21 maggio 2014 07:00

L’argomento sarà sicuramente venuto a noia a tutti quelli che hanno seguito da vicino la campagna elettorale. Giorno dopo giorno, i capofila delle cinque correnti principali della politica paneuropea – i socialisti, i conservatori, i verdi, i liberali e la sinistra radicale – hanno continuato a ripetere che il prossimo presidente della Commissione europea dovrà essere scelto dalla maggioranza parlamentare emersa dalle elezioni di domenica prossima. Se così non fosse, dicono, sarebbe una violazione della democrazia.

In questo momento tutti i candidati dei grandi partiti vogliono costringere il consiglio europeo, l’assemblea dei 28 capi di stato e di governo, a rispettare (come prevede il trattato di Lisbona) la volontà degli europei espressa attraverso il suffragio universale. Se questo principio fosse violato, le elezioni europee non avrebbero più alcun senso, gli abitanti del vecchio continente penserebbero di non avere la minima influenza sul processo decisionale dell’Ue e il divorzio tra gli europei e l’Europa diventerebbe irreversibile.

In teoria i partiti paneuropei hanno il potere di imporre la loro volontà, perché nonostante spetti al consiglio proporre il nome del presidente della commissione, il candidato deve ricevere l’investitura del parlamento europeo. Dopo le elezioni europee l’Unione avrà dunque la possibilità di operare una svolta nelle sue istituzioni. La commissione, a cui i trattati concedono il potere di proporre leggi e politiche europee, sarebbe eletta a suffragio universale indiretto esattamente come il primo ministro di un regime parlamentare. La posta in gioco, insomma, è enorme. Ma c’è un problema.

Secondo i sondaggi, infatti, nessun partito o coalizione riuscirà a ottenere la maggioranza assoluta. Spaventati dalla minaccia rappresentata dall’affermazione di un potere paneuropeo all’interno dell’Ue, i leader dei 28 stati europei potrebbero provare a mantenere lo statu quo proponendo un candidato che sarebbe vincolato al rispetto delle loro decisioni, come accade oggi.

Per evitare questo scenario nefasto i deputati che saranno eletti domenica prossima dovranno accordarsi sul nome di un candidato, rifiutandosi di appoggiare qualsiasi altro pretendente. Se il nuovo parlamento dovesse davvero scontrarsi con la volontà del consiglio assisteremmo alla crisi tanto temuta da Jaques Delors, ma questo conflitto permetterebbe al parlamento europeo di affermare il proprio diritto a rappresentare l’elettorato dell’Unione.

Comunque vada a finire, uno scontro tra le istituzioni europee farebbe capire a tutti che in Europa ci sono due camere, il consiglio che rappresenta gli stati membri e il parlamento europeo che incarna l’Europa unita. Ormai è evidente che per il bene dell’Europa è necessario riequilibrare i poteri comunitari e dare più peso alla volontà dei cittadini europei, indispensabile per la sopravvivenza dell’Unione. Se i 28 stati membri continueranno a non capirlo, forse è davvero il caso che il futuro parlamento scateni questa crisi salutare.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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