02 novembre 2019 11:08

Sono stata a Bologna a marzo per far visita alla mia amica Francesca e così ho imparato a preparare i tortellini – o meglio ho cominciato a impararne l’arte. Abbiamo trascorso molto del nostro tempo nella sua cucina con i suoi genitori, lavorando a mano l’impasto per poi tagliare la sfoglia in piccoli quadrati da piegare in triangoli prima di chiuderli con la punta delle dita.

Il resto del tempo l’abbiamo dedicato alle passeggiate per la città conosciuta come la grassa (nel senso di opulenta) e la dotta, percorrendo i circa 38 chilometri di porticati fatti di mattoni rossi che costeggiano i palazzi. Abbiamo anche visitato l’università, considerata la più antica al mondo, a cui la città deve uno dei soprannomi e Francesca un buon posto di lavoro nella sua biblioteca.

Due torri medievali costituiscono il rassicurante asse centrale di Bologna, punti focali intorno ai quali ti muovi volgendo in alto gli occhi. Poi, appena comincia a girarti la testa, le vetrine dei negozi ti riportano a terra. Queste pullulano dei prodotti che hanno dato alla città l’altro suo soprannome: mortadelle a forma di cannone e salami rosa affettati per mostrare il loro colore, insieme a enormi montagne di scaglie di parmigiano. Le altre vetrine contengono le cose che sono venuta a cercare: vassoi di legno pieni di centinaia di tortellini stesi a mano grandi come ceci. C’era anche la preparazione dei tortellini dal vivo, al di là della vetrina del bancone, che Francesca però ha ignorato.

I miei occhi sono stati rapiti dai dolci, soprattutto dalla torta certosino, ricca e fortemente speziata, ricoperta di uno strato lucente di frutta candita tagliata a fette. Bologna è famosa anche per la pinza ripiena di marmellata e la torta di riso. Descritta come un dolce a base di budino di riso con uno sprint in più e arricchita di canditi, questa torta tipica di Bologna è anche conosciuta come torta degli addobbi: tradizionalmente la preparavano durante l’antica festa degli addobbi, quando si decoravano le finestre con drappi colorati in occasione della festa del Corpus Domini.

Nel tempo è diventata una torta per i giorni di festa, per Natale, Pasqua e i pranzi della domenica, ma nella sua forma più semplice è anche un dolce adatto a tutti i giorni. Secondo la ricetta tradizionale la teglia viene imburrata e spolverata di pane grattugiato, ma si può usare anche la carta forno. Sull’aggiunta dei canditi i pareri sono discordanti: se non vi piacciono potete non metterli. Anche il liquore può essere considerato un optional, ma se decidete di adoperarlo dovreste – come si dice a Bologna – spruzzarlo abbondantemente. Versatene un bicchiere sulla torta ancora calda per farlo assorbire a puntino e renderne l’aspetto ancora più ricco.

Torta di riso
Le ricette riportano dosi diverse, soprattutto rispetto alla quantità di zucchero: mi sono capitate per le mani ricette con dosi che vanno dai cento ai 400 grammi. Così anche per il riso, le dosi consigliate variano dai cento grammi fino ai 300. Per quanto riguarda il latte le dosi variano meno, in quasi tutte le ricette viene specificato di usarne un litro. Dopo aver fatto una ricerca ho scoperto che 180 grammi di riso Arborio sono la quantità ideale. Lasciate freddare la torta prima di toglierla dalla teglia: appena tirata fuori dal forno è troppo soffice, troppo simile a un budino; dopo qualche ora si sarà fatta più soda e se aspetterete una notte meglio ancora, lo sarà ancora di più. Secondo la ricetta tradizionale la torta viene bagnata con il liquore – amaretto o maraschino – appena tirata fuori dal forno e poi tagliata a rombi, il che dà alle porzioni un aspetto ancor più simile a quello di un gioiello.

Mi ricorda molto un ricco pudding di riso (ovviamente, sono inglese), anche se devo ammettere che il paragone è alquanto limitato se consideriamo che in tutto il mondo se ne preparano versioni che variano l’una dall’altra per punto di dolcezza e densità. Quello che li accomuna è che prendono forma una volta lasciati riposare, facendosi più sodi e più buoni con il tempo. Rifacendomi di nuovo alle mie radici, mi piace molto la crosticina dorata scura della torta di riso, i bordi che si fanno croccanti e il fatto che servita il giorno dopo sia ancora migliore.

Preparazione: 10 minuti
Tempo di riposo: 3 ore o più
Dosi per 12 fette

  • Un litro di latte intero
  • 180 g di riso Arborio
  • 200 g di zucchero semolato
  • Scorza di limone non trattato
  • 100 g di mandorle tritate
  • 4 uova
  • 50 grammi di biscotti tipo amaretto sbriciolati
  • 50 grammi di canditi (opzionali)
  • Burro per rivestire la teglia
  • Farina o pane grattugiato per rivestire la teglia
  • 100 ml di maraschino o liquore di amaretto (se volete)
  1. Versate il latte e il riso in un tegamino su un fornello a fiamma medio-bassa. Portate il latte quasi fino a ebollizione, poi abbassate la fiamma e lasciate cuocere a fuoco basso, mescolando di tanto in tanto, finché il riso non avrà assorbito il latte – ci vorranno all’incirca 25 minuti.
  2. Togliete il riso dalla fiamma, aggiungete mescolando lo zucchero e la scorza di limone, poi lasciate riposare per un’ora.
  3. Unite poi le mandorle, le uova, gli amaretti e i canditi (se deciderete di usarli) alla crema di riso.
  4. Imburrate e rivestite con farina o pane grattugiato una teglia del diametro di 25 cm, o se preferite utilizzate la carta da forno. Versate l’impasto nella teglia e fate cuocere a 160 gradi (150 se ventilato) per 40 minuti, o finché la torta non avrà assunto un aspetto solido e la parte superiore non si sarà dorata. Ora versate il liquore, se avete deciso di usarlo, e lasciate riposare per almeno 2 ore prima di rovesciare la teglia per estrarre il dolce. Servitelo tagliato in rombi oppure a fette.

(Traduzione di Mariachiara Benini)

Questo articolo è uscito sul quotidiano britannico The Guardian.

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