17 novembre 2015 17:49

Elaborare l’incubo degli attacchi a Parigi è già abbastanza impegnativo per gli adulti. Lo so perché sabato ho continuato a guardare quasi di sfuggita il blog del Guardian, aggiornato in tempo reale, nel disperato tentativo di sfuggire alle immagini della carneficina. Era possibile leggere qualcosa al riguardo, un po’ più difficile ascoltare qualcosa, ma guardare le immagini andava oltre le mie possibilità. E allora, che si fa con i bambini?

L’approccio più inutile è quello adottato dai notiziari della Bbc tipo Newsround. Si vedono due donne giovani, con un’aria da maestrine, che ripetono la parola “triste” un sacco di volte, senza dare nessuna spiegazione ragionevole del perché si debba essere “tristi”, indipendentemente dall’età dei possibili telespettatori, a parte dire che sono morte “più di cento persone” a Parigi, che è “una città come Londra”.

Se un bambino di nove anni dice di non aver sentito parlare di Parigi, be’, possiamo lasciarlo tranquillo

Negli Stati Uniti, dove chi va a scuola ripassa mentalmente, quasi automaticamente, cosa fare nel caso spuntasse uno psicopatico con un mitra in mano, è stata fatta qualche riflessione seria e intelligente su come dare l’opportunità ai figli di parlare di ciò che hanno visto al telegiornale o sui social network. La regola di fondo sembra quella di farsi dire che cosa sanno e come lo stanno affrontando. Spaventati? A disagio? Pensano che possa capitare anche a loro? E a che punto situare i loro sentimenti in una scala tra ciò che è interessante e i brutti sogni?

Fermarsi ad ascoltare

Ovviamente dipende da che età hanno, ma credo che se un bambino di nove anni dice di non aver sentito parlare di Parigi, be’, possiamo lasciarlo tranquillo. D’altro canto, provare a intavolare una conversazione esordendo con un promettente “Com’è andata oggi?” magari non serve a fargli dire tutto ciò che pensa veramente. Per la mia esperienza, il momento prima di spegnere la luce per metterli a letto è proprio quello in cui possono dire qualcosa di folgorante, mettendo alla prova la vostra tranquillità mentale e la loro.

A quel punto dovete fermarvi ad ascoltare. Cercate di farvi spiegare ciò che sanno, e perché gli fa paura. Dite apertamente che è comprensibile essere spaventati e terrorizzati. Solamente dopo che, con il vostro aiuto e incoraggiamento, saranno riusciti a verbalizzare le loro angosce, potrete riprendere il messaggio che morivate dalla voglia di appioppargli fin dall’inizio, cioè quello sulle probabilità e i rischi. Dopotutto, è assai più probabile essere vittime di un incidente d’auto che di un attacco terroristico.

Accogliamo la paura: dobbiamo conviverci tutti

Perfino l’orrore insensato di una sparatoria in una scuola ha a che fare con la compassione e l’empatia. In un certo senso, può essere più semplice parlare di Parigi – con tutte le questioni relative al terrorismo, alla religione e al massacro di persone non molto più vecchie di loro – ma anche più difficile. Più semplice, perché c’è una spiegazione, più difficile perché è complessa.

Il quotidiano francese Libération ha una pagina ben fatta, P’tit Libé (Il piccolo Libé), che spiega le cose in maniera semplice ma non semplicistica.

Non dice nulla di triste, ma ricorre alla parola serio, ben più adatta. Spiega che ci sono dei violenti, pieni d’odio, i quali vogliono costringere tutti a vedere il mondo dal loro punto di vista, e per farlo scelgono l’arma della paura. Ecco una riformulazione molto approssimativa di quello che c’è scritto dopo:

Lo Stato islamico è un gruppo di persone di questo tipo. Dice di aver colpito Parigi per vendicarsi del fatto che la Francia ha partecipato ai bombardamenti sul gruppo Stato islamico in Iraq e Siria. Tutti ne parlano perché sono sconvolti. È normale. Il governo francese vuole proteggere l’incolumità delle persone, perciò ha invitato tutti a rimanere a casa per qualche giorno, senza andare a scuola o in biblioteca. Qualcuno dirà che tutti i musulmani sono cattivi, ma chiaramente questo non è vero. Ognuno di noi vuole ricordare le persone che sono morte, per questo si può fare un minuto di silenzio e magari accendere un lumino in loro memoria.

Però (faccio presente che questo viene detto alla fine, dopo aver indicato molte opportunità per assimilare le cose che stanno succedendo) “attacchi del genere sono molto rari. I terroristi vogliono spaventare la gente costringendola a cambiare il modo di vivere e il modo migliore di combatterli è comportarsi normalmente. E anche aver paura è normale”.

Quindi accogliamo la paura: dobbiamo conviverci tutti. Ma incoraggiate i vostri figli a sviluppare un senso delle proporzioni, a riflettere sulla natura del rischio. Inoltre, è più importante che li incoraggiate a riflettere su ciò che viene rivendicato, su come esprimere il loro disaccordo, e su cosa pensano di poter fare per aiutare a risolvere i problemi una volta che li hanno compresi – e su cosa potrebbe fare il governo. La risposta può essere bombardare? La violenza è la risposta?

E poi passate alle coccole, all’orsetto di pezza e ai dvd di Paddington.

(Traduzione di Alessandro de Lachenal)

Questo articolo è uscito su The Guardian. Clicca qui per leggere l’originale.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it