folle, di un palco, della luce dei riflettori, di solito associati a discorsi “senza peli sulla lingua” comprensibili a tutti.

“I politici populisti stanno rivoluzionando il modo in cui si fa politica. La mettono in scena”, spiega Cláudia Álvares, docente dell’università di Libsona. “Non agiscono all’interno dei limiti di destra o di sinistra perché trascendono queste affiliazioni. Il loro è più che altro uno stile”.

Chi vota per i populisti?
Il sostegno per i partiti populisti è strettamente legato a un basso livello di soddisfazione personale, alla frustrazione nei confronti del funzionamento della democrazia e al pensiero complottista. Il biasimo è un tipico strumento populista. Al contempo, tutte le minoranze in genere tendono a rifiutare il populismo a causa della retorica, spiccatamente di destra, che identifica il “popolo” in termini nativisti, ovvero come il gruppo di persone che storicamente ha popolato un dato paese.

Il contrario di un populista
Dipende dal populista. Tecnicamente parlando, qualcuno sostiene che l’opposto del populismo sia il pluralismo o l’elitarismo. In ogni caso populismi diversi hanno avversari diversi: il forum di Davos, il gruppo Bilderberg, i cristianodemocratici, i socialdemocratici, i liberali, i tecnocrati, i centristi, i totalitarismi, le minoranze (e naturalmente i giornalisti).

Cosa possiamo aspettarci dal futuro?
Nel 2019 l’America Latina vivrà un momento cruciale, due tra i paesi più popolosi del continente come il Brasile e il Messico saranno governati da leader populisti (Jair Bolsonaro e Andrés Manuel López Obrador) che appartengono ad aree opposte dello spettro politico.

Pochi mesi dopo, nelle due maggiori democrazie dell’Asia, si svolgeranno le elezioni politiche. In India il populista di destra Narendra Modi dovrebbe ottenere la rielezione in primavera. In Indonesia, ad aprile, un populista sfiderà l’attuale presidente Joko Widodo.

Le elezioni europee di maggio saranno fondamentali per valutare l’avanzata populista nel continente. Finora i populisti di destra e di sinistra sono stati abbastanza emarginati, ottenendo pochi seggi sui 751 complessivi del parlamento europeo.

Nel 2019 sono in programma elezioni anche in Finlandia, Ucraina, Belgio e Danimarca, dove i partiti populisti sono pronti a dare battaglia.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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