21 settembre 2021 17:32

“Ho perso da regina queen queen / tu hai barato da re king king” e poi arriva, forse inevitabile, la rima con la parola “bling”, ma la rapper Epoque ha un talento tutto suo per tenere insieme un registro multilingue tra l’italiano, il francese e il lingala e un immaginario che prova ad affrancarsi dai cliché non solo dell’hip hop e della trap (per quanto mediterranea) ma anche di come rappa una ragazza. Non a caso il suo ultimo singolo si chiama Cliché, un pezzo dall’andamento veloce in cui dice di correre bendata per la città e si rivolge a un interlocutore che si fa mille film ma non la conosce.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Nata a Torino, cresciuta a Parigi e Bruxelles, Epoque rinnova quell’intuizione per cui quando una canzone funziona si può emancipare dall’impero dell’interpretazione sociologica, da sempre una questione integrata nel rap, ma che a volte ne opacizza i meriti artistici ed espressivi per trasformare un artista in un simbolo il cui flow esonda dai suoni per riversarsi nelle strade. Invece c’è una gioia nell’ascoltare Epoque senza pensare a cosa rappresenta di questi anni o di questo paese, per seguirla nella sua velocità e disinvoltura tra idiomi non solo linguistici ma anche appartenenti a vari bacini musicali, un afrorap spesso piacevolmente deamericanizzato, o meglio: un afrorap che contiene molto mediterraneo e molto sud, proprio come il rap statunitense da anni si sta confrontando con pezzi di America Latina, smaltendo un machismo prevedibile e banale, alla ricerca di una nuova fluidità. Grazie a Epoque balliamo e pensiamo un po’ di meno.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it