15 luglio 2010 00:00

Da tanto tempo Les rencontres d’Arles (quarantuno edizioni) sono l’appuntamento obbligatorio per gli amanti della fotografia di tutto il mondo.

Portfolio, autori in cerca di luoghi dove esporre, musei che discutono le loro prossime coproduzioni, migliaia di appassionati e giovani che animano indiavolati after hour.

Il programma sulla carta sembrava interessante e molto eclettico.

Ma l’allestimento negli immensi spazi degli Ateliers des Forges, e in altri luoghi storici, si è rivelato deludente, come faceva immaginare il “concept” di passeggiata, un percorso che avrebbe dovuto rendere leggera la visita dando un senso all’insieme delle esposizioni.

L’esposizione argentina, nonostante buoni artisti, è sfortunata e non rappresentativa (che fine hanno fatto Adriana Lestido e gli altri giovani?). Una serie di ritratti di Mick Jagger serve solo ad attirare i curiosi. La rassegna sul punk, decontestualizzata in un gelo museale, non riesce a evocare lo spirito del tempo.

Fortunatamente la mostra Shoot, al tempo stesso seria e ludica, concepita da Clément Cheroux, s’impadronisce di una pratica molto comune e la mette in prospettiva. La macchina fotografica usata come un’arma da fuoco. Scattare è come sparare. Un’idea molto apprezzata dai surrealisti.

Insomma il complesso dell’esposizione è micidiale, ma riserva anche qualche piacevole visione.

Internazionale, numero 855, 16 luglio 2010

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