È fatta. Donald Trump ha annunciato il ritiro dal compromesso nucleare approvato dall’Iran e dalle grandi potenze (Stati Uniti in testa) nel 2015. Le conseguenze sono quelle previste.
Appoggiata dall’Arabia Saudita e da Israele, l’America si è isolata dai suoi alleati europei, contrari a questa decisione. Non solo Parigi e Berlino sono sulla stessa lunghezza d’onda, ma a prescindere dalla Brexit anche il Regno Unito non è mai stato così vicino all’Unione. L’Alleanza atlantica si spacca su una vicenda fondamentale che riavvicina le tre grandi potenze dell’Europa occidentale a paesi come la Russia, la Cina e l’Iran, da cui restano sostanzialmente diverse. Sulla scena internazionale tutto sembra stravolto. Ma dove stiamo andando?
Un aspetto cruciale
Per Donald Trump è tutto semplice. Ristabilendo le sanzioni economiche statunitensi che erano state cancellate in cambio dello stop al programma nucleare iraniano, il presidente degli Stati Uniti spera di costringere Teheran a rinegoziare un nuovo accordo migliore per Washington. Sulla carta è un’idea sensata, perché l’Iran ha un enorme bisogno di esportare le sue risorse petrolifere e modernizzarsi attraverso gli investimenti occidentali. Ma pensare in questo modo significa dimenticare un aspetto cruciale.
L’Iran può aggirare le sanzioni grazie a complicità regionali e internazionali. Tra l’altro i riformatori iraniani sono indeboliti, perché l’ala dura del regime non voleva alcun compromesso e non farà niente per facilitare una nuova trattativa. L’Iran, inoltre, si trova nelle condizioni di sfidare gli Stati Uniti in Iraq, Siria, Yemen, Libano e anche alla frontiera israeliana.
Quando parliamo di rischio di guerra non è un’esagerazione. Esiste un meccanismo che potrebbe rapidamente portare a un conflitto armato. Per questo, sulla base delle idee avanzate la settimana scorsa da Emmanuel Macron, Londra, Parigi e Berlino vorrebbero mantenere il compromesso del 2015 (e infatti hanno confermato che non intendono ritirarsi) e al contempo avviare con Teheran un negoziato complementare sulle crisi regionali, i missili iraniani e il futuro del compromesso che scadrà nel 2025.
Affinché questo approccio funzioni è comunque necessario che gli iraniani lo accettino superando le attuali divisioni, che gli investitori occidentali non seppelliscano il compromesso ritirando i loro ordini per timore di rappresaglie americane e soprattutto che le grandi potenze abbiano proposte comuni da presentare, cosa che al momento non accade.
In questo senso sarà fondamentale la visita di Emmanuel Macron a Mosca tra due settimane. In questa partita il ruolo della Francia è infatti assolutamente centrale, perché mantiene canali di comunicazione aperti con tutti e ha una proposta da difendere, l’unica al momento sul tavolo.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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