24 novembre 2005 00:00

Lasciando la 36esima strada per scendere nella penombra del Keen’s chop house, si entra in una Manhattan diversa. Si torna indietro di cent’anni, in un momento della storia conservato come una capsula del tempo. Il legno scuro, le tovaglie di lino e le posate d’argento si accordano con la raffinata semplicità del menu.

Qui non ci sono le creazioni esibizionistiche di un cuoco celebrità. Ma c’è la costoletta di montone. Nei menù di oggi non si trova più, perché ha assunto connotazioni negative come il lardo, la trippa o il pollo bollito. Roba che mangiavano i nostri bisnonni perché, poveretti, non avevano alternative. Il montone è un agnello dopo il suo primo compleanno: per qualche motivo c’è un marchio d’infamia nel mangiare una pecora vecchia, mentre una mucca vecchia va bene.

Accanto al nostro tavolo c’è una vasca per le aragoste. Si arrampicano una sull’altra, come se stessero per azzardare una fuga spettacolare. Un cameriere afferra con una pinza uno dei mostri azzurri. Un’amica che è a tavola con me li adora. Non da mangiare, ma per la loro raffinatezza poco nota. Mi racconta che, quando camminano sul fondale marino, le coppie di aragoste congiungono le pinze, come due amanti che si danno la mano. Quando s’incontrano, passano una chela sui loro dorsi ruvidi per scoprire le reciproche età e la loro provenienza. Sono monogame e vivono oltre cinquant’anni. “Mi sento a disagio a mangiare qualcosa di più vecchio di me”, mi dice, e io stasera non ho voglia di aragosta.

Ma la mia compassione è ipocrita. Lavorando in cucina ho trucidato migliaia di crostacei. Brutalmente. I granchi hanno il presentimento della morte. Ne hai cinque rovesciati sulla schiena, ancora storditi dal frigorifero. Tra le gambe hanno un lembo increspato per proteggere i genitali. Piccolo per i maschi, grande per le femmine. Strappalo. Ora hanno capito. Si dimenano per la paura. La mannaia li spacca in due. Un colpo preciso. Separa la corazza. Tira via le zampe. Pulisci le branchie. Getta tutto nel wok. Compassione? Che hai detto? Non era per il tavolo dieci?

Estendo la mia ipocrisia carnivora e comincio ad affettare la costoletta di montone. La carne è ricca, c’è una crudezza regale nelle ombre vellutate di questo ambiente arcaico ed elegante.

Internazionale, numero 618, 24 novembre 2005

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