24 gennaio 2019 09:53

Per quanto gli indizi siano preoccupanti, possiamo anche lasciarli da parte. L’attuale presidente degli Stati Uniti è un uomo che fino all’anno della sua vittoria elettorale ha negoziato con Mosca la costruzione di un grattacielo da cui avrebbe tratto grandi benefici e soprattutto moltissima pubblicità.

Lo stesso uomo avrebbe trascorso – è solo una voce, ma ribadita più volte – una notte più che agitata in un albergo della capitale russa, registrata dai microfoni dell’Fsb, i servizi segreti, l’ex Kgb. E come dimenticare, infine, che nella squadra che ha gestito la campagna elettorale di Donald Trump c’era almeno una persona molto vicina al Cremlino ansioso di veder vincere il magnate da accanirsi contro Hillary Clinton, con i risultati che conosciamo?

A qualsiasi autore di romanzi di spionaggio basterebbe uno solo di questi elementi, anche la voce di corridoio, per scrivere un best seller sull’agente russo che occupa l’ufficio ovale. Ma dobbiamo andare oltre questi fatti. Come ha sottolineato un articolo del sito Globalist, non c’è alcun bisogno di cercare prove di una collaborazione tra il presidente degli Stati Uniti e i servizi segreti russi. Anche se Trump fosse davvero un agente dell’Fsb, infatti, non avrebbe potuto fare più di quello che ha fatto.

L’ombrello chiuso della Nato
Sovietica o postcomunista, da settant’anni la Russia cerca di seminare discordia tra gli Stati Uniti e l’Europa. Prima d’ora non si era mai avvicinata all’obiettivo, perché la Francia era sempre rimasta al fianco di Washington nei momenti più gravi e gli altri paesi europei avevano deciso di affidarsi alla diplomazia americana per garantire la propria sicurezza.

Dopo la fine della seconda guerra mondiale, l’Atlantico non ha più diviso le due sponde, con l’Europa e gli Stati Uniti a formare, dal punto di vista strategico, un unico mondo compatto. La Nato aveva eliminato l’oceano, fino all’avvento di Trump, che durante la campagna elettorale ha messo in dubbio l’automaticità del soccorso di Washington agli alleati europei (a cominciare dagli stati baltici) e in seguito ha espresso a più riprese il suo disprezzo per l’Alleanza atlantica, che a suo dire costerebbe troppo.

La pressione sugli stati baltici è diventata credibile, le inquietudini dei polacchi sono rafforzate e la sorte dell’Ucraina è ormai decisa

Perfino il presidente ungherese Viktor Orbán, uomo ideologicamente molto vicino a Trump, chiede la creazione di una difesa europea dato che l’ombrello americano sembra essersi chiuso. L’Alleanza si è infranta perché non esiste più fiducia. Questo non significa che Vladimir Putin si prepari a invadere l’Unione europea. Non ne avrebbe i mezzi finanziari e militari, e comunque non ne ha bisogno. Ma la pressione sugli stati baltici è diventata credibile, le inquietudini dei polacchi sono rafforzate e la sorte dell’Ucraina è ormai decisa.

Kiev dovrà negoziare un modus vivendi con il Cremlino e accettare non solo l’annessione della Crimea ma anche l’autonomia delle regioni orientali e il loro passaggio sotto un protettorato russo. Ormai non ci sono più contrappesi alle azioni di Putin sul continente europeo. In attesa di dotarsi di una vera difesa, l’Unione dovrà convivere con questa realtà, e comincia già a farlo.

L’avversario occidentale
Il secondo sogno russo realizzato da Putin è l’Unione europea accerchiata da tutti i lati. La Casa Bianca ha applaudito apertamente la Brexit, ha criticato la scarsa decisione con cui Theresa May sta gestendo l’uscita dall’Unione e ha definito il desiderio di unità degli europei come una minaccia per la preminenza economica degli Stati Uniti. L’Unione, a questo punto, ha un avversario a ovest, proprio nel momento in cui il caos del sud la colpisce sempre di più e la Russia accentua le sue prove di forza alla frontiera baltica e il suo appoggio alle nuove estreme destre che vorrebbero distruggere l’Europa unita.

Il ritiro dalla Siria
Contro l’Unione europea esiste un’alleanza de facto fra Trump e Putin. Il presidente degli Stati Uniti, come se non bastasse, ha realizzato anche un terzo sogno del Cremlino, lasciando che la Russia ritornasse in Medio Oriente. È innegabile che Barack Obama avesse avviato questo processo rifiutando di colpire l’aviazione di Bashar al Assad insieme alla Francia, ma è altrettanto vero che Trump ha trasformato il più grande errore del suo predecessore in una strategia politica, annunciando il ritiro delle truppe dalla Siria.

Il processo ha subìto un rallentamento, ma di per sé l’annuncio di Trump ha evidenziato come ormai gli Stati Uniti non vogliano più impegnarsi in Medio Oriente né in Europa. Ora tocca alla Russia fare da arbitro in Medio Oriente, alleandosi con l’Iran e contemporaneamente permettendo a Israele di opporsi alla costruzione di basi iraniane alla sua frontiera.

Lasciamo ai romanzieri la penna, l’immaginazione e le storie di spionaggio. Trump non è pagato dall’Fsb. La realtà è ancora più pericolosa: i suoi interessi e la sua politica convergono con quelli del Cremlino, con la Russia revanscista di Vladimir Putin.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questo articolo è uscito sulla rivista francese Challenges.

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