13 maggio 2020 13:49

Da quando il presidente della repubblica francese Emmanuel Macron ha dichiarato “guerra” al covid-19, i francesi sono stati sottoposti a isolamento domiciliare e autorizzati a uscire solo in caso di necessità urgenti. Ora che il governo ha annunciato una graduale riapertura delle attività economiche e delle scuole a partire dall’inizio di maggio, nel paese regna la confusione.

Le Monde ha raccolto i dubbi e le ansie della popolazione. “Il mio vicino ha invitato alcune persone per una grigliata. Stanno ignorando completamente le regole sul confinamento. Cosa dovrei fare?”, si chiedeva un lettore. “Se non mando i miei figli a scuola rischio qualche sanzione?”, scriveva un altro. La risposta alla seconda domanda è no, e questo è un cambiamento radicale in un paese dove le scuole sono un pilastro delle istituzioni e un elemento fondamentale per la ripresa dell’economia.

Alcune settimane fa i governi europei hanno imposto una serie di rigide misure di isolamento, privando i cittadini di diverse libertà e costringendoli a restare in casa. In questi giorni le cose stanno lentamente cambiando, e le misure restrittive lasciano il posto a una riapertura graduale che in definitiva sposta la responsabilità sui singoli individui. I governi continueranno a emanare direttive sanitarie e a decidere come e dove riaprire le attività commerciali e le scuole, ma milioni di persone dovranno prendere milioni di decisioni piccole e grandi su come condurre la propria esistenza quotidiana, trovando un equilibrio tra l’accettazione del rischio, la serenità mentale e la necessità di un reddito. La scelta tra la salute e il sostentamento non è solo un tema politico ed economico, è anche un problema filosofico con conseguenze che si faranno sentire per anni.

“È una decisione morale difficilissima”, sottolinea Boris Cyrulnik, psicologo e neurologo francese. “La libertà porta alla morte, mentre le restrizioni della libertà portano alla rovina economica”. Cyrulnik, sopravvissuto alla seconda guerra mondiale come enfant caché – il nome dato alle migliaia di bambini ebrei allontanati dai genitori e nascosti nelle case di famiglie non ebree – è un esperto nel campo della resilienza psicologica. Analizzando l’attuale pandemia in un contesto più ampio, Cyrulnik osserva che l’uomo convive con le pandemie fin dal neolitico, ma che in occidente il covid-19 ha interrotto un periodo di pace e prosperità senza precedenti che durava dalla fine della seconda guerra mondiale.

Come affronteremo questa situazione? Quanto possiamo fidarci di noi stessi, dei nostri governi e dei nostri concittadini, ora che ricominciamo a uscire dalle nostre case? Il livello di fiducia nelle autorità varia già enormemente all’interno dell’Europa e sicuramente anche degli Stati Uniti. A peggiorare le cose c’è il fatto che stiamo raggiungendo una fase della crisi in cui l’imminente ritorno della libertà può produrre un aumento delle preoccupazioni, perché d’ora in avanti spetterà agli individui, e non solo allo stato, fare le scelte giuste. Alcune persone (e a volte credo di essere una di loro) hanno sviluppato una sorta di sindrome di Stoccolma, abituandosi alla sicurezza delle mura domestiche.

Ma la libertà ritrovata produce anche un’altra reazione ancora più pericolosa: per le persone che hanno paura di uscire di casa dopo un lungo isolamento gli estranei possono diventare una minaccia. Come posso essere sicura che gli altri resteranno a casa se sono malati? E se la persona vicino a me sull’autobus mi contagiasse? E se le superfici non fossero disinfettate adeguatamente? Come si fa a mantenere le giuste distanze nei grandi uffici?

Futuro incerto
A Parigi, la città in cui vivo, alcuni amici sono esasperati dal lavoro in casa e dalla necessità di fare da insegnanti ai figli, e non vedono l’ora che le scuole riaprano. Altri invece sono più prudenti e preferirebbero tenere i bambini in casa. Alcune persone con cui ho parlato non se la sentono di prendere un aereo quest’estate, mentre altre già pregustano la vacanza estiva nel Mediterraneo che avevano programmato prima che il mondo fosse stravolto. È difficile accettare la nuova normalità. Le nostre azioni rimodelleranno i rapporti sociali, e di sicuro saremo più inclini a esprimere giudizi affrettati quando avremo l’impressione che un amico o un conoscente si comporti in modo egoista invece di pensare al bene comune. Viviamo tutti in un grande esperimento scientifico, politico e sociale.

Alcune aree dell’Europa sono state più colpite di altre, e la risposta dei governi è stata piuttosto varia. In Francia, dove il covid-19 ha provocato la morte di 25.531 persone (dati aggiornati al 5 maggio 2020), le attività e le scuole (ma non le università) riapriranno l’11 maggio, sempre che il tasso di contagi non aumenti e rispettando comunque un numero massimo di alunni per ogni classe, una serie di misure per il distanziamento sociale e l’obbligo di indossare le mascherine sui mezzi di trasporto e all’interno delle scuole. Solo in una seconda fase il governo deciderà se riaprire o meno i bar e i ristoranti. In Italia, dove i morti causati dal virus sono stati più di 29.684 (dati aggiornati al 6 maggio 2020) e dove il blocco totale è stato imposto prima che in Francia, alcune attività commerciali hanno riaperto il 4 maggio. Gli italiani possono incontrare i propri familiari, ma gli assembramenti continueranno a essere vietati. I ristoranti e i parrucchieri dovrebbero restare chiusi fino a giugno, per poi essere sottoposti a una serie di misure per garantire il distanziamento fisico. Le scuole riapriranno solo in autunno, una decisione presa per proteggere gli anziani che spesso vivono a stretto contato con i nipoti (ma in un paese in cui la cura dei bambini è di frequente affidata ai nonni non è chiaro chi si occuperà di loro quando i genitori potranno tornare al lavoro).

