La morte di Daunte Wright, un afroamericano di vent’anni ucciso dalla polizia a Brooklyn Center, un sobborgo alla periferia di Minneapolis, apre una finestra sul futuro della lotta per i diritti civili negli Stati Uniti. Non è un caso che il movimento Black lives matter sia nato nel 2014 dopo un episodio simile a Ferguson, alla periferia di St. Louis, in Missouri. Sia Brooklyn Center sia Ferguson sono piccoli centri urbani dove negli ultimi anni è aumentata la povertà ed è cresciuta la segregazione sia economica sia razziale. Entrambi presentano i fattori ideali per causare disuguaglianza, discriminazione e conflitti tra i cittadini e le istituzioni locali, come l’amministrazione comunale e la polizia.

Nelle aree metropolitane degli Stati Uniti si trovano centinaia di sobborghi con problemi analoghi. La loro “fergusonizzazione” minaccia il benessere delle comunità locali e danneggia il tessuto sociale statunitense.

In un certo senso, nei sobborghi la segregazione è ancora più dannosa di quella nelle grandi città, che di solito possono contare su maggiori entrate fiscali che consentono alle amministrazioni di superare meglio le crisi e garantire i servizi pubblici. In media, nei sobborghi prevalentemente non bianchi le entrate fiscali sono minori che nel resto del paese: circa il 25 per cento in meno rispetto alle grandi città e il 40 per cento in meno rispetto ai sobborghi prevalentemente bianchi. Nei sobborghi dove la segregazione è più accentuata la qualità dei servizi pubblici peggiora nel corso del tempo. Alcune amministrazioni, tra cui quella di Ferguson, cercano di riempire le casse comunali con più multe e sanzioni, e questo inevitabilmente fa aumentare la tensione tra i residenti e le forze dell’ordine.

I dati dell’ufficio del censimento statunitense indicano che Brooklyn Center è la comunità del Minnesota dove il processo di segregazione è stato più rapido. Nel 1990 il 90 per cento degli abitanti era bianco e il livello di povertà era molto basso, il 5 per cento. Trent’anni dopo i bianchi sono appena il 38 per cento e il tasso di povertà è triplicato, raggiungendo il 15 per cento. Oggi Brooklyn Center è il sobborgo più povero nella regione delle Twin Cities (che comprende le aree metropolitane di Minnesota e St.Paul) e la percentuale di residenti che appartengono alle minoranze è superiore rispetto a quella di tutti gli altri grandi comuni della zona. A Ferguson i cambiamenti sono stati pressoché identici negli anni precedenti all’omicidio di Michael Brown, ucciso da un agente di polizia: nel 1980 la percentuale di residenti bianchi era dell’85 per cento, nel 2010 era diminuita al 29 per cento. Nello stesso arco di tempo il tasso di povertà è quasi quadruplicato.

Aree penalizzate
I sociologi definiscono questo fenomeno “risegregazione”: comunità inizialmente dominate dai bianchi attraversano un breve periodo di integrazione razziale per poi diventare rapidamente centri abitati soprattutto dalle minoranze. Questi cambiamenti demografici sono il prodotto della discriminazione nell’accesso agli alloggi (soprattutto per i neri e gli ispanici), della segregazione scolastica e della “fuga” dei bianchi. Fenomeni piuttosto comuni nelle regioni metropolitane degli Stati Uniti, che hanno isolato milioni di famiglie nere e ispaniche in aree economicamente penalizzate.

Come tanti altri comuni in via di “risegregazione”, anche Brooklyn Center un tempo offriva grandi opportunità, permettendo una convivenza pacifica tra la classe media e quella operaia. Comunità di questo tipo hanno sempre attirato le famiglie nere di successo in cerca di scuole migliori per i loro figli e in fuga dalla discriminazione e dalla povertà nei quartieri ad alta segregazione delle grandi città. Tra gli afroamericani la migrazione verso i comuni periferici è particolarmente intensa: dal 2000 a oggi la popolazione urbana nera nelle grandi città è diminuita del 5 per cento, mentre quella dei sobborghi è aumentata di oltre il 40 per cento.

Nelle nuove periferie benestanti, dove le ville a schiera si alternano a strade senza uscita, scarseggiano gli alloggi accessibili per le famiglie nere meno ricche. I sobborghi più vecchi e vicini alle città, invece, offrono alloggi più modesti (tra cui diverse case costruite nel dopoguerra), maggiori opportunità di affitto e strutture più economiche ad alta densità abitativa. Le famiglie che lasciano il centro delle aree metropolitane tendono a riversarsi in queste comunità più accessibili, e lo stesso fanno gli immigrati (Brooklyn Center ha la più elevata percentuale di residenti nati all’estero nella zona delle Twin Cities). Ma esistono anche altri fattori, ben più pericolosi, che spingono le famiglie non bianche verso i sobborghi più vicini al centro delle città, come la pratica discriminatoria chiamata “steering” razziale, cioè la tendenza degli agenti immobiliari a mostrare alle famiglie delle minoranze solo le case in quartieri con una popolazione già varia dal punto di vista della composizione razziale. Questi fenomeni fanno sì che l’aspetto demografico di molti vecchi sobborghi stia cambiando a un ritmo sostenuto.

Nel 2012 il 78 per cento degli studenti di Ferguson proveniva da famiglie a basso reddito

In questi contesti, i cambiamenti sono ancora più rapidi nelle scuole, perché le famiglie nere e ispaniche tendono ad avere più figli rispetto a quelle bianche. Nel 1990 la percentuale di studenti bianchi nel distretto scolastico di Brooklyn Center era del 77 per cento, mentre oggi non arriva al 20 per cento. A Ferguson la percentuale di bianchi tra gli alunni è passata dal 58 al 17 per cento nei vent’anni che hanno preceduto la morte di Michael Brown. Nel 2012 il 78 per cento degli studenti di Ferguson proveniva da famiglie a basso reddito, condizione in cui si trova oggi il 73 per cento degli studenti di Brooklyn Center. I cambiamenti nelle scuole hanno un grande impatto sulla demografia, perché spesso i residenti più ricchi tendono a spostarsi se ritengono che la percentuale di studenti poveri e appartenenti alle minoranze sia troppo alta.

