15 agosto 2022 09:32

Esattamente un anno fa Masuda Samar, 43 anni, funzionaria di un ministero afgano, è entrata per l’ultima volta nel suo ufficio. Il 15 agosto 2021, quando ha saputo che l’allora presidente afgano era fuggito dal paese, spianando la strada alla conquista di Kabul dei taliban, era uscita in anticipo e si era precipitata a casa per stare con la sua famiglia.

Dopo qualche giorno è tornata in ufficio, dove aveva trascorso gli ultimi 17 anni della sua vita: Samar – che ha chiesto di usare un nome di fantasia per evitare di essere perseguitata dai taliban – si è sentita dire che non era più la benvenuta.

Da quando sono tornati al potere, i taliban hanno imposto molte limitazioni alle libertà delle donne. Il nuovo regime non ha direttamente licenziato le impiegate statali come Samar, ma ha limitato l’accesso delle donne ai luoghi di lavoro, oppure paga loro uno stipendio notevolmente ridotto per indurle a rimanere a casa, hanno riferito ad Al Jazeera molte lavoratrici afgane.

“Siamo tornate spesso nell’ultimo anno per riprenderci il nostro lavoro. Abbiamo aspettato davanti al cancello del ministero per giorni interi nella speranza di parlare con il nuovo ministro per convincerlo a cambiare la sua decisione, ma le guardie taliban ci hanno mandato via”, ha raccontato Samar ad Al Jazeera.

Ho lavorato duramente per salire di grado e ottenere questo lavoro, perché dovrei cederlo a mio marito o a mio fratello?

Samar ha continuato a ritirare regolarmente il suo magro stipendio per far fronte alle pressioni finanziarie che pesano sulla sua famiglia. Ma si sente umiliata. “Ogni volta che vado in banca mi asciugo le lacrime. Mi sento profondamente insultata nel prendere quella somma. Non ho neanche più il diritto di lavorare e guadagnare, mi sento come una mendicante”.

“Poi, il mese scorso, ho ricevuto una telefonata dall’ufficio risorse umane che mi ha chiesto di presentargli un mio familiare maschio che prenderà il mio posto. Il responsabile del personale ha detto che il carico di lavoro era aumentato a causa della mancanza di lavoratrici e quindi vogliono assumere degli uomini per sostituirci”, ha raccontato Samar.

“Ho studiato per ottenere questo ruolo. Ho lavorato duramente per salire di grado e raggiungere questa posizione nonostante le difficoltà. Perché dovrei cedere il mio posto di lavoro a mio marito o a mio fratello?”, continua Samar con la voce carica di frustrazione.

Anche nel settore privato molte organizzazioni hanno ridotto il numero delle lavoratrici per motivi finanziari, a causa della coercizione dei taliban, o come misura precauzionale per evitare di provocare il gruppo islamico. Uno studio del 2022 dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) ha documentato un calo anomalo dell’occupazione femminile in Afghanistan, pari al 16 per cento, nei mesi immediatamente successivi alla presa di potere dei taliban. L’occupazione maschile, invece, è calata del 6 per cento. “Se le restrizioni s’intensificheranno e le donne si sentiranno sempre più insicure nel presentarsi sul posto di lavoro, la perdita di forza lavoro femminile potrebbe raggiungere il 28 per cento”, avverte il rapporto dell’Oil.

Prima della presa del potere da parte dei taliban, le donne rappresentavano il 22 per cento della forza lavoro afgana. Anche se si trattava di una cifra minima, rifletteva comunque anni di progressi sociali in una società profondamente patriarcale e conservatrice come quella afgana. “La partecipazione femminile alla forza lavoro in Afghanistan è aumentata di molto negli ultimi decenni, in alcuni casi era anche maggiore rispetto ai nostri vicini della regione”, ha dichiarato l’economista afgana Saeda Najafizada.

L’assenza delle donne nei luoghi di lavoro rende disfunzionale l’intera economia dell’Afghanistan

Le lavoratrici in Afghanistan rischiano anche di rimanere disoccupate a causa della crisi economica in atto nel paese, delle restrizioni alla libertà di movimento imposte dai taliban alle donne, e dal patriarcato dominante nella società. “Le donne hanno meno potere decisionale in Afghanistan. E le poche decisioni che possono prendere, in molti casi, sono fortemente influenzate dalle norme sociali che le spingono ad accettare anche delle situazioni indesiderate”, ha detto Najafizada.

