28 ottobre 2014 08:55

Ora cominciano i problemi. Domenica la grande coalizione dei laici tunisini (Nidaa Tounes) ha superato nettamente gli islamisti di Ennahda. Ma, non avendo ottenuto la maggioranza assoluta all’assemblea nazionale, dovrà stringere un’alleanza per governare. Le opzioni, a questo punto, sono due.

Nidaa Tounes può rivolgersi ai piccoli partiti e avviare trattative infinite, che porterebbero soltanto all’instabilità permanente. Oppure può accettare l’offerta degli islamisti e creare un governo di unità nazionale.

Una scelta di questo tipo farebbe venire il mal di stomaco a molti laici, la cui costante e coraggiosa mobilitazione aveva costretto Ennahda (vincitore nel 2011) ad accettare una costituzione democratica e la formazione di un governo tecnico incaricato di organizzare le elezioni legislative.

La via del governo di unità nazionale non sarebbe priva di rischi, perché porterebbe a una spartizione degli incarichi chiave nell’apparato statale, dove potrebbero entrare degli islamisti che non condividono la moderazione dei vertici del partito.

Allo stesso tempo i laici non possono lasciare agli islamisti la possibilità di rafforzarsi e radicalizzarsi all’opposizione, in un momento in cui la situazione economica è molto difficile: provvedimenti impopolari incombono all’orizzonte e il malcontento sociale è destinato a crescere.

Il futuro della Tunisia è incerto, ma i suoi cittadini ci hanno offerto un grande esempio. Un piccolo ma intelligente paese ci ha ricordato tre cose fondamentali.

La prima è che le teorie sull’incompatibilità tra islam e democrazia sono infondate. La Tunisia è un paese musulmano, ma conosce la libertà, la tolleranza e la democrazia. E soprattutto ha dimostrato di saperle difendere.

L’evoluzione della Tunisia dal 2011 a oggi è la prova che l’aggettivo “islamista” viene dato a forze politiche profondamente diverse tra loro. Ai sanguinari del gruppo Stato islamico, ai conservatori musulmani al potere in Turchia, ai Fratelli musulmani d’Egitto e ora a Ennahda, i cui leader vogliono inserire nella vita politica nazionale un partito conservatore, clericale e thatcheriano, ma lontano anni luce dal jihadismo.

I progressi della Tunisia ci ricordano che anche la Siria avrebbe potuto seguire lo stesso destino, perché entrambi i paesi possono contare su un’élite illuminata.

Il problema è che le élite siriane sono state massacrate sotto i nostri occhi da un dittatore sanguinario. Il mondo ne paga il prezzo, incarnato dallo Stato islamico.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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