Durante la fase d’integrazione razziale i sobborghi restano solitamente comunità prospere e vivaci, ma alla fine raggiungono un punto critico, dopo il quale cominciano a farsi sentire gli effetti corrosivi dell’isolamento e della segregazione. Quando si verifica questo fenomeno, i residenti della classe media – soprattutto bianchi, ma non solo – cominciano a spostarsi in massa. Dal 2000 Brooklyn Center ha perso il 42 per cento della sua popolazione bianca. A Ferguson la percentuale è stata del 49 per cento. Adattando i dati all’inflazione, il reddito mediano di Brooklyn Center si è ridotto di circa novemila dollari dal 2000, a Ferguson di quasi 15mila dollari.

I sobborghi penalizzati da queste dinamiche replicano le condizioni che esistevano nel novecento nelle zone urbane di segregazione razziale. Come succedeva lì, alcuni aspetti del rapporto tra i residenti e le istituzioni con cui interagiscono (polizia, rappresentanti eletti, sistema scolastico, locatori, datori di lavoro) hanno una natura coloniale. All’epoca dell’omicidio di Brown, il sindaco di Ferguson era bianco, così come la quasi totalità del consiglio comunale. Spesso il personale delle forze dell’ordine che operano nei sobborghi “risegregati” comprende un gran numero di agenti che vivono altrove, e che sono in grande maggioranza bianchi. Dove la segregazione razziale è più presente, anche gli accordi economici privati possono avere una natura predatoria.

Piaga nazionale
Prima della crisi finanziaria del 2008, Brooklyn Center era il più grande centro suburbano in rapporto ai prestiti subprime nell’area delle Twin Cities. I residenti dei sobborghi “risegregati” si trovano ad affrontare gli stessi problemi da cui avevano cercato di fuggire lasciando le grandi città: scuole in difficoltà, disoccupazione, povertà e abusi della polizia.

Questa dinamica è una piaga nazionale che riguarda tante comunità, spesso senza che i leader e i residenti ne siano consapevoli. I dati del censimento indicano che nel 2010 più del 20 per cento della popolazione urbana delle grandi metropoli degli Stati Uniti viveva in sobborghi prevalentemente non bianchi simili a Brooklyn Center e Ferguson. Da allora la percentuale è cresciuta costantemente ogni anno. Poiché le forze che provocano la “risegregazione” dei sobborghi sono estremamente potenti, le amministrazioni locali non riescono da sole ad affrontare il problema. Ma le soluzioni esistono.

La “risegregazione” può essere rallentata garantendo la disponibilità di alloggi accessibili in tute le comunità e non solo nei sobborghi più vecchi. Se le scuole sono stabilmente integrate e ricevono il supporto necessario, inoltre, si ridurrà il numero di famiglie che vogliono lasciare il loro quartiere in cerca di un’istruzione migliore per i figli. Gli aiuti economici, infine, possono essere indirizzati verso le comunità tornate alla segregazione, arrestando il declino dei servizi e delle scuole.

Misure di questo tipo andrebbero attuate su scala regionale, cioè con politiche che includano varie aree metropolitane, possibilmente dal governo statale o federale. Idealmente bisognerebbe creare strutture di governo che possano amministrare le politiche regionali, ma questo in sé non è sufficiente. La regione che comprende Minneapolis e St. Paul può contare su un governo più solido rispetto alla maggior parte delle aree metropolitane, ma si è palesemente sottratta al suo ruolo nel prevenire i fenomeni di nuova segregazione. In ogni caso gli amministratori dei sobborghi costretti ad agire da soli sono ancora più penalizzati, perché devono competere con le città vicine quando dovrebbero invece concentrarsi sulla difesa dei diritti civili e la costruzione di un futuro per i loro residenti.

Queste comunità abbandonate, tutte le Ferguson e tutti i Brooklyn Center del paese, non svaniscono nel nulla. Ci sono ancora persone che ci abitano. La loro sofferenza è reale, e le ingiustizie che subiscono fanno esplodere crisi, violenze e proteste che travolgono l’intera nazione.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questo articolo è uscito su The Atlantic.

Da sapere
Protesta nazionale
  • Il 20 aprile 2021 Derek Chauvin, il poliziotto accusato di aver ucciso George Floyd il 25 maggio 2020 a Minneapolis, è stato condannato per tutti i capi d’imputazione. La pena nei confronti di Chauvin sarà annunciata entro le prossime sei settimane. L’ex poliziotto rischia fino a quarant’anni di carcere.
  • L’11 aprile un altro nero disarmato, Daunte Wright, è stato ucciso dalla polizia di Minneapolis. Secondo le ricostruzioni della polizia Kim Potter, l’agente che ha sparato, avrebbe estratto la pistola invece del taser. Centinaia di persone sono scese in piazza per giorni, e si sono scontrate con la polizia in assetto antisommossa. In vista del verdetto le misure di sicurezza sono state rafforzate.
  • Negli stessi giorni è stato reso pubblico un video in cui si vede un agente sparare e uccidere a Chicago, il 29 marzo, Adam Toledo, 13 anni: nuove proteste contro la violenza della polizia sono immediatamente scoppiate in molte città. Secondo le ricostruzioni, l’agente ha sparato quando Toledo aveva le mani in alto.

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