Un’economia sofferente
L’effetto di tutto questo è devastante per l’economia: un numero sempre maggiore di persone possiede poche risorse, o nessuna risorsa, per soddisfare i propri bisogni primari. Quindi il numero di cittadini che vive sotto la soglia di povertà è in continuo aumento. “L’assenza delle donne nei luoghi di lavoro in Afghanistan non solo influisce sul loro nucleo familiare, ma rende disfunzionale un’intera economia”, spiega Najafizada.

L’economia afgana ha sofferto gravemente a causa delle sanzioni occidentali contro i taliban, ma le aziende a maggiore partecipazione femminile sono state tra le più colpite, a causa delle ulteriori restrizioni imposte alle donne. Una recente indagine della Banca mondiale ha rilevato che il 42 per cento delle imprese di proprietà femminile in Afghanistan ha chiuso temporaneamente, rispetto al 26 per cento delle imprese di proprietà maschile.

Inoltre circa l’83 per cento delle donne d’affari ha dichiarato di aspettarsi una perdita delle entrate nei prossimi sei mesi che le costringerà a ridimensionare la forza lavoro, composta in gran parte da donne. “Un quarto delle imprese a conduzione femminile ha indicato che l’insicurezza e le limitazioni alle attività economiche e commerciali delle donne sono le loro maggiori preoccupazioni”, si legge nel rapporto.

Insostituibili
L’assenza delle donne nella forza lavoro è avvertita anche dai colleghi maschi. “Le lavoratrici del nostro dipartimento erano molto professionali e fornivano servizi tecnici alle nostre clienti”, ha dichiarato Ghafoor, supervisore di un’agenzia di Kabul, che non ha voluto rivelare il suo nome o la sua professione per timore di rappresaglie da parte dei taliban. “Nessuno si è mai lamentato di loro. Fornivano servizi fondamentali che ora, senza di loro, non siamo in grado di compensare”.

Ghafoor sostiene che a nessuna delle donne del suo dipartimento è stato permesso di tornare a lavoro dopo la presa di potere dei taliban nel 2021. Per questo è aumentato il carico di lavoro per il personale maschile e la produzione dell’azienda si è ridotta. “A volte lavoriamo tra le dodici e le 14 ore per portare a termine il lavoro, ma non riusciamo comunque a raggiungere i nostri obiettivi. Questo ha influito sulla produttività complessiva”, ha ammesso Ghafoor.

Tuttavia donne come Samar, che avevano un impiego statale, stanno resistendo ai tentativi di sostituzione. Le lavoratrice si sono mobilitate e stanno cercando di negoziare per riavere i loro uffici. “Stiamo facendo pressione sugli attuali dirigenti. Anche se l’impiegato delle risorse umane mi ha detto che se non faccio il nome di un parente maschio al più presto, assumeranno qualcun altro e io sarò automaticamente licenziata”, ha detto Samar.

La donna si sente umiliata all’idea di offrire il ruolo per cui si è preparata per anni a un parente maschio non qualificato e senza esperienza. Samar dice che la situazione è anche peggiore per le donne che non hanno un tutore maschio prossimo. “Una mia collega è vedova e i suoi figli sono in Iran. Chi dovrebbe raccomandare per sostituirla a lavoro?”.

Inoltre lo stipendio mensile di Samar integrava il reddito del marito e contribuiva a pagare le spese familiari e l’istruzione della figlia. “Non ho pagato la sua retta scolastica negli ultimi due mesi. Non posso nemmeno permettermi di comprarle libri e quaderni”, ammette Samar. Oggi teme che la figlia, che frequentava la prima media, non potrà studiare l’anno prossimo a causa del divieto imposto dai taliban che proibisce alle ragazze di perseguire l’istruzione superiore.

“Nel paese in cui ho costruito la mia vita e la mia carriera mia figlia non ha un futuro. Mi sento come se fossimo stati sepolti in un buco nero. Respiro ma non sono viva”.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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