Alunni di una scuola privata attendono il loro turno per entrare, Parigi, 12 maggio 2020. (Philippe Lopez, Afp)

Per quanto riguarda gli altri stati europei, l’Austria ha imposto rapidamente il blocco e ora sta permettendo a molte attività di riprendere, mentre gli studenti dovrebbero tornare a scuola a turni fin dal mese prossimo. La Danimarca ha già riaperto le scuole. La Svezia non ha mai imposto un blocco rigido, e questo ha ridotto i danni economici ma ha comportato un numero più elevato di vittime rispetto agli altri paesi scandinavi. In Germania le scuole sono ancora chiuse, ma alcune aziende hanno continuato a produrre durante tutto il periodo di isolamento, esercitando una forte pressione sulla concorrenza in paesi come l’Italia, dove le attività industriali non essenziali sono rimaste ferme per settimane. Gli europei non sanno cosa aspettarsi dal futuro. “La fase uno è stata quella del blocco. Tutti lo hanno accettato. Ora stiamo riaprendo, ma nessuno sa come e quando”, sottolinea Jana Puglierin, dello European council on foreign relations e residente a Berlino. “Quale dovrebbe essere la priorità? Il ritorno dei bambini a scuola e all’asilo? O la riapertura dei negozi?”.

Durante la pandemia del 1918 i governi non imposero alcun blocco, ma da quella crisi sanitaria è possibile trarre alcuni spunti. “Quando c’è una minaccia esterna, le persone tendono a unire le forze perché in un certo senso ridefiniscono l’idea che hanno di sé”, spiega Laura Spinney, autrice di 1918. L’influenza spagnola (Marsilio 2019). “Mantengono il comportamento egoista, ma hanno anche la tendenza a identificarsi come gruppo minacciato e a sentirsi uniti”. Tuttavia, sottolinea Spinney, “quando una minaccia comincia a indebolirsi, il sé collettivo torna a frammentarsi. È in quel momento che emerge un comportamento nocivo ed egoista in senso tradizionale, con la perdita del sentimento di unità creato dalla pandemia”.

Durante l’epidemia del 1918 gli abitanti degli Stati Uniti rispettarono inizialmente le direttive sanitarie, ma con il passare del tempo “si accorsero che i vaccini non funzionavano e i medici non avevano il controllo della situazione. Di conseguenza la fiducia svanì, insieme all’osservanza delle regole”, sottolinea Spinney. Il rispetto di misure che possono arginare il contagio “non è affatto garantito. I governi devono impegnarsi per far arrivare il loro messaggio e mantenere la fiducia della popolazione”. Anche in questa analisi torna il passaggio dalle regole imposte dal governo a un maggior senso di responsabilità individuale.

Conseguenze sui paesi vicini
L’Europa, un mosaico di paesi con tempi diversi per la riapertura, affronta problemi simili a quelli degli Stati Uniti. L’Unione europea, pur non essendo un’entità federale, è composta da 27 stati in cui i cittadini in teoria possono spostarsi liberamente attraversando i confini interni. Le decisioni di un governo hanno importanti conseguenze per i paesi vicini. Allo stesso modo le scelte di un singolo individuo influiscono sulla comunità. I leader europei possono tentare di imporre regole dall’alto, ma le decisioni saranno prese dai politici e dagli individui a livello nazionale e locale.

Prima o poi riacquisteremo la libertà di prendere importanti decisioni sulla nostra vita quotidiana, ma secondo Cyrulnik la pandemia ha evidenziato i limiti di questa libertà. “Conserviamo una certa autonomia e questo è sicuramente fondamentale, ma siamo anche limitati dall’ambiente in cui viviamo, molto più di quanto si pensi”. Nel prossimo futuro è probabile che saremo costretti a prendere “tantissime piccole decisioni: andare a scuola o no? Fare una vacanza o rinunciare?”. Le nostre scelte influenzeranno il ritmo del contagio e le politiche dei governi. Dovremo trovare un equilibrio tra la fiducia e la paura, un equilibrio che ci rimodellerà non solo come cittadini ma anche come amici, familiari e vicini di casa. ◆ Traduzione di Andrea Sparacino

In Italia
Sostegno psicologico

◆Dal 27 aprile 2020 il ministero della salute italiano e la protezione civile hanno istituito il numero verde 800 833 833 di supporto psicologico per il covid-19, attivo 24 ore al giorno. Sono previste modalità di accesso anche per i non udenti. Professionisti specializzati, psicologi, psicoterapeuti e psicanalisti risponderanno alle richieste di aiuto. Ci sono due livelli di intervento. Il primo è di ascolto, in un unico colloquio, per dare rassicurazioni e suggerimenti per attenuare lo stato d’ansia. Il secondo prevede colloqui di sostegno, ripetuti fino a quattro volte, al telefono oppure online.


Questo articolo è uscito sul numero 1357 di Internazionale. L’originale era stato pubblicato dall’Atlantic. Compra questo numero|Abbonati

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