20 luglio 2015 15:02

Nelle metropoli cinesi, le librerie sono un luogo perfetto per cercare rifugio dalla canicola estiva. Sono grandi, pulite, hanno l’aria condizionata, poltrone per leggere e caffetterie. Tutt’intorno, titoli cinesi e stranieri con copertine che strizzano l’occhio anche al lettore occidentale.

Ma i posti a sedere non bastano mai, e non è solo colpa del caldo. Ci sono tante persone che passano nelle librerie tutto il loro tempo libero. C’è chi, soprattutto tra i giovani, legge seduto per terra tra gli scaffali o sulle scale che collegano un piano all’altro. Il mercato editoriale cinese è il più grande del mondo. Le previsioni per il 2015 sono di circa 15 miliardi di euro di incassi, con una crescita del 10 per cento anno su anno. Nel 2012 in Cina sono stati comprati i diritti di più di 16mila titoli stranieri, il 60 per cento in più rispetto al 2004. Ma cosa leggono i cinesi?

L’eterno tabù

Nella Repubblica popolare la cultura è in primo luogo al servizio del Partito comunista e della sua priorità: rimanere al governo del paese più popoloso del mondo.

Perciò nei giornali, sul web e nei saggi bisogna evitare otto argomenti: democrazia, separazione dei poteri, ritratti degli alti funzionari di partito e dei loro familiari, autodeterminazione dei popoli e, su tutto, le tre t: Tibet, Taiwan e Tiananmen. Al di là delle questioni politiche “sensibili”, l’altro argomento tabù è il sesso insieme a tutto ciò che, secondo il partito, minaccia la “moralità” dei suoi cittadini.

Nei film e nelle serie tv, per esempio, non sono ammesse storie di una notte o scambi di coppia, e una protagonista non può innamorarsi di più di un uomo. Inoltre, “per preservare l’integrità storica”, non è possibile viaggiare nel tempo. I prodotti culturali, oggi più che mai, devono fornire l’esempio del cittadino modello, sempre fedele alla sua epoca e felicemente sposato.

Sono gli stessi editori e le case di produzione a chiedere modifiche sui testi che potrebbero offendere la sensibilità del partito. Altrimenti, rischiano multe salate e il ritiro dal commercio dei prodotti incriminati con danni economici sostanziosi. Nei casi più gravi possono perdere da un giorno all’altro la licenza editoriale.

Il meccanismo ormai è così radicato nella mente dei cinesi che sono gli stessi autori ad autocensurarsi. E poiché i confini tra il lecito e l’illecito non sono stabiliti con chiarezza dalle autorità competenti, ne escono prodotti timidi che evitano di toccare temi “sensibili” e che quindi perdono in potenza e credibilità.

Il governo, dal canto suo, è convinto che la censura aiuti l’opinione pubblica a orientarsi correttamente e favorisca la stabilità politica e sociale del paese. E, se possibile, sta monitorando ancora di più i prodotti culturali rispetto a qualche anno fa.

Il dilemma degli autori stranieri

Un mercato così ricco come quello cinese ovviamente fa gola anche agli autori stranieri. Un recente rapporto del Pen, il centro per la libertà di espressione con sede a New York, ha indagato le implicazioni che può avere per gli autori stranieri l’accesso al mercato editoriale cinese.

Ne esce il ritratto di un mondo dai contorni confusi, in cui spesso gli stranieri pubblicati in Cina non sanno – o preferiscono non sapere – di essere stati censurati. Chi ne è consapevole ha di fronte due scelte: rinunciare alla pubblicazione per mantenere l’integrità e non sottoporre i suoi testi alla censura o negoziare con le case editrici qualche taglio che non stravolga drammaticamente il testo.

E poi ci sono quelli che accettano di pubblicare una versione edulcorata dei loro lavori in cambio dell’opportunità ghiotta di raggiungere un pubblico così vasto. Al di là delle scelte personali, c’è un dilemma intellettuale che emerge da ognuna delle interviste contenute nel rapporto: se si rifiuta la censura, si nega ai lettori cinesi l’opportunità di leggere qualcosa di diverso da quello a cui sono abituati; ma, accettando i tagli, non si rischia di confermare la versione distorta del partito? Sembra riecheggiare il paradosso della casa di ferro con cui Lu Xun, il padre della letteratura modera cinese, in Chiamata alle armi nel 1923 descriveva la situazione del suo paese nei primi del novecento.

Immagina una casa di ferro senza finestre e indistruttibile con dentro tante persone addormentate ma sul punto di morire asfissiate. Stando così le cose, la morte li coglierà nel sonno e non conosceranno le pene dell’agonia. Ma se inizi a gridare, sveglierai quelli dal sonno più leggero e li costringerai a soffrire il tormento di una morte inevitabile. Ti sembra di far loro un favore? Eppure, se alcuni si svegliano, non puoi affermare che non ci sia alcuna speranza di distruggere la casa di ferro